Antonio Palmiero

“SIN CHE LA BARCA VA…”

SIN CHE LA BARCA VA..._AntonioPalmiero

PREMESSA

No, non è la canzone di Orietta Berti del 1971, il tema di questo Blog, ma parleremo di un’altra barca, un po’ più importante: quella che ci viene raccontata nel Vangelo di Marco 4, 35-41.

TESTO DEL VANGELO (Mc 4, 35-41)

35 In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano delle altre barche con lui. 37 Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. 38 Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» 39 Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia. 40 Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» 41 Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?»

ANALISI

Un’altra predica? Nemmeno questo perché non sono un prete né è mio compito redigere un’omelia, ma da cristiano non posso non rilevare, per coerenza, il significato e il risvolto pratico che la Parola ci suggerisce per aiutarci a vivere meglio la nostra vita sia spirituale/interiore che materiale, quella di tutti i giorni.

Analizziamo il testo, così pieno di riferimenti, anche se in chiave metaforici, con la nostra realtà umana.

Passiamo all’altra riva”. Già in questa espressione possiamo immaginare la nostra vita che deve raggiungere una meta (l’altra riva) e per farlo necessita di un mezzo, di uno strumento in senso lato, qui rappresentato da una barca – capite ora il riferimento del titolo preso in prestito dalla canzone di Orietta Berti – ma cosa ancor più importante occorre prendere con sé Lui, così com’era, senza cioè ulteriori oggetti/orpelli di cui spesso infarciamo la nostra esistenza o prima di intraprendere la nostra impresa.

Penso sia chiaro che quella barca è la metafora della nostra vita. Anche nella canzone il significato che le si attribuisce – tratto da www.perchèsidice.it – è che: “… nella vita e soprattutto in ambito amoroso, finché tutto procede bene non vale la pena di fare cambiamenti, meglio procedere nello stesso modo, eventualmente si vedrà successivamente il da farsi”.

E qui arriviamo, come anticipato nel significato della canzone, al punto: sin che le cose vanno ben, qual è il problema? Il discorso non fa una grinza perché, giusto per rimanere nella metafora, la barca/vita, galleggia sull’acqua di un lago, di un mare, di un fiume, ma quando quella superficie acquea inizia ad incresparsi, ecco che qualche problema inizia a presentarsi.

Ricordiamoci che il mare (qui ci troviamo sul “mare di Galilea”, in realtà era/è un lago, quello di Tiberiade o di Genezaret) rappresentava il luogo del male anche perché il suo burrascoso manifestarsi era umanamente molto temuto per pericolosità e per la sua azione devastante anche in rapporto alle imbarcazioni dell’epoca che lo solcavano.

Permettetemi una breve deroga. Nel Vangelo di Matteo 14,22-33 Gesù camminava e Pietro, invitato dal Signore a raggiungerlo camminando a sua volta sulle acque calme, a fronte della violenza del vento, si impaurì e iniziò ad affondare. Il Signore lo redarguì con le famose parole: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato” (Mt 14,31) salvandolo dall’affogamento. Il camminare di Gesù sulle acque/male indica la Sua superiorità divina sul male/maligno stesso, mentre l’essere umano, Pietro, ne è soggetto e vittima se non aiutato dal Signore.

Così anche in questo episodio evangelico, a causa di “Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva.” (Mc 4,37).

Eccoci qui. Quante volte nella nostra vita tranquilla (“sin che la barca va…”) all’improvviso, si scatenano tempeste, disgrazie che turbano sin anche a devastare la nostra serenità? Una separazione dalla persona amata; un lavoro che si viene a perdere; un evento atmosferico che distrugge la nostra abitazione come un uragano, un terremoto; la morte di una persona cara; un figlio che prende una strada sbagliata con scelte irreversibili (droga, malaffare…).

Ecco che il nostro quieto vivere va in frantumi e mai come in queste circostanze ci chiediamo – per chi crede in Dio – Lui dove sia e cosa faccia… Per caso è assente o sta dormendo?

In esordio al brano evangelico, al versetto 36, si dice: “…lo presero con sé…” quindi il Signore è lì con loro, ma “Egli stava dormendo sul guanciale a poppa”. Nel prosieguo, al versetto 38, si legge: “…Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?»”. Che quadretto! I discepoli che ormai stanno perdendo ogni umana speranza di affondare (Pietro…) e il Signore che se la prende comoda (“… Egli stava dormendo sul guanciale…”)e, appunto, dormiva… Se non fosse drammatica, la scena si presterebbe ad uno sketch comico!

E forse non ci rivediamo anche noi in questa situazione quando le disgrazie ci colpiscono, magari non “una dopo l’altra” se non, addirittura, “una sull’altra”? Qui sorge immediata una riflessione. Si diceva poc’anzi che sino a quando le cose filano lisce, del Signore poco ci preoccupiamo, anzi se “dorme” e guarda altrove ci fa anche una cortesia: in forma poco rispettosa senza, evidentemente, alcun accostamento o intento offensivo, mi verrebbe da citare il proverbio: “Non svegliare il can che dorme”, alias, non sia mai che poi Lui ci impegni con qualche richiesta devozionale o qualche sacrificio ai quali ci sentiremmo obbligati in coscienza ad accettare…

Ma quando iniziano ad andare storte e per più tempo, allora, smarriti/perduti, ci domandiamo dove sia e perché non interviene ad aiutarci (magari accampando anche meriti nei Suoi confronti…). Allargando il campo, ci chiediamo anche che fine abbia fatto di fronte alle realtà violente dell’esistenza umana: guerre (e due di queste, tra la settantina in atto sparse per il mondo, molto pericolose per i risvolti distruttivi a livello di minaccia nucleare prioritariamente da parte della Federazione russa); calamità naturali sempre più devastanti; violenze sulle donne e sui minori, ecc.

Lo stesso Papa Benedetto XVI nel viaggio apostolico in Polonia, dal 25 al 28 maggio del 2006, nel campo di Auschwitz-Birkenau, nel suo discorso disse: “Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. E se lo disse un papa, credo sia lecito domandarcelo anche noi nelle nostre “piccole Auschwitz” quotidiane…

Lo stesso “Paradosso di Epicuro” si interroga sulla natura e l’esistenza stessa di Dio, ma torniamo al brano evangelico perché il discorso potrebbe dilatarsi all’infinito senza, peraltro, trovare risposte al perché esiste il male, la sofferenza e, in una parola, la morte!

39 “Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia”.

Forse che il Signore del creato si fosse dimenticato della Sua creatura? Spesso è vero il contrario… Veramente si fosse addormentato e distrattamente avrebbe fatto perire quei quattro poveretti pieni di paura? O, piuttosto, volle mettere alla prova la loro fede in Lui? Domandiamocelo anche noi ogni qualvolta ci troviamo con l’acqua alla gola e ci sentiamo perduti, là dove i nostri soldi, le nostre certezze crollano in un istante e si tramutano in “sicure” incertezze… Ma se abbiamo fede in Lui, non ci abbandonerà, statene certi!

Consentitemi, a fronte di questa affermazione, giunti quasi al termine di questo percorso, di segnalarvi il libro da me redatto e più volte richiamato nei miei blog quando si tocca il tema della fede e dell’affidamento al Signore, dal titolo: <<Solo “Casualità” o Progetto?Accadimenti particolari di una comune esistenza>> dove sono raccolti episodi che trovano una giustificazione solo nella preghiera e nella invocazione di fede, fatti particolari difficilmente spiegabili razionalmente.

Detto questo, la risposta al quesito appena sopra sollevato, la troviamo nel versetto 40 del brano evangelico che stiamo analizzando: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E qui l’accostamento a Pietro salvato dall’affogamento sulle acque, va da sé: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato” (Mt 14,31).

Ancora una volta la “paura” caratterizza il raporto tra uomo e Dio come sin dalle origini dei nostri progenitori: “Rispose [Adamo] <<Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gn 3,10). Infatti il brano evangelico si conclude ribadendo questo stato d’animo: “Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?» (Mc 4,41).

Vedete come siamo pavidi? Quando i venti della sventura o, se preferite, della prova, ci soffiano contro con veemenza, allora la nostra fede, la nostra speranza di salvezza vengono meno perché contiamo su di noi, sulle nostre forze e non su quelle di chi ci sta sempre accanto, silenziosamente, per non disturbarci, ma che quando si manifesta, invece di sentirci confortati, ne abbiamo paradossalmente paura!

Pusillanimità della umana natura e arroganza che porta l’uomo a non fidarsi di Dio o a disconoscerlo perché non se ne sente il bisogno (“sin che la barca va…”) per poi temerlo invece di amarlo ed essergli riconoscente di una riconoscenza d’amore gratuita e deciderci finalmente per Lui!

CONCLUSIONE

Vi riporto, a conclusione di questa riflessione, per chi coraggiosamente sia giunto sin qui, una frase introduttiva tratta dal foglietto della S. Messa de “LA DOMENICA” del 23/6/2024 che rappresenta un po’ il leitmotive di questo Blog:

“Dobbiamo chiedere con costanza che il Signore accresca la nostra fede. Non è sufficiente credere quando tutta funziona e scivola via tranquillo. E’ nelle tempeste, nelle “crisi” della nostra vita che siamo chiamati ad essere discepoli credibili per attrarre, con la nostra testimonianza, alla Verità di cui siamo credenti”.

Buona navigazione a tutti, dunque, e, non temte, Lui non “dorme”, ma soprattutto ci è sempre vicino “…lo presero con sé, così com’era, nella barca.” (Mc 4,36) nella Sua semplicità, come uno di loro, “così com’era”…

Una cosa sola, però: dobbiamo avere fede in Lui altrimenti “affondiamo” nella nostra presunzione di potercela fare da soli e di poter fare a meno di Lui.

Con affetto, Vostro Antonio.

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2 risposte

  1. Una riflessione di profonda interiorità, di elevata qualità, e non vorrei che queste disquisizioni risultassero vane. Come dare perle di saggezza ai porci. Di gente atea , miscredente, attaccata alla materialità ce n’è a iosa. Non hanno il dono del discernimento. Per mio conto farò tesoro di quanto scritto perché interessato ad approfondire tematiche di crescita spirituale.
    Ma sono convinto che molti non risponderanno per disinteresse, ignoranza, ignavia.

  2. Caro Carlo, il dono del discernimento dello Spirito, di cui Sant’Ignazio di Loyola è il massimo rappresentante con i suoi famosi “Esercizi”, porta a riflettere su quanti lo esercitino nella propria vita quotidiana o meno. Il materialismo, l’esclusivo pensare a questa vita terrena, alla soluzione dei problemi che essa pone, svilisce la nostra esistenza ed essenza e ci trasforma in “problem solver” svuotando di valore e di senso la nostra stessa vita. Chiaramente siamo costituiti di un corpo che è materia ma che è anche il tempio dello Spirito: “19 O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1Corinzi19). Ognuno poi è libero di ascoltare, credere o non credere e seguire ciò che preferisce e va rispettato nella propria decisione. Al termine della propria esistenza tirerà le somme e gli auguro di potersi ravvedere per tempo circa il rapporto con chi lo incontrerà nella “vita oltre la vita”. A me il compito di proporre e di far riflettere su questi temi di spiritualità nel massimo rispetto di chi la vede in modo differente. Grazie Carlo per il tuo commento e rimango aperto a chiunque altro desiderasse esprimere la propria opinione su quanto proposto nell’articolo o sui commenti qui riportati. Con affetto, Antonio.

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