INTRODUZIONE
Non è un errore o una distrazione relativa alla domanda così formulata. Qualcuno l’avrebbe introdotta con un “Chi è” il maestro. Volutamente, invece, ho preferito questa soluzione per poter definire da “cosa”, da quali elementi/fattori un maestro dovrebbe essere caratterizzato per esser definito tale. Questo il quesito.
ANALISI
Premesso che non sono un insegnante di scuola, sono però stato anch’io un allievo che, dalle allora elementari sino ai primi due anni di università (Ingegneria frequentata al serale come studente-lavoratore), ha vissuto questo rapporto con quella figura che ci siamo proposti di definire ed inquadrare meglio.
Ricordo ancora il mio primo giorno di scuola quando, grembiule nero per maschietti e relativo fiocco blu – tra l’altro eravamo solo maschi, non esistevano all’epoca le classi miste – entrai nella mia aula come “remigino” – nomignolo affettuoso che veniva dato ai bambini che accedevano alla prima elementare – orgoglioso di vivere questa novità assieme ad un’altra quarantina di compagni pari età, ovviamente, salutando mia mamma e venendo accolto dalla mia maestra, unica, che mi ha accompagnato per le prime due classi.
Altro che gli scarsi venti alunni di oggi… (da minimo 15 a massimo 26) e le tre quattro insegnanti…
Così come, in un numero minore perché un po’ selezionati già alle prime due classi e poi anche per esigenze formative, accedevo alla terza elementare accolto da un altro maestro sino alla quinta. Mi fermo qui in quanto parlando di “maestri”, questo termine lo attribuisco solo a queste due figure vissute alle mie elementari. Confesso, era una scuola parificata dei Fratelli delle Scuole Cristiane di De La Salle. Quelli non erano semplici insegnanti, ma persone vocate all’insegnamento, il che è differente, molto differente…
Come mai? Perché, quelli che ho conosciuto alle medie inferiori, eccezion fatta per una o due figure, escludendo totalmente quelli delle medie superiori, di “maestri” avevano ben poco: “insegnanti” sì (con molti distinguo, soprattutto quelli delle medie superiori…), “maestri” no.
Filosofico gioco semantico? No, realtà vissuta e cioè la differenza che, al confronto, si evidenziava sia sotto il profilo formativo, teorico-pratico, che umano, di vita.
Mi spiego meglio.
Dal punto di vista della formazione primaria, è chiaro che non hai bisogno del professore che sciorina la sua lezione e se ne va – tipo docente universitario – ma di una “mamma” o di un “papà”, pazienti, che ti prendano per mano, ti insegnino a leggere, scrivere e far di conto (così si diceva ai miei tempi) per renderti via via sempre più autonomo sino a diventare indipendente. Ma il vero maestro ti dà anche una educazione che, così dovrebbe essere, sia in continuità e coerenza con gli insegnamenti avuti in famiglia. Ciò, allora, avveniva.
Oggi mi sembra che questo patto scuola-famiglia si sia disastrosamente sgretolato al punto tale che viviamo realtà in cui i genitori dei propri ragazzi vadano sì a scuola al “colloquio” con i professori, ma più che colloquiare, capita sempre più spesso che gli mettano le mani addosso!
Ma il maestro, quindi, è solo quello che insegna una materia umanistica o scientifica che essa sia? No, il maestro dovrebbe diventare “maestro di vita”, cioè colui il quale fornisce quegli strumenti, non solo didattici, ma anche orientativi e motivanti all’allievo, a seconda dell’età del discente: alle elementari, ad esempio, la motivazione poteva essere quella che l’alunno riuscisse a leggere e scrivere da solo e iniziasse ad apprendere nozioni che stimolassero la sua curiosità e sviluppassero la sua creatività.
Nell’età più adulta, nei gradi successivi di scuola, i maestri dovrebbero concorrere a guidare, oltre che istruire, a sviluppare percorsi di vita futura dando agli studenti stimoli che diventino vitali per la realizzazione del giovane, sostenendoli nelle loro iniziali difficoltà, comprendendo le loro aspettative e motivandoli con obiettivi di più ampio respiro che non sia la sola conquista del “pezzo di carta” o l’acquisizione di qualche nozione fine a sé stessa.
LA REALTA’
Per quanto mi è dato sapere e mi vien riferito da conoscenti e amici che operano nella scuola, gli studenti di diverso genere e grado, nella maggioranza dei casi, si trovano a vivere il periodo scolastico come una grande “seccatura” da dover sopportare non capendone né il motivo di questa “costrizione”, né avendone chiara l’importanza per il loro futuro.
Annoiati, assonnati (la sera diventa la notte, prima di andare a dormire, con l’uso di tutti i dispositivi elettronici a disposizione sino a tarda ora: dalla playstation al cellulare, tutto compreso), demotivati, trascorrono le ore di scuola attendendo il suono della campanella che pone fine a quello “stillicidio”.
Colpa di chi? Dei ragazzi che non hanno voglia di studiare e pensano solo a godersela il più possibile in ogni momento della propria giornata ripudiando ogni forma di sacrificio o di un corpo docente che, a vario titolo, non sa più comunicare con gli studenti e ancor meno stimolarli a sviluppare i loro interessi, a materializzare le loro idee (perché tutti i giovani, se compresi, possono esprimere potenzialità inaspettate!)?
Forse un po’ degli uni, un po’ degli altri, ma se devo riferire la mia personale esperienza, soprattutto negli anni delle medie superiori (anni 1973 – 1978, nel pieno caos del famoso/famigerato ’68) devo dire che quel decennio di contestazione e distruzione di quel sistema scolastico – che era sì nozionistico, ma sostituito con una alternativa, proposta e realizzata, peggiore del male che si voleva curare – ha prodotto i suoi frutti… marci!
Conservatore di un mondo che fu con i rimpianti di chi afferma “ai miei tempi…”? No, nessuna nostalgia fine a sé stessa, ma l’amara constatazione di una realtà che preoccupa per il futuro non solo dei giovani protagonisti di questa involuzione culturale, dalla cultura didascalica, ma anche per il futuro di questa nazione.
Perché? Perché quando al posto di figure accademiche rappresentate da scrittori, filosofi, teologi, poeti, sociologi, scienziati delle diverse discipline – nel campo della medicina, fisica, astronomia, arte pittorica, scultorea, ecc. – abbiamo sulle cattedre, soprattutto, cantanti e gruppi alla Maneskin o rapper (nulla contro la musica, ma verso alcuni di questi soggetti, anche in odore di criminalità… sì) allora credo che non possiamo augurarci un grande futuro né culturale né sociale in tutte le relative manifestazioni ed applicazioni del vivere quotidiano.
RISCONTRI
Vecchio “parruccone” dei tempi andati? Se scrivessi ed affermassi ciò che qui sto redigendo in modo acritico ed esclusivo, potrei anche accettare una etichetta di questo tipo, ma fortunatamente per me e drammaticamente comunque per il vivere comune, non sono né il solo, né l’unico.
Mi permetto di riportare un estratto (spero di non violare nessuna regola di riservatezza…) del critico d’arte e scrittore Luca Beatrice che sul giornale Libero del 2 aprile 2024, in esordio del suo articolo “Oggi i cattivi maestri sono pure ignoranti e gli studenti diventano come loro”, così scrive:
“Tra cattivi maestri e studenti ignoranti, la scuola italiana versa in condizioni davvero preoccupanti, né si intravedono soluzioni per riabilitarne le sorti.”
Prosegue:
“…soprattutto nelle facoltà umanistiche dove si dovrebbero nutrire il libero pensiero e la maturità di giudizio, l’indottrinamento ideologico domina sulla preparazione culturale.”
Continua:
“…però rispetto agli anni ’70 quando nelle aule scolastiche il fenomeno dell’antagonismo si mescolò a frange terroristiche e criminali, manca quell’impegno culturale richiesto anche a studenti e professori imbevuti di pericolosa ideologia. Marx, insomma, lo dovevi imparare in filosofia ed economia.”
Procede:
“…Del sapere (agli studenti) frega loro nulla ed è difficilissimo tirarli dentro su questioni rilevanti in quanto privi di memoria e profondità storica. Un tempo, giunti all’università, almeno le nozioni di base si davano per scontate, oggi non è più possibile.”
Ancora:
“Ai miei tempi (ebbene sì, l’ho detto!) i cattivi maestri, pur non avendomi mai attratto nella mia vita da universitario, pretendevano che si studiasse, quelli di oggi oltre che cattivi sono ignoranti, parlano per frasi fatte, senza costrutto, banalotti non richiedono agli allievi particolare preparazione perché neppure loro hanno letto quei libri necessari per insegnare. E nell’ignoranza cresce il virus dell’ideologia malsana.”
E, riferendosi agli esami dati, aggiunge:
“Gli esami si preparano in un fine settimana e altrettanto rapidamente si dimenticano, la tesi che un tempo non bastava un anno di lavoro è poco più di un articolo.”
Conclude…
“Sbagliato fare di tutta l’erba un fascio. Alcuni studenti (pochi) sono davvero bravissimi e alla fine si lavora per loro anche se non è giusto perché la scuola dovrebbe davvero essere inclusiva, ma a furia di abbassare il livello per permettere a mediocri e scansafatiche di stare al passo, ti perdi i migliori che invece andrebbero salvaguardati e protetti perché saranno loro (non gli altri) la classe dirigente di domani.”
…con rammarico:
“Costretti ad uniformarsi sul basso non c’è bisogno di insegnanti e docenti particolarmente preparati: più semplice allora far passare l’ideologia invece della cultura, mentre i più bravi è della cultura che hanno fame…”
Termina:
“Studenti così danno ancora un senso al nostro mestiere, quegli altri che urlano ai cortei blaterando di politica senza saperne niente, senza neppur aver letto i testi sacri delle loro parrocchie li lascio andare volentieri e non mi curo di loro”.
Detta alla Dante Alighieri “Non ti curar di lor ma guarda e passa” (pur se nella versione popolare del “Non ragioniam di lor, ma guarda passa” – Inf. III, 51 – è pronunziata riferendosi al non doversi preoccupare delle bassezze o delle calunnie della gente).
CONCLUSIONE
Non so se abbia risposto al quesito iniziale, ma credo che una risposta più eloquente l’abbia data l’articolo riportato. Ora lascio a voi completare con un vostro commento, qui in fondo al blog, al quale sarò lieto di rispondere.
Con affetto, Vostro Antonio.