PREMESSA
In questo Blog desidero commentare un post di Agostino Degas che ho ricevuto da una persona amica – su WhatsApp – e che credo valga la pena commentare concetto per concetto. Per una più facile lettura lo riporterò integralmente in corsivo e manterrò, di volta in volta, lo stesso stile grafico nelle varie parti che andrò a commentare evidenziandole in “grassetto” e scrivendo in “regular” (cioè col carattere non corsivo) le mie considerazioni. D’accordo? Ecco il testo:
“C’erano una volta cose preziosissime. La parola data o la stretta di mano, quando valevano più di cento firme fatte davanti al notaio. La dignità quando non era mai in vendita, perché era l’unico capitale che una persona possedeva. Il rispetto per le persone anziane, quando la vecchiaia non era ancora emarginazione, ma significava esperienza, saggezza, essere ascoltati dai più giovani. I valori, sia umani, civili religiosi, quando valevano molto di più delle cose di valore. Il tempo quando scorreva a ritmi naturali e la gente non aveva la necessità di guardare l’orologio ogni cinque minuti. C’erano una volta cose preziosissime.
ANALISI
Per chi ha qualche capello bianco, anche più di uno, o non ne ha più… queste parole assumono quasi il carattere dello “scontato”, cioè di qualcosa con cui è stato cresciuto ed educato. Non mi meraviglierei se, dopo aver letto quanto scritto dal poeta e scrittore sardo, qualcuno della mia età si ponesse la domanda: “Ma cosa c’è di particolare da commentare?” dando per acquisito che questi valori siano un patrimonio comune della nostra civiltà.
Già… così dovrebbe essere, ma se rileggete con calma (cosa che faremo assieme, se lo vorrete), frase per frase, vi accorgerete che paragonandolo a quanto vediamo quotidianamente per la strada, sui social, in televisione, mi sembra che stiamo vivendo su altro pianeta, la “Terra 2”, la “vendetta”… o, forse, ad una regressione del vivere sociale, una secolarizzazione.
CONSIDERAZIONI
Come anticipato nella premessa, procediamo passo passo.
1°) C’erano una volta cose preziosissime.
Credo che già dall’incipit si possa percepire una nota dolente, quasi un rimpianto, una componente nostalgica e quando si parla di “nostalgia”, etimologicamente, stiamo parlando di “dolore” (dal greco: “nostos” che significa “ritorno” e “algos” che significa “dolore” quindi “nostalgia” significa “dolore del/per il ritorno”) e penso che più che parlare di un dolore per il ritorno, come da definizione, si potrebbe parlare di dolore per la perdita… Di che cosa? Di quelle cose preziosissime. Quali? Quelle che seguiranno.
2°) La parola data o la stretta di mano, quando valevano più di cento firme fatte davanti al notaio.

Perdonatemi, mi viene da ridere, ma a denti stretti, perché oggi nemmeno una carta bollata e “ceralaccata” da un notaio sono più garanzia assoluta di osservanza di quanto sottoscritto, vedi tutti i testamenti di attori o personaggi famosi dello spettacolo o dello sport che vedono in tribunale l’impugnazione di testamenti fatti non certo da sé stessi ma, presumo, sotto la guida di legali e notai.

E ricordo, per esperienza personale, quanto oggi quella stretta di mano sia stata disattesa e quella parola data… dimenticata. Poco importa essere stato disatteso l’impegno verbalmente concordato e “sigillato” (così credevo…) da una stretta di mano, per il danno economico patito, quanto per quello morale che non mi sarei mai aspettato da quella persona. Ingenuità o volontà di credere ancora oggi nei valori di ieri?
3°) La dignità quando non era mai in vendita, perché era l’unico capitale che una persona possedeva.

Non parliamo poi delle “star” che si esibiscono sui palcoscenici cantando in abiti “succinti” – per usare un eufemismo – in cui non si capisce se sono gli indumenti a coprire le parti intime o queste ultime gli indumenti… Cosa intendo dire? Avete mai visto (anche e soprattutto sulle spiagge) quei costumi da bagno stile filo intergluteale dove una volta bisognava scostare lo slip per vedere una natica ed oggi occorre scostare un gluteo per vedere il costume? O quei “reggi-capezzolo” più che reggiseni per quanto sono ridotti? Quando indossati…

Quale macigno è ormai diffusamente crollato: la dignità! Un tempo si usava dire che quella persona era povera, ma viveva comunque una vita dignitosa. Oggi, pur di vivere una vita più che “dignitosa” direi “lussuosa” si è disposti a prostituirsi, ma non solo fisicamente, bensì moralmente. Cosa intendo dire? Semplicemente che per un pugno di quattrini ci si vende prestandosi a testimoniare il falso, ma non necessariamente in tribunale (rischioso, molto rischioso!), ma anche semplicemente in ambito lavorativo, tradendo magari la confidenza ricevuta, sparlando di questo o di quel collega, ecc.

Ma ormai la nudità è stata sdoganata; la volgarità… anche, come visibile sul palco degli show dove l’esibirsi di quelle “pop -star” con le “poppe” al vento è diventata la normalità; ondeggiamenti e gestualità del corpo che richiamano atti copulatori sono non solo tollerati, ma anche applauditi da folle di giovani (e non solo…) che ubriacati dalla musica e dalle luci vengono abbagliati nella loro… dignità. L’esibizionismo più totale viene accettato come manifestazione artistica per cui essendo “arte” non è più offensiva… Dio mio!
Preciso, non sono un misogino, ma nemmeno voglio essere trasformato in un “guardone” per poter ascoltare una canzone… spesso scadente e sembrerebbe compensata dal corpo seminudo della cosiddetta artista.
Quanto dignitosa è quella madre mendicante che ha la dignità di stendere la mano per dare da mangiare ai propri figli o che si adatta a svolgere qualsiasi lavoro, anche il più umile, ma onesto, pur di non vendere questo bene così prezioso – la dignità – che, non solo, ma soprattutto nella donna, una volta perso diventa irrecuperabile e svilisce la persona stessa!
4°) Il rispetto per le persone anziane, quando la vecchiaia non era ancora emarginazione, ma significava esperienza, saggezza, essere ascoltati dai più giovani.
Altra nota dolente, anzi, dolentissima! Quando ero bambino, una sessantina di anni fa, ricordo che l’anziano era “venerato” come uno scrigno prezioso, ricco di quella esperienza di vita, che veniva ascoltato in religioso silenzio mentre raccontava un episodio della propria esistenza. Si cercava di trarre qualche spunto che potesse risultare utile da sfruttare in circostanze analoghe a quelle narrate, per evitare di commettere eventuali errori, per mancanza di esperienza, appunto, che si sarebbero potuti ripercuotere su di noi.
Nell’anziano si poteva apprezzare la maggior pazienza (vedi i nonni rispetto anche agli stessi genitori…) nell’ascoltare o nel raccontare una storia, un avvenimento, ai propri nipotini ed erano, in definitiva, le persone sagge alle quali rivolgersi per un consiglio, un suggerimento o esporre un problema.

Confesso di non aver avuto la fortuna di vivere quella realtà “nipote-nonni” in quanto quelli materni erano deceduti precocemente (un tempo certe malattie non perdonavano…) prima della mia nascita e di quelli paterni ebbi occasione di vedere solo mia nonna, già molto avanti nell’età, e in poche occasioni in quanto viveva al Sud ed io al Nord.
Ma di lei ho sempre avuto rispetto nonostante la mia giovanissima età. Ricordo un solo episodio. Avevo sei, sette anni e, dovendo mio padre recarsi in meridione, nel casertano, scrissi una breve letterina che misi in una busta con £. 300 allegati, così giustificati: “Cara nonna, non sono molti, ma te li do con tutto il cuore”. La commozione che generò nell’anziana nonna mi fu poi raccontata da mio padre. Quel gesto fu considerato da lei come un segno di affetto e rispetto: caso più unico che raro, fui io – il nipotino – che diede alla nonna quei soldini, tanto risparmiati, invece del più classico contrario.
Ed oggi? Gli anziani sono considerati in due modi: o come un “bancomat” – tipo sportelli ATM delle banche – per “nipotini” sempre bambini (anche a 35 anni…) attingendo alla loro pensione, o dei “pesi” da sistemare in qualche casa di riposo anche quando siano ancora dotati di una discreta autonomia ma non più “affidabili” e quindi bisognosi di attenzione e cura nei loro confronti. Che rottura di scatole…

E non fa nulla se hanno cresciuto i figli dei loro figli, accudendoli dalla più tenera età sino a quella adulta, e non importa se si sono sacrificati per venire incontro ai genitori stressati dalla quotidianità, passando notti in bianco al loro posto quando i neonati piangevano tutta la notte…
E la mancanza di rispetto non passa necessariamente attraverso il maltrattamento fisico (Dio non voglia! Quale viltà sarebbe!) ma anche “semplicemente” da un: “Taci nonno, non capisci niente!” generando nell’anziano una profonda mortificazione frutto di irriconoscenza da parte di chi ha ricevuto di tutto e di più non solo in termini materiali, ma di affetto!
Altro che essere ascoltati dai più giovani!
N.d.A.: consentitemi – a proposito di “rispetto” – di proporvi la lettura del libro biografico da me redatto dal titolo: “RISPETTO E DISPREZZO” su Amazon:
5°) I valori, sia umani, civili religiosi, quando valevano molto di più delle cose di valore.
Un tempo si diceva che una persona valeva per quello che era, non per ciò che aveva. Esattamente come oggi… Scherzando, ma non troppo, tra le donne più mature, ma anche tra le giovani, si dice che prima di guardare gli occhi belli del “Principe azzurro” si guardi il modello 730…: evoluzione della specie “Homo sapiens” (o meglio “Donna sapiens”…).

Forti del detto “Prima o poi nella vita matrimoniale si deve piangere, meglio farlo su una Roll Royce che su una Fiat 500” è sotto gli occhi di tutti che il valore primario della e nella nostra società sia il censo (“Patrimonio o reddito accertato a fini fiscali; generic., complesso di beni e di ricchezze posseduti” come da definizione dell’Oxford Languages) prima ancora del “blasone” (“Arme, stemma gentilizio; estens., nobiltà di nascita” sempre dal dizionario dell’Oxford Languages). Tradotto? Prima i soldi – senza farsi troppi problemi su come procurarseli e/o con quali compromessi (torna il concetto di “dignità”…) – poi il resto.

Non parliamo dei valori religiosi, morali ed etici: termini e concetti stantii con tanto di muffa addosso dei quali dà fastidio il solo parlarne. In tal senso leggevo, a proposito di religione, sul libro Ed. PIEMME di fra Stefano “abbi cura di te”, la seguente considerazione:
“È interessante notare che nella nostra società si può parlare di tutto, ma non di fede. Se uno parla pubblicamente della propria fede, spesso viene preso per un invasato, per un intollerante o per un esaltato e si sente dire:<<La tua fede tienitela per te, non uscire allo scoperto pubblicamente con la tua religione e le tue opinioni!>>”.
Quanto ciò è tristemente vero… a conferma di come i valori di fede, e in generale religiosi, siano stati svenduti in cambio di una laicità che mostra crepe da tutte le parti, crepe che vengono coperte dall’arroganza e dalla violenza verbale contro chi si permette di parlarne in pubblico, evidenziandole: “social docet”!
“…quando valevano molto di più delle cose di valore” dove per cose di valore si intendono, almeno così interpreto, tutti quegli oggetti realmente di consistente contenuto economico, ma sottolineando che i valori morali avevano un peso ben maggiore di quelli materiali, ribadendo il concetto che l’uomo vale per quello che è – dentro – non per quello che ha – fuori o addosso – e non penso necessiti di ulteriori spiegazioni.
6°) Il tempo quando scorreva a ritmi naturali e la gente non aveva la necessità di guardare l’orologio ogni cinque minuti.

Se è vera la locuzione latina “Tempus fugit” e cioè “Il tempo fugge” è anche vero che oggi dobbiamo “fuggire dal tempo”. Cosa significa? Significa che il nostro “capo” è diventato l’orologio/il tempo che mentre una volta scorreva sì inarrestabile, ma con dei ritmi umani, ai nostri giorni assume un carattere disumano e disumanizzante!

Si parla di stress (qualcuno poi differenzia quello “positivo” motivante, da quello “negativo”, deprimente), ma in pratica, cos’è? È il dover/voler fare una determina cosa per la quale occorre “x” tempo, nella metà… Capite benissimo che è volersi dare le martellate sui piedi e lamentarsi del relativo dolore! Ho volutamente risparmiato, da maschio, parti anatomiche più nobili… non vogliatemene.
Battuta a parte, credo che i ritmi che ci vengono imposti e ai quali, anche nelle giornate di riposo, non riusciamo a derogare sono il frutto di una nevrosi legata al paradossale desiderio di accelerare nel fare le cose per poi avere maggior tempo a nostra disposizione rendendoci la vita sempre più stressante, appunto, logorante e frustrante laddove falliamo negli obiettivi assurdi che ci imponiamo o ci vengono imposti. Alla fine, paradossalmente, lavoriamo di più, senza pause e con minor tempo a nostra disposizione e, laddove disponibile, siamo talmente stanchi che lo utilizziamo per riprenderci dalla fatica, magari dormendo…
Ormai siamo diventati schiavi dell’orologio, dello smartphone e dei vari dispositivi che controlliamo in modo compulsivo, meccanico, statisticamente, sino ad 80 volte al giorno! Se non è stress questo…
7°) C’erano una volta cose preziosissime.
Direi che si chiude il cerchio con lo stesso incipit “nostalgico” di un tempo che fu e che sembrerebbe non esserci più…
CONCLUSIONE
Vi confesso una cosa: di natura sono un ottimista, ma non un “sognatore”; un entusiasta (dal greco “En – theos” cioè “In Dio”) con la mente e il cuore rivolto al Signore, ma con i piedi ben radicati nella realtà terrena. Ciò non mi toglie la dovuta oggettività di valutare le cose per come sono, anzi, ma mi dà anche la speranza in un mondo migliore sebbene quanto commentato sin qui deporrebbe per il contrario, contraddicendomi.
Ma se operare una dicotomia tra il bene e il male è “cosa buona e giusta” sono convinto che quei valori che sembrano irrimediabilmente compromessi nelle attuali generazioni, non lo siano per tutti i giovani e per tutte le persone ma, come sempre, ciò che appare, ciò che risalta e abbaglia sono gli aspetti negativi che fanno notizia e più rumore…
Se vogliamo veramente che quei valori non vadano persi del tutto, allora iniziamo con seminarli ex-novo, magari utilizzando i mezzi tecnologici attuali, nel giusto modo, con una comunicazione più adatta a questi tempi, ma non deponiamo le armi della consapevolezza di ciò che è giusto discernendolo da ciò che è sbagliato, senza il timore di essere tacitati da una piccola ma vociferante massa di persone i cui valori si son persi per strada in una confusione interiore disorientata e disorientante! Non abbiamo paura di andare contro corrente!
Un’ultima cosa, giusto a conferma del fatto di non essere un sognatore o un illuso “buonista”: quel milione di giovani provenienti da tutto il mondo convenuti a Roma per la Giornata Mondiale della Gioventù che facevano a gara per essere più vicini al palco dove il Papa si rivolgeva loro, ecco, costoro sono quel monito di speranza a cui mi riferivo più sopra.
Con affetto, vostro Antonio.


















2 risposte
Una riflessione che è dettata da una mente razionale che funziona. Ed è già molto incontrarne una di questi tempi.
Con la modernità, paradosso, ci si è involuti.
Il mancato rispetto verso gli anziani è quasi marginale se si pensa che si è scoperto che due siti pornografici sui social da anni ( Mia moglie e Phica) erano oggetto di foto trasmesse sui, appunto, social dai rispettivi coniugi maschi e compagni.
Ora se si è arrivati a questo punto, il Male ha preso il predominio di molti. Cosa assai più sconcertante, che aggrava tutte queste situazioni sfuggite di mano, è che hanno un denominatore comune: l’egoismo imperante. Ognuno pensa per sé, anche in ambito familiare: più un membro della famiglia non viene “scocciato” da un altro componente, meglio si sta. Così educando, si fa per dire, i figli diventeranno sicuri delinquenti in futuro.
Non sono un psicologo ma avrei qualche ricetta: quella che replicherei per aver avuto due figli che si sono laureati, si sono sposati, hanno avuto prole, non si sono appoggiati mollemente sui genitori e vivono una vita serena.
Determinati, responsabili e pieni di sogni realistici.
Caro Carlo, purtroppo la realtà che hai descritto, rispecchia e fotografa il malessere generale di una società che ha perso l’orientamento, in un processo di secolarizzazione preoccupante non solo per l’impatto sociale nel presente ma, soprattutto, per il futuro. Lo squallore denunciato circa quei siti pornografici a cui alludevi sono la prova provata di quanto ho cercato di esporre nel mio articolo. Non posso che condividere quanto riporti nel tuo commento augurandomi solo che i blog da me redatti su questi temi di natura sociale e morale (mai moralistica!) possano far riflettere sul fallimento degli pseudovalori proposti in alternativa ai valori ad essi precedenti: non saranno stati perfetti, ma di certo invidiabili, pur con le dovute correzioni, a quelli oggi presentati come emancipazione dell’uomo. Mi domando: sarebbe questa l’evoluzione o non, piuttosto, una triste involuzione del genere umano? “Ai posteri l’ardua sentenza…”. Con affetto, Antonio.