Antonio Palmiero

I SEGNI DEI NOSTRI TEMPI ANCHE NELLA SCRITTURA

I SEGNI DELLA SCRITTURA ANCHE NEI NOSTRI TEMPI

PREMESSA

L’argomento che desidero sviluppare con voi mi è caro, non fosse altro perché amo scrivere, ma non sarà una filippica sugli stili o sui generi letterari… Sulla qualità, invece, di ciò che redigo, ovviamente, mi rimetto a voi lettori che avete sempre la libertà e la possibilità di esprimere la vostra opinione a tal riguardo, sia per lo stile da me adottato che per i contenuti espressi.

Preciso che non sono un “linguista” né ho praticato o seguito corsi di scrittura e non sono laureato né in Giornalismo, né in Lettere moderne e nemmeno in quelle Antiche… ma la ricchezza di esperienze vissute nella mia vita, nei vari ambiti, da quello professionale (a tal proposito chi volesse conoscermi in modo più approfondito, sotto questo profilo, può farlo leggendo il mio libro qui riportato “STORIA DI UN UOMO”:

a quello personale e la passione per la scrittura, mi hanno portato a redigere e pubblicare – su Amazon – una serie di libri che potrete sempre consultare anche nella pagina “I miei libri” del mio sito Internet: antoniopalmiero.it

Precisato quanto sopra, prenderò spunto da quanto ho trovato su Facebook in un post pubblicato dalla giovane autrice italiana Guendalina Middei, laureata in Lettere con un master in Giornalismo culturale, conosciuta sui social come “Professor X”, sperando di non ledere alcun diritto di Autore, ma alla quale sento di voler esprimere i miei più sinceri complimenti, pur non conoscendola personalmente…

IL TESTO

Riporto quasi integralmente il “copy” pubblicato su Facebook (come dicevo in altre occasioni, questi social possono offrire, ogni tanto, anche momenti culturali positivi, in mezzo, scusate, a tanta “fogna”…) relativamente allo scrivere in corsivo e cosa ne pensa l’Autrice. State a sentire, o meglio, leggete:

“Vi ricordate il corsivo? Vi siete mai chiesti perché oggi non s’insegna più ai ragazzi a scrivere in corsivo? E no, non è un caso che si tenda ad usarlo sempre meno.

Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole; ti obbliga a non staccare la mano dal foglio. Uno sforzo che stimola il pensiero, che ti permette di associare le idee, di legarle e mettere in relazione. Non a caso la parola corsivo devira dal latino <<currere>>, che corre, che scorre, perché il pensiero è alato, corre, s’invola. Scrivere in stampatello invece vuol dire, a detta degli psicologi dello sviluppo, <<spezzettare il pensiero, sezionarlo in lettere, negare il tempo e il respiro della frase.>>

Naturale che il corsivo non abbia più posto nel mondo di oggi, un mondo che fa di tutto per rallentare lo sviluppo del pensiero, per azzopparlo. Pensate che il corsivo nacque proprio in Italia e poi si diffuse in tutto il mondo. Perché? Perché era una scrittura compatta, elegante, chiara.

Ma la nostra è una società che non ha più tempo per l’eleganza, per la bellezza, per la complessità; abbiamo sinteticità ma non chiarezza, rapidità ma non efficienza, informazioni ma non conoscenza! Sappiamo troppo e troppo poco perché non siamo più in grado di mettere in relazione le cose. La gente non sa più pensare. Non sa più costruire un discorso. Ricordate quando alle elementari la maestra vi chiedeva di scrivere dei “pensierini”?

Pensierini, frasi ad effetto e slogan creati ad hoc per manipolare e stupire, ma certamente non per far pensare: ecco a cosa si è ridotta la cultura, l’informazione! Per questo bisognerebbe tornare a scrivere in corsivo, soprattutto a scuola. Perché qua non si tratta soltanto di recuperare uno stile di scrittura, ma di tornare a dare respiro ai nostri pensieri. Tutto ciò che ci fa vivere, che nutre l’anima, che sostiene lo spirito, è legato al respiro. Senza respiro, dicevano gli antichi greci, non c’è pensiero. E senza pensieri non c’è vita. Se sia importante o no, lo lascio decidere a voi.”

 ANALISI

Che aggiungere? Forse potremmo concludere qui questo Blog, ma allora mi sarebbe bastato riportare il link di questo articolo.

Credo, invece, che valga la pena approfondire alcune considerazioni, sviluppare un ragionamento – se ne siamo ancora capaci, come sottolineava in negativo l’Autrice: “La gente non sa più pensare.” – elaborando un nostro, qui il mio, ovviamente, pensiero in merito a quanto su esposto.

Permettetemi una nota di carattere medico-scientifico. Lo scrivere in corsivo coinvolge e genera (da Internet):

Aree cerebrali coinvolte 

  • Corteccia parietale posteriore: area fondamentale per l’elaborazione visiva, l’attenzione e l’apprendimento.
  • Corteccia motoria e cervelletto: coinvolti nella coordinazione del movimento della mano e nel tracciamento delle lettere.
  • Aree del linguaggio e della memoria: la scrittura a mano stimola il cervello in modo più profondo rispetto alla digitazione, facilitando la memorizzazione delle informazioni. 

Benefici cognitivi e sensoriali

  • Coordinazione oculo-manuale: l’integrazione tra la vista e il movimento delle mani è fondamentale e viene potenziata dalla scrittura corsiva.
  • Elaborazione sensoriale: la scrittura a mano attiva aree che collegano il pensiero all’azione fisica, migliorando la connettività neuronale.
  • Potenziamento cognitivo: la scrittura manuale incoraggia l’elaborazione e la sintesi delle informazioni, stimolando anche il pensiero astratto e la creatività. 

Vantaggi rispetto alla digitazione 

  • Coinvolgimento cerebrale maggiore: la scrittura a mano attiva più regioni cerebrali, specialmente quelle legate al pensiero, al linguaggio e alla memoria.
  • Migliore organizzazione delle informazioni: il processo di scrittura manuale favorisce un’organizzazione del pensiero che potenzia la capacità di ricordare e comprendere. 

Mi fermo qui per l’aspetto scientifico, ma ho ritenuto importante riportarlo in quanto sotto questo profilo la scrittura manuale non è solo una questione di natura filosofica e/o concettuale ma affonda nella scienza le sue ragioni d’essere.

RIFLESSIONI

Vorrei, però, tornare ai concetti espressi dalla scrittrice concentrandomi solo, per ragioni di lunghezza, ma sarebbe bello commentare tutto lo scritto…, sulla parte che ho evidenziato in grassetto. In dettaglio:

“Ma la nostra è una società che non ha più tempo per l’eleganza, per la bellezza, per la complessità;”

Quanto è vero! Guardiamo solo a livello di eleganza, la moda attuale e il modo in cui la gente si veste, senza parlare dei giovani e dello stile, scusate l’espressione, da “barboni” (con rispetto per chi, nella vita, è stato più sfortunato e versa in dette condizioni) con pantaloni/gonne di jeans stracciati, strappati, lisi, fatti appositamente così, sin da nuovi, esposti in vetrina. O, ricordo, quei pantaloni col cavallo basso al punto che chi li indossava, per il modo in cui era costretto a camminare – scusatemi ancora – sembrava se la fosse fatta addosso o avesse problemi di deambulazione. Se poi avessero dovuto correre per prendere un autobus, sembravano dei “pinguini” per l’andamento goffo che quel jeans “alla moda” imponeva loro: assomigliavano ai diversamente abili (senza alcun riferimento a costoro in senso di scherno) pur non essendolo.

E le ragazze? Vita bassa, tanga o perizoma in bella vista (ma qui anche i ragazzi con l’elastico delle mutande “firmato” in bella vista fuoriuscente dai pantaloni) ad ogni flessione del busto in avanti e “corpini” – di fatto dei top/reggiseno – senza alcun altro indumento sopra e non per fare dello sport, ma per un semplice passeggio e non al mare, ma tranquillamente in città…

Ora, come sempre, quando si parla di questi argomenti si viene subito tacciati di “boomer”, all’antica, di “bacchettoni” per usare termini eleganti… Non importa, ma l’eleganza di una volta non sanno più nemmeno dove abiti avendo perso anche il senso del buon gusto o, peggio, non avendolo mai appreso perchè non insegnato loro (un po’ come nell’alimentazione, drogati da questi sapori made in U.S.A. – McDonald’s docet…). Poi siamo leader mondiali nella cucina, nella moda, nel fashion… lo stile italiano, ma credo si parli di un altro livello e di un altro target di fruitori.

Un ulteriore punto è:

“…abbiamo sinteticità ma non chiarezza, rapidità ma non efficienza, informazioni ma non conoscenza!”

Altre sante parole! A proposito di sinteticità, ricordo come da ragazzo, a scuola, si cercava nei temi svolti in classe di sviluppare, ampliare il pensiero, seguendo quelle “tracce” che toccavano i vari ambiti, le diverse sfaccettature dell’argomento da trattare, con la nota finale che spesso accompagnava i componimenti: “Tema svolto grammaticalmente corretto, ma troppo breve…”. Oggi sarebbe stato premiato con un voto che non doveva litigare tra la sufficienza e l’insufficienza e sugli errori grammaticali… transeat.

Ma così facendo, quell’ode alla sinteticità (che ovviamente va considerata e premiata soprattutto a fronte e in confronto ad un elaborato logorroico…) nasconde esi traduce spesso in una povertà di pensiero disarmante, quello che un tempo veniva definito “pensiero puerile” oltre ad una scarsità terminologica che, ahimè, difficilmente supera le 800 parole nei ragazzi (rispetto alle 1.500 delle generazioni precedenti) con un allarmante impoverimento del linguaggio: l’uso di sinonimi e affini è pressoché sconosciuto…

Ricordo un manager che aveva una capacità di sintesi veramente eccezionale, riuscendo a riassumere in un foglio A4, quello classico che usiamo nelle stampanti, i contenuti di una riunione di otto ore! E non mancava nulla di importante di ciò che era emerso da quel meeting. Chiedendogli come avesse acquisito questa capacità o se fosse un suo dono di natura – vista la mia opposta formazione a proposito di “sintesi” – mi confessò che avendo frequentato negli U.S.A. un master post laurea (un MBA) in economia e commercio, come esercizio veniva chiesto ai discenti di ridurre un testo di 1.000 parole in uno di 100 e da qui in uno di 10… Alla fine acquisì questa capacità ma, per contro, ora, aveva difficoltà ad agire in senso inverso.

Ricordo anche di aver letto come, presso lo IULM, dove allora era Rettore il noto e scomparso sociologo Francesco Alberoni, introdussero dei corsi di filosofia in quello per futuri Manager proprio per sviluppare la capacità di elaborazione del pensiero.

Non parliamo poi dell’efficientismo che in nome di una vantata rapidità di azione nel risolvere i problemi, in realtà, spesso, li complicano non risolvendoli ma creandone di maggiori. Ricordo, a tal proposito, un “esperto” di logistica che lavorava presso una azienda multinazionale, il quale, a fronte di un problema presentatogli affine alla sua competenza , entrato nel suo ufficio per ottenerne la relativa soluzione, vinto da quell’efficentismo di voler risolvere immediatamente il problema stesso, ne uscivi con due, a tuo carico, da dover risolvere… Ditemi voi…

Capitolo a parte meriterebbe il tema dell’eccesso di informazioni – tra le quali le sempre più diffuse e disorientanti fake news! – che qualcuno pensa di considerare ed assimilare alla cultura. Mi sembra di tornare tra i banchi di scuola, alle medie superiori, dove la lotta contro il nozionismo fu uno dei cavalli di battaglia dell’allora Movimento studentesco del ’68. Ora, che la cultura non equivalga ad una infarcitura di dati, posso essere d’accordo, ma che in nome di questo assunto, non si conosca più nemmeno qualche data simbolica (per es. l’anno della scoperta dell’America – il 1492 – o l’anno della Rivoluzione Francese – il 1789 – o delle due guerre mondiali, ecc. …) o dove sia ubicato un capoluogo di regione o altre nozioni pratiche, capite che poi tutto questo renda difficile qualsiasi dialogo… “Ma tanto c’è Google” è la risposta che mi son sentito dare più volte in tal senso.

Perdonatemi, ma vi immaginate una conversazione con il cellulare in mano per verificare, ad ogni pie’ sospinto, chi sia Tizio, dove sia ubicata quella città, in che anno è successo quell’evento, ecc.? Esasperando il concetto, ve la immaginereste una interprete simultanea col traduttore automatico in mano? Va beh, ho voluto esagerare… ma penso che il concetto sia chiaro!

Ogni materia ha le sue nozioni, la sua terminologia specifica e che il rifiutare la fatica di apprenderle e ricordarle a memoria scatenando la reazione e l’affermazione che non siano cose importanti, mi sembra una pietosa e drammatica giustificazione. Passatemi la battuta, ma se questo assunto venisse applicato, per fare un esempio, in medicina, immaginatevi se durante un intervento chirurgico, i medici si esprimessero, più o meno, in questi termini: “Passami quell’affare lì, che devo asportare questa cosa qua…”. Un requiem per il paziente…

N.d.A.: a proposito di battute e barzellette, vi suggerisco questo libro da me – non vogliatemene – pubblicato:

D’altronde, la superficialità della preparazione di molti studenti, anche universitari, dimostra che c’è qualcosa che nel sistema di apprendimento scolastico non funziona o, volutamente, non deve funzionare. Laureati che ricordano a malapena l’ultimo degli esami sostenuti e che forse hanno a memoria la tesi con la quale sono appena stati promossi (licenziati…) dal corso di studi frequentato, lasciano perplessi. E il leitmotiv: “L’importante è acquisire un metodo, non conoscere e ricordare a memoria le nozioni studiate” capite che suona molto come demagogico perché se poi non si è appreso nemmeno il metodo, mi sembra rimanga molto poco su cui contare…

E una semplice cartina di tornasole sono i pur “nozionistici” quiz televisivi, dove i più anziani (nonostante gli anni non depongano a favore della memoria) riescono a superare concorrenti molto più giovani. Del resto, è sempre difficile, indipendentemente dall’età, ricordare ciò che non si sa…  

Proverbiale al gioco dell’Eredità – condotto dall’allora e compianto Fabrizio Frizzi – la figuraccia di una giovane concorrente, “campionessa” in carica, che alla domanda circa “a capo” di cosa fosse il Presidente del Consiglio, tra le opzioni di risposta (Senato della Repubblica, Parlamento, Governo, Magistratura) rispose candidamente la “Magistratura”… ma non fu l’unica a fare queste figuracce, anche per domande molto più semplici in rapporto al loro titolo di studio, in altre puntate.

Pensiamo anche a come la guerra al “nozionismo” sia fatta ad arte: pensate a quante false notizie “sparate” attraverso i social colpiscano e disarmino il lettore ignorante che si trova spiazzato di fronte ad affermazioni vendute con arroganza mediatica come se fosse la Verità con la “V” maiuscola, il “Verbo” fatto notizia… falsa! Ma se dall’altra parte c’è un ignorante – letteralmente uno che “ignora”, cioè “non conosce” – capite che costui diventa terreno fertile per ogni manipolazione. Se poi a questo si aggiunge la incapacità di pensare con la propria testa, il gioco è fatto! O no?

Ora, è chiaro che non si possa conoscere lo scibile umano. Personalmente ho sempre fatto distinzione tra il “conoscere un po’ di tutto” – praticamentente… nulla – e il “conoscere di tutto un po’”: può sembrare un gioco di parole, ma se riflettete un attimo vi accorgerete che è la normalità, almeno dovrebbe esserlo, di ognuno di noi. Ripeto, non si può conoscere tutto e tutto in modo approfondito, ma se ci si interessa ai diversi argomenti, per esempio dalla politica alla storia, dalla medicina (anche semplicemente a carattere divulgativo) al mondo della natura, dalla religione all’arte, ecc. ecco che un po’ alla volta andremo ad arricchire il nostro background culturale migliorandoci e migliorando la nostra società, almeno si spera…

E come ottenere questo risultato? Vivendo in modo pieno e non superficiale la nostra breve esistenza, ma anche, se non soprattutto, leggendo: leggere un libro, un articolo, implica uno sforzo intellettivo superiore al semplice ascolto di una trasmissione, di un programma televisivo, perchè in questo caso è più facile la distrazione. Leggere, invece, impone una attenzione che, venuta meno, ci obbliga o a chiudere quel testo o a rileggere la parte non compresa o letta in modo meno concentrato. Questo porta a ricordare e fissare (magari sottolineando con una matita quella parola, quella frase) il concetto appena letto.

E vorrei concludere, per non tediarvi ulteriormente, commentando quest’ultima affermazione (coerente con quanto appena da me affermato più sopra):

“La gente non sa più pensare. Non sa più costruire un discorso.”

Ebbene sì, ancora una volta mi trovo concorde con questa affermazione! Oggi, pur non volendo generalizzare perché – grazie a Dio! – ci sono anche giovani che quando aprono bocca ti incantano per preparazione ed eloquio, ci sono studenti che fanno fatica a mettere assieme un soggetto, un predicato e un complemento e comporre una frase di senso compiuto, magari appena usciti da un liceo classico… Ma non solo loro bensì anche manager o personaggi della televisione, cantanti, artisti, ecc. che oltre a non conoscere bene l’uso dei verbi (congiuntivi optional e “se farei…” di default) intercalati da molti “cioè” a mo’ di collanti tra una parola e l’altra, tra una frase e l’altra, come aprono bocca ti fanno cascare le braccia e ti domandi come facciano ad essere a capo di un partito politico, di un ruolo istituzionale, di una azienda o conduttori di programmi televisivi, ecc.

Circa, poi, e concludo, il saper pensare con la propria testa esprimendo una propria opinione in merito ad una determina situazione politica, economica, sociale, di costume, ecc. senza seguire l’onda dettata dai mass media, beh qui entriamo veramente nel difficile. Spesso non si ha un’idea propria per una mancanza di acculturamento “colpevole” (cioè una mancanza di cultura per non aver voluto studiare nonostante se ne avesse avuta l’opportunità) e si segue quella di chi, con decisione, afferma anche la più grossa castroneria, ma avendo perso la capacità di pensare ed elaborare in modo critico, con la propria mente, quella notizia, si mette il cervello (?) all’ammasso e via di questo passo a mo’ di popolo bue.

CONCLUSIONE

Come mi farebbe piacere leggere una vostra opinione, appunto, su quanto da me redatto relativamente al testo che ho riportato e/o sui commenti che mi son sentito, in scienza e coscienza, rilasciare in questo Blog! Ma temo che ciò sarà difficile sperando che questa carenza non sia imputabile a quanto qui da me commentato, a supporto del citato articolo, ma per mancanza di tempo o, semplicemente, di interesse per la tematica trattata.

In attesa di un ipotetico riscontro, vi saluto con affetto.

Vostro Antonio

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