PREMESSA
Nel precedente Blog – “Domande (senza risposte…) a Dio Padre” – ho trattato il tema del nostro interrogarci sul perché il Signore Dio abbia agito così come ha fatto per salvare l’uomo dall’azione mortifera e mortale del peccato.
In questo articolo – tratto dal mio libro: “Diario Spirituale – Non di un eremita, di un mistico o di un Santo, ma di un uomo come te...” – desidero evidenziare la relazione tra la “Conversione” e il sacramento della “Riconciliazione” (la Confessione), dove i due termini possono, ad una lettura superficiale, essere considerati sinonimi. Qui di seguito l’argomento tratto integralmente dal cap. 17 del citato libro.
DAL Cap. 17 DEL LIBRO: “Diario Spirituale – Non di un eremita, di un mistico o di un Santo, ma di un uomo come te...”
Prendendo spunto da un articolo scritto dall’Arcivescovo Mons. Orazio Saricelli di Amalfi, qui di seguito, esprimo una mia riflessione sul valore della CONVERSIONE/RICONCILIAZIONE, due facce della stessa medaglia: la misericordia del Padre nell’operare la nostra salvezza. Solita nota pratica: la parte in corsivo è tratta dall’articolo, il resto è il mio commento. Ma procediamo con ordine e andiamo a leggere a quanto lì riportato.
“COME si può passare dalla confessione alla conversione? «Tra confessione e conversione c’è un legame molto stretto – ha spiegato l’arcivescovo Mons. Orazio Soricelli di Amalfi – Cava de’ Tirreni. La confessione è un incontro sacramentale con Cristo, che nel farci riconoscere i nostri peccati, ci risana, ci purifica e ci offre la grazia del perdono.”
…mentre
“La conversione è un cammino di rinnovamento di vita, che precede la confessione e deve continuare anche dopo”.
La domanda che apre questa riflessione ci interroga profondamente ed interroga soprattutto la nostra fallacità, la nostra debolezza, quella tendenza a ricadere in continuazione negli stessi peccati (che noia…), lasciandoci la sensazione che, comunque, da lì non ne usciremo mai…
Perché dico così?
Beh, a parte l’esperienza individuale ma, al tempo stesso, assai comune e che coinvolge tutti gli esseri umani a diverso titolo ma ad ugual risultato (leggi, il peccato…), c’è da considerare il senso di impotenza che ci assale e che cercherebbe di farci demordere dal corretto cammino sulla e verso la strada della salvezza. La valutazione finale ci porterebbe a concludere: faccio mille buoni propositi ma alla fine ci ricasco sempre… E allora cosa persevero a fare se non riesco a raggiungere gli obiettivi che mi son prefisso? Forse val la pena lasciar perdere e vivere alla giornata…
Ora, questo senso di sconforto è una delle tentazioni più forti che assale l’essere umano lungo l’arco della propria vita e non lo abbandona mai sino a quando non diparte: il diabolico serpente ci sibila sempre nella mente che non possiamo farcela, che siamo troppo deboli per sopportare una prova di questo genere (cioè quello del non più peccare, della conversione…) e che possiamo anche essere giustificati da noi stessi se cadiamo e non abbiamo più la voglia/forza di rialzarci… il peso postoci sulle nostre fragili spalle è sproporzionato… che colpa possiamo mai attribuirci di fronte alla quotidiana esperienza del fallimento…? E via di questo passo.
È chiaro che se ci lasciassimo cullare da queste “sirene” di certo andremmo a sbattere contro gli scogli, qui sì, del fallimento finale! Dio ce ne scampi e liberi! Il punto sta, dopo aver compreso che quella diabolicamente suggeritaci non è la strada giusta, nel COME riuscire a difendersi da questi imbonimenti, da questi inganni e prendere la decisione di cambiare rotta, effettuare la CONVERSIONE, l’inversione ad “U” della nostra marcia…
L’arcivescovo Mons. Orazio Soricelli di Amalfi, ci suggerisce che la conversione deve precedere la confessione, ma come può avvenire detta operazione se non ci pentiamo dei nostri peccati? Grazie a Dio, Lui ci tocca, magari in un momento particolare della nostra vita, a seguito di una esperienza che ci ha profondamente colpiti, una disavventura che ha fatto cadere le nostre umane certezze, un rovescio economico-finanziario che ha messo a repentaglio la nostra confortevole routine quotidiana.
L’arcivescovo continua:
“L’amarezza della colpa, il desiderio di una vita santa e la grandezza della misericordia di Dio, ci sospingono nell’itinerario di conversione. La riconciliazione sacramentale ci fa sperimentare la gioia del perdono e ci aiuta a liberarci dal peccato”.
Quale pensiero illuminato! Il Signore ci rende consapevoli delle nostre colpe, ci fa sentire nella coscienza che ciò che abbiamo compiuto è male, ma non ci castiga e ciò ci spinge a convertirci, a cambiare strada, appunto! Anzi, facendoci desiderare il bene con la Sua infinita misericordia ci riconcilia a Lui per il tramite del sacramento della riconciliazione. La tanto sofferta “confessione” sacramentale, quel dono meraviglioso che non ci tortura, non si trasforma in un interrogatorio senza fine, aggiungendo dolore e vergogna alla nostra già provata natura umana, ma ci libera da quel peso, da quella sofferenza interiore donandoci la gioia vera, quella che proviamo quando riceviamo il perdono dei nostri errori!
Ma, contemporaneamente, ci esorta a stare attenti ricordandoci che:
“La confessione non è un atto automatico, che ci immunizza dai riflessi del male”. Dobbiamo fare i conti con la nostra fragilità, con “quel guazzabuglio del cuore umano” – come soleva dire il Manzoni – che ci porta a sbagliare e cadere. Nel nostro cuore albergano contraddizioni: desideriamo il bene, ma ci troviamo a compiere il male”.
E qui ci ritroviamo alla grande! Il nostro cuore è un “casino”, una fucina di pensieri e desideri in continua altalenanza tra di loro, spesso incoerenti e contraddittori che, alla fine, ci lasciano più confusi e svuotati di prima: è qui che ci sentiamo persi, stanchi di combattere, desiderosi di mollare il colpo…, in una parola, sfiduciati, senza speranza. Nessun’altra frase come questa “quel guazzabuglio del cuore umano”, di manzoniana memoria, poteva meglio sintetizzare una verità sacrosanta: forse il Signore, nostro Creatore, conoscendo appieno questa natura “cardiaca” questa dicotomia tra il nostro desiderare il bene e il compiere il male, come diceva San Paolo (Rom. 7,15-25): “Infatti non quello che voglio, il bene, io faccio, ma il male che detesto, questo faccio “, compensa questo nostro limite creaturale abbondando con la Sua misericordia comprendendo come spesso il nostro mal agire non sia dettato dalla volontà (“…piena avvertenza, deliberato consenso, materia grave…”) e che siamo estremamente volubili nel nostro cambiar atteggiamento, nel bene e nel male, pronti tanto a sbagliare, quanto a pentircene… anche all’ultimo momento. Ma:
“La confessione non è un atto automatico, che ci immunizza dai riflessi del male”
Non mi stancherò mai di ripetere che la nota concupiscenza, quella tendenza al male che l’originale peccato ci ha lasciato in eredità, purtroppo non eliminata dal sacramento del Battesimo, continua ad operare in noi. Appena confessatici, sembrerebbe che Satana e/o i suoi emissari, ci aspettino fuori dal confessionale incominciando pazientemente a provocarci di nuovo.
Come?
Per prima cosa insinuandoci nell’anima il dubbio di non esserci confessati bene, facendoci magari tornare alla mente qualche peccato veniale dimenticato, non accusato, o creandoci la perplessità che quel peccato più grave non l’abbiamo confessato con tutta quella dovizia di particolari “scabrosi” (in realtà nell’accusa non è richiesta la “dovizia di particolari”, ma un sincero pentimento per quell’azione sbagliata…); a ciò aggiungiamo che se lo ascoltiamo, arriveremo alla conclusione non solo di non esserci confessati bene ma di aver commesso anche un sacrilegio….! Oppure, ci aspetta fuori dalla chiesa per offrirci un “passaggio” verso la prossima tentazione: una donna (o un uomo) che ci attrae molto e che magari ci passa proprio lì davanti con un sorriso ammiccante… Dunque, sconfitti ancora una volta?
No, ma la lotta è continua e… continua:
“L’autentica conversione opera la rottura con il male ed esprime la buona volontà dell’uomo. I segni di una conversione sono la concretezza, la costanza, la radicalità e l’amore. Nel cammino di conversione è bene non confidare soltanto sulle proprie forze, ma poggiarsi sulla forza che viene da Cristo e lasciarsi toccare dalla sua potenza guaritrice”.
Mi sembra che la via sia chiara anche se non facile da seguire. La cosa più difficile da attuare contando soltanto sulle proprie forzeè quella di operare questa rottura con il male cioè quella dicotomia tra bene e male, senza indugi. Ma se ci avvaliamo e ci appoggiamo sulla forza che viene da Cristo, allora il gioco diventa meno arduo. Però bisogna volerlo e non sempre lo vogliamo perché il male è più attraente (da uomo: credo sia indiscutibile che arrechi più piacere una “scappatella” con una bella donna che non passare un’ora ad accudire una anziana donna con problemi psichiatrici…). Ma quali “esercizi”, quali mezzi abbiamo a disposizione laddove volessimo operare seriamente questa conversione?
“Un programma di vita pratico, intelligente e realistico, sostenuto dalla preghiera e illuminato dalla Parola di Dio, potrà essere una valida difesa alla nostra debolezza e farci progredire sulla strada della santità”.
Il consiglio e i mezzi sono alla nostra portata. Ora tocca a noi volerli utilizzare o rifugiarci nelle nostre solite giustificazioni appellandoci solo alla misericordia di Dio quale elemento di compensazione… Ma, anche qui, confidiamo in essa sinceramente, in modo autentico e, almeno, abbiamo l’umiltà di ammettere le nostre incapacità anche ad avvalerci del Suo aiuto. Quantomeno, a nostra “discolpa”, potremo portare l’onestà di ammettere, col cuore, le nostre colpe.
Poi… affidiamoci alla Sua misericordia, appunto!
Con affetto, Vostro Antonio.