Antonio Palmiero

BENESSERE E SALUTE

BENESSERE E SALUTE_AntonioPalmiero

Nella nostra società, o più in generale nel mondo intero, tutti cercano di poter vivere nel modo migliore possibile. Questa sembrerebbe essere una considerazione pressochè scontata, ma non lo è altrettanto la realtà e nella realtà delle cose.

Siete d’accordo? Perché mi sembra di poter affermare che chi vive realmente bene sia una ridotta porzione degli 8 miliardi di persone abitanti su questo pianeta.

Sbaglio?

Senza voler fare una relazione da “fine anno” sullo stato di salute del mondo e di chi ci vive, per continente, nazione, città, ecc. con le relative statistiche, vorrei approfondire, però, in modo più generale, lo stato di benessere e di salute in cui ci troviamo e del bisogno che sentiamo di migliorare continuamente questo stato d’essere, anche di ognuno di noi, tutti compresi, nessuno escluso.

Ma è forse un peccato desiderare di “star bene con noi stessi e con gli altri”?

Direi proprio di no, sempre che la frase posta tra virgolette non si dimenticasse delle ultime due parole, un articolo determinativo e un pronome: “gli altri”. Perché il punto è proprio qui. Spesso chi vive una condizione più fortunata, per merito o meno, facilmente si dimentica de “gli altri”, appunto, o non ci pensa proprio.

Il godere di una maggiore agiatezza, per chi la gode, è o diventa un diritto, un fatto scontato così come per il bambino che si sveglia alla mattina e trova la colazione pronta sul tavolo, poi il pranzo, la merenda e la cena: per lui il frigo è quella cosa che “scontatamente” deve essere sempre pieno e di certo non si pone la domanda come sia possibile e da dove provenga tutto quel ben di Dio che ogni giorno lo nutre e lo sazia.

Credo che la metafora sia chiara e pertinente. Purtroppo non è così per tutti i bimbi africani, indiani, dell’America Latina, ecc. i cui genitori non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena… o anche solo uno dei due e tutti i giorni dell’anno!

STORIELLA BREVE

Ricordo il racconto di una mia carissima cugina, ora scomparsa, la quale, come suora missionaria in Brasile, mi raccontò una storia che visse di persona e che qui riporto brevissimamente, ma significativamente, almeno credo. State a sentire.

Nella missione dove prestava la sua opera, un mezzogiorno, si presentò una bambina di non più di cinque anni. Alla domanda di mia cugina cosa facesse lì, vista l’ora, e perché non fosse a casa a mangiare, la bimba, candidamente e con un sorriso sulle labbra – indimenticabile – rispose: “Oggi tocca a mio fratello mangiare, io ho mangiato ieri…”!

Lascio a voi ogni commento ma a me, quando me lo raccontò, venne la pelle d’oca! Forse, avendo all’epoca due gemelli piccoli, istintivamente, ho pensato se fossero stati loro quei due bimbi fratelli, maschio e femmina, come i miei due gemelli, e come genitore non ho potuto che avere quella reazione epidermica, oltre ad un nodo in gola e al sentirmi inumidire gli occhi. Questione di sensibilità.

Ma non dovevamo parlare di “Benessere e salute”?

Certo, ma perdonatemi se la mia mente vaga associando a questo binomio un altro diametralmente opposto: “Malessere e malattia”. Che nel mondo ci sia stato sempre chi stesse bene e chi no, è un dato di fatto che da che mondo è mondo, appunto, si perpetua, ma le diseguaglianze così stridenti, nel 2023, tra chi soffre di obesità e spende migliaia di euro per dimagrire, tra diete, medicine, integratori, palestre, centri benessere, ecc. e chi è al disotto della denutrizione – leggi “pelle e ossa” – ecco, scusatemi, ma mi genera questa reazione di rigetto, di rifiuto del nostro modello di benessere.

Quale benessere?

Sarà una questione di sensibilità, ripeto, ma a fronte di tanta indifferenza o di interessamento solo demagogico, ecco, cerco nel mio piccolo di sensibilizzare chi leggerà questo articolo e, al tempo stesso, cerco anche di fare qualcosa per queste realtà, pur consapevole che sarà una goccia nell’oceano.

Sia chiaro, non sto demonizzando il progresso e il benessere in senso lato, anzi! Ciò che sottolineo e stigmatizzo è la cattiva ridistribuzione di questo “star bene” per pochi e malissimo per la maggioranza. Qualcuno potrebbe invocare la responsabilità di chi sta male per loro colpa. Ciliegina sulla torta: al danno anche la beffa (l’insulto e la calunnia…).

Potrebbe anche starci, ma quando nasci in una terra dove la siccità (e ora incominciamo anche noi a comprendere cosa significhi…), quindi l’assoluta carenza di acqua e l’assenza di pioggia da tre e più anni consecutivi, dove regimi governativi depredano e affamano le proprie popolazioni togliendo loro anche quel poco che hanno, dove non esistono mezzi moderni per lavorare la terra, non esistono infrastrutture, ecc. di cosa stiamo parlando? Della cattiva volontà di chi non ha nemmeno la forza di stare in piedi? Di chi non sa di cosa potersi nutrire?

Mi sembra che i Paesi industrializzati, dell’occidente, non si preoccupino molto di questi continenti se non per lo sfruttamento dei vari giacimenti di materie prime e per trasformare le cave sfruttate e abbandonate riempiendole di rifiuti e scarti, magari anche di scorie radioattive.

Poi ci lamentiamo della migrazione e della “invasione” di questa gente che cerca di poter avere una vita che sia degna di essere vissuta, innescando conseguentemente quel mercato di esseri umani dove la delinquenza si inserisce e prospera. Leggi scafisti & C.

Una delle tante “carrette del mare” tristemente famose

Quando sento nei vari telegiornali, parlando dell’Italia, che le opposizioni si scagliano contro il Governo accusandolo di ogni male (peccato che qualche mese/anno prima, quelli che oggi sono all’opposizione, erano al governo, appunto, ma non mi sembra che abbiano affrontato e risolto il problema, ma ora la colpa è di chi si è appena insediato, da qualche mese, di qualunque colore sia e qualunque cosa faccia, così, per partito preso, come si usa dire…), mi viene il latte alle ginocchia, per non usare un’altra espressione circa il cadere di certi attributi, sempre alle ginocchia…, e l’ipocrisia demagogica che sostiene quelle tesi veramente suscita reazioni fortemente negative!

Ricordo ancora, tanti anni orsono, quando il fenomeno immigratorio non era così evidente, così pressante, che parlando dello stato di povertà di questi Paesi sottosviluppati, sostenevo che la politica di sfruttamento perpetuata dai Paesi cosiddetti civili e sviluppati, era non solo miope – per non dire totalmente cieca – ma anche autolesionistica.

In che senso?

Nel senso che se invece, ribadisco, di andare ad estrarre le materie prime, grazie alle multinazionali lì insediate, “rubandole” a quelle nazioni, impoverendole e lasciandole in uno stato ai limiti della sopravvivenza (che poi andiamo a sostenere dando loro l’elemosina e facendoci vedere – come Europa o Organizzazioni delle Nazioni Unite (ONU) – “caritatevoli”, ma direi “assistenzialisti”) reinvestissero gli utili prodotti elevando lo stato sociale di quell’1,3 miliardi di persone, non si creerebbe forse un mercato economico utile anche all’occidente e, in senso lato, al mondo intero?

Non si eviterebbe forse che la povertà assoluta si trasformi in disperazione e lecita voglia di riscatto? Anche un Chiwawa messo in un angolo e bastonato, ad un certo punto si ribella e reagisce aggredendo.

Ricordo un aneddoto, utilizzato in un corso di formazione per venditori al quale partecipai, che recitava come segue. Fate attenzione.

ANEDDOTO

Due aziende concorrenti, che chiameremo “A” e “B”, entrambe produttrici di scarpe, incaricarono due ricercatori di mercato che chiameremo “a” per la prima azienda e “b” per la seconda, di effettuare una ricerca di mercato, appunto, in Africa per sondare la possibilità di conquistare quel potenziale mercato di sì tante persone.

Dopo un mese, tornò il ricercatore “a” e dichiarò alla propria azienda che in Africa esisteva un mercato “enorme”. Il ricercatore “b”, differentemente, dichiarò che il mercato era “inesistente”. A fronte di queste due analisi diametralmente e totalmente opposte, le due aziende, riunite assieme, convocati i due ricercatori, chiesero loro spiegazione di una così divergente analisi e relativa conclusione.

Alla domanda di entrambe le aziende commissionarie, inerente l’affermazione di un mercato enorme, il ricercatore “a” rispose: “E’ un mercato enorme perché sono tutti scalzi, e camminano a piedi nudi”. Richiesta analoga spiegazione al ricercatore “b” circa l’inesistenza di detto mercato, quest’ultimo a sostegno della propria tesi, rispose: “Non hanno un euro per acquistare un sol paio di scarpe”!

Quindi? Avevano ragione entrambi, ma la “storiella” ha una morale: se non crei le condizioni di benessere, come puoi pretendere di vendere loro qualcosa? Come puoi sviluppare una economia di mercato?

Ecco la “cecità” dell’occidente che ora incomincia, ad un secolo di distanza, a fare questi ragionamenti e cioè che occorre creare in quelle terre le condizioni di vita migliori affinchè gli aiuti dati sul posto possano garantire una vita vivibile ed evitare così la necessità ad emigrare.

E ci voleva un secolo per capirlo? O quali menti eccelse? A questo ci ero arrivato anch’io quando andavo ancora a scuola, tanti anni fa… Allora lo scrivevo nei miei temi in classe per prendere un bel voto, ora invece il “tema” è un altro: non essere invasi.  Adesso che il problema è arrivato sin sulle nostre coste (e di riflesso anche alle porte degli altri stati europei…) vale un vecchio proverbio: “Quando l’acqua tocca il sedere, tutti imparano a nuotare”. Tradotto: “Quando la necessità o un problema ci pone nella condizione di dover agire, allora impariamo a fare cose che sino a quel momento non immaginavamo di saper fare”.

Nel caso della politica, dopo aver rimandato il problema per decenni, “fregandosene” perché l’acqua era alle caviglie, lor signori hanno fatto finta di interessarsene per poi, girare la testa da un’altra parte. Ora, invece, non possono più farlo. Per il bene di questa gente? Diciamo di sì, ma in realtà perché non venga intaccato il proprio (ed anche nostro, ovviamente) benessere!

Oh, è ritornato il “benessere”… Ogni tanto mi perdo per strada, o meglio, per mare…

Permettetemi una deroga. Nella mia vita professionale, al suo termine, ho aperto un centro estetico con una cabina dedicata al relax, una “cabina sensoriale” dove, comodamente sdraiati su una chaise longue si poteva godere di musica rilassante e, diciamo così, degli effetti dell’aromaterapia, della cromoterapia, ecc. 

La ricerca, in sostanza, dello “star bene” alias “ben essere” era una delle offerte che il centro metteva a disposizione della propria clientela. Se penso alle SPA (“Salus Per Aquam”, cioè “salute attraverso l’acqua”) affollate di persone che desiderano ritrovare equilibrio e salute, direi che siamo in linea con una esigenza sempre più crescente.

Relax in SPA

Benissimo.

E quelle popolazioni che quell’acqua la bevono laddove riescono a recuperarla da qualche pozzo o stagno o, nella migliore delle ipotesi, dall’acqua piovana (quando piove!)? Non vi sembra ci sia qualche sproporzione tra chi in quell’acqua ci sguazza (me compreso) e chi quello stesso elemento vitale non ce l’ha nemmeno per bere?

Allora, senza voler criminalizzare nessuno e senza voler fare discorsi retorici, sarebbe il caso di prestare maggiore attenzione a non sprecare ciò che ad altri manca totalmente, in senso lato, non solo l’acqua.

E quando penso ai nostri ragazzi che, in modo differente, ma a tutte le età, fanno i capricci perché questo cibo non piace, l’acqua del rubinetto “fa schifo” (a volte può anche essere…), ma che se anche fosse organoletticamente parlando “buona”, vogliono la bibita gassata, colorata e dolce o, al posto della “vecchia” fetta di pane con la marmellata, vogliono la “merendina” reclamizzata, altrimenti urlano e strepitano sino ad esaurire la mamma… beh, mi si arricciano i capelli: riflettiamo su quanto su descritto e cerchiamo di trasmettere questo senso di consapevolezza alle future generazioni educandole meglio, partendo dai nostri figli, in primis.

CONCLUSIONE

Nel concludere un po’ amaramente questa riflessione e nel desiderio di approfondire in un altro articolo proprio l’ultima considerazione, quella relativa all’educazione dei figli, mi congedo almeno con la speranza, ultima a morire, che qualcosa stia incominciando a cambiare, magari non per “altruismo”, ma per un “sano” egoismo: che il desiderio di continuare a “star bene” possa, di riflesso, far stare bene anche “gli altri”…

Con affetto, Antonio

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6 risposte

  1. Buonasera,
    leggendo l’articolo ho ripensato alle notizie del Tg che si ascoltano in tv.
    Molte volte vengono dimenticati questi grandi problemi, o accennati, e subito dopo accantonati.
    C’è molto egoismo e menefreghismo in tutto il mondo.
    Speriamo che si cambi questa visione globale.
    Un abbraccio

    1. Cara Ines, leggendo il tuo commento, devo dedurre che tu sia abbastanza giovane perchè il monito che lanci fa pensare ad una donna che spera in un futuro migliore dove poter crescere e vivere in un mondo più consapevole sia per sè stessi che per chi ci sarà dopo di noi. La tua sensibilità non può passare inosservata e l’augurio che tutti ci facciamo è che Qualcuno tocchi il cuore dei “potenti” della Terra, “potenti” che una infezione virale potrebbe stroncare nonostante tutte le armi di distruzione totale di cui possano disporre: non servirebbero a salvarli. Questa è l’illusione del mondo dove l’egoismo, il menefreghismo e la megalomania di pochi stanno mettendo a repentaglio la vita di tutti… loro compresi, ma che, accecati da un delirio di onnipotenza, nemmeno se ne rendono conto. Speriamo che la saggezza prevalga, che il buon senso guidi le scelte per un futuro più equo e giusto sperando, aggiungo, che non sia solo una “desiderata” e retorica aspettativa, ma una concretezza a… breve. Grazie, Antonio.

  2. Caro Antonio, temo che il mondo purtroppo non cambierà mai, che l’egoismo e l’indifferenza e soprattutto gli interessi economici di tanti paesi più fortunati e ricchi avranno sempre il sopravvento sulla triste e povera realtà altrui .
    Da quanti anni si parla di fame nel mondo, di mancanza d’acqua per alcune popolazioni ?
    Poco o nulla si è fatto, e poco o nulla si continuerà a fare, o meglio non si vuole fare.
    Ognuno di noi può dimostrare la propria solidarietà e rendersi partecipe con un piccolo aiuto, una preghiera, un gesto gentile verso chi ti tende la mano ma , come scrivi tu , “ sarà una goccia nell’oceano” .
    La tua cugina suora missionaria ha dedicato parte del suo “vivere” a “gli altri”, mi viene spontanea una domanda : quanti di noi rinuncerebbero anche a soli 15 giorni delle proprie vacanze al mare o in montagna, per trascorrerli magari in una missione in Africa ? io personalmente non l’ho mai fatto, sì sono stata in Africa ma in vacanza .
    L’immigrazione sempre più in crescita, alimenterà la possibilità di sfruttamento, alimenterà lamentele e ancor più intolleranze già esistenti.
    Proprio oggi un’amica/volontaria mi ha suggerito di leggere uno scritto/poesia di Erri De Luca :
    “ SIAMO GLI INNUMEREVOLI “ .
    Un abbraccio
    Mariagrazia

    1. Cara Mariagrazia, è con piacere che rispondo alla tua riflessione che, nemmeno farlo apposta, mi è pervenuta assieme a quella di un’altra persona, che stimo, entrambe nello stesso giorno. Ma la particolarità non è questa coincidenza quanto piuttosto la visione più pessimistica (la tua) rispetto a quella maggiormente ottimistica (la sua) sullo stesso tema, visto da due angolature diverse: questa è la bellezza e la ricchezza di poter esprimere e mettere a confronto le differenti opinioni su uno stesso tema. Fatta questa premessa e rispondendo alla tua considerazione, non posso che constatare realisticamente quanto affermi. L’egoismo che caratterizza molte persone e l’indifferenza di fronte alla sofferenza de “gli altri” è, purtroppo, davanti ai nostri occhi. Una terra meravigliosa come l’Africa, limitandoci ad essa, così come tu citi, ridotta ad un campo di battaglia e di macerie con la sua popolazione ostaggio degli interessi economici e dello sfruttamento delle sue risorse naturali è un qualcosa che fa gridare vendetta (più che giustizia…) senza contare le guerre dimenticate che insanguinano quei territori. Ci sarà mai giustizia per queste popolazioni? E’ una domanda alla quale ho cercato di dare una risposta o, meglio, di realizzare un’analisi nel mio articolo, ma di certo una soluzione in tempi brevi, pur con tutta la buona volontà, la vedo molto lontana. Vorrei essere più ottimista per controbilanciare la tua considerazione, ma sinceramente mi viene difficile. L’unica cosa è la speranza che, magari per il timore di una “invasione”, si incominci a cambiare atteggiamento e mentalità nell’interesse comune per una vita migliore per tutti, unica reale soluzione per scongiurare guerre fratricide, fosse anche non “per amore”, ma per interesse… Un abbraccio.

  3. Un breve commento ai tuoi pensieri, degni di nota e considerazione. Ma non temere, non è mia intenzione scrivere un trattato. È verissimo che viviamo in un mondo imperfetto, molto imperfetto, e che una parte della popolazione mondiale viva in condizioni precarie, di pericolo e di stress. Pur tuttavia, una parte di umanità, quelle donne e quegli che hanno presente l’ingiustizia di tale situazione non devono perdersi d’animo, e lottare affinché le cose cambino. Sul lungo periodo, sul nostro futuro, io voglio essere positivo. A cosa devo il mio sostanziale ottimismo? A una semplice considerazione. Questa. I primi ominini sono comparsi sulla Terra circa sei milioni di anni fa. I Sapiens hanno circa 200 mila anni. In questo periodo l’umanità qualche progresso l’ha pur fatto. Continuerà a farlo, possiamo contarci.

    1. Caro Enzo, vorrei essere altrettanto ottimista e, come cristiano, lo sono, confidando nell’intervento di Qualcuno che dall’alto possa toccare il cuore di chi detiene il potere che assoggetta il mondo ai propri voleri. Devo, però, darti atto che quanto affermi circa l’evoluzione della storia dell’uomo nei millenni ti dà ragione: l’unico “neo” è che la durata dell’esistenza di ogni singolo uomo non ha il dono di poter vedere, spesso, l’evoluzione positiva di questi cambiamenti nei tempi che gli son concessi di vivere. Questo, comunque, non deve farci chiudere in noi stessi ma “lottare affinché le cose cambino” perchè “Sul lungo periodo, sul nostro futuro, io voglio essere positivo” così come affermi. E questo lo condivido ed è sacrosanto non fosse altro che per il futuro dei nostri figli e nipoti. Nella speranza di un mondo migliore, ti saluto. Un abbraccio.

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