INTRODUZIONE
Uhm… cosa c’entra?
Ecco, vorrei iniziare questo articolo da quel “mugugno” che spesso si sente a commento del binomio presente nel titolo o, forse, come verso di sconforto nei confronti di una realtà che, prima o poi, che lo si voglia o meno, tocca tutti gli esseri umani.
Intendo la “Fede” o la “malattia”? Beh, in un certo qual modo, entrambe le cose perché anche la mancanza di fede può trasformarsi in uno stato di malessere dell’anima, quindi anch’essa assimilabile ad una malattia, non fisica, ma morale, psicologica che può trasformarsi in malattia psico-somatica: depressione, ansia, ecc. che si riflettono sul nostro corpo con reali patologie fisiche.
Vogliamo provare ad analizzare la questione senza preconcetti e con la mente aperta anche alla razionalità? Razionalità? Parlando di “Fede” è una bella sfida…
LA FEDE
Ma cos’è esattamente la Fede? Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 166 così recita:
“166 La fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da sé stesso, così come nessuno da sé stesso si è dato l’esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri.”
Volendo aggiungere un’altra definizione, al n° 1814 si legge:
“1814 La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ha detto e rivelato, e che la Chiesa ci propone da credere, perché è la stessa verità”.
Uhm… questo suono mi torna alle orecchie. In un mondo di scettici, di fake news, di notizie sui social che annunciano la morte delle persone più in vista (di recente, da Dino Zoff ad Al Pacino, ecc.) – per poi farle “risuscitare” il giorno seguente… – come si fa a credere a un Dio che nemmeno abbiamo mai visto o a un Gesù di cui ci viene raccontato di tutto e di più, ma che anche Lui non abbiamo mai incontrato?
Eccoci, siamo arrivati al punto da cui è partito San Tommaso (ricordate? In Gv 20,25 si legge:“25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò») ricredendosi otto giorni dopo quando Gesù riapparve ai discepoli raccolti nel cenacolo dove era presente anche l’apostolo incredulo.
In Gv 20, 26-29 c’è scritto:
“26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». 28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»”.
Come vedete siamo spesso anche noi in questa situazione: il dono della vista, altrettanto spesso, è il maggior ostacolo alla nostra fede. Il “non credo se non vedo” è il primo impedimento; il secondo è funzione del primo: “non credo se non tocco” e qui ancora una volta San Tommaso “docet”, cioè, insegna.
Vista e tatto appaiono più che come dei doni, dei veri e propri ostacoli. È appena uscito il mio libro “<<Ma io non credo in Dio!>> – ma Lui crede in te…” dove ho cercato di individuare i motivi che ci impediscono di credere in Dio, o quantomeno ricercarlo.
Ebbene, nel rimandarvi a questo testo per individuarne le ragioni, quello che desidero evidenziare qui è come anche di fronte all’evidenza, talvolta, siamo restii a convincerci di un fatto di per sé inspiegabile. Sto parlando dei miracoli, chiamati anche “le stampelle della fede”, cioè di quegli aiuti affinché, per la straordinarietà degli eventi manifestatisi, scientificamente indimostrabili, le persone possano accettare la sovrannaturalità dell’evento stesso. Mi permetto, a tal proposito, di suggerirvi la lettura del libro da me redatto – non me ne vogliate… – dal titolo: <<Solo casualità o “Progetto” – accadimenti particolari di una comune esistenza>>
Nel brano evangelico di Marco (5, 35-36; 39-42) ho evidenziato in grassetto due frasi:
35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
La prima espressione: «Non temere, continua solo ad aver fede!»rivolta a Giairo – il capo della sinagoga – lo esorta a perseverare nella fiducia riposta in Lui, al quale si era rivolto per la guarigione della figlia, nonostante la cattiva notizia che lo aveva raggiunto – «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?» – che avrebbe scoraggiato chiunque e fatto cadere ogni speranza.
La seconda espressione è invece appannaggio dei curiosi, increduli, del mondo… che invece di dar ascolto alle parole di Gesù, lo deridono: “40 Ed essi lo deridevano”.
Quale diverso atteggiamento!
Ma, domando, forse non assumiamo anche noi quello stesso modo di deridere o, quantomeno, di “sorrisino sulle labbra” quando ci viene detto di affidarci al Signore perché “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37)?
Pensiamo a quanti malati affetti dalle patologie più gravi si ritrovano nel corso della propria vita, magari ancora giovani, per esempio con un cancro da dover combattere, magari padri di famiglia terminali, genitori con figli da crescere, mogli e madri che colti da una malattia invalidante si ritrovano su una sedia a rotelle, ecc.
Forse che in questi casi l’affidamento, cioè il riporre la propria fede in qualcuno che possa salvarci, vi sembra così fuori luogo? E credo ci sia veramente poco da ridere…
Ma si potrebbe obiettare: “Cosa c’entra la fede con la “medicina”, cioè con l’arte medico-chirurgica?”. Di per sé nulla, ma il pregare con fede, talvolta genera miracoli e guarigioni umanamente impensabili e scientificamente inspiegabili. Non vorrei apparire ridondante o autoreferenziale, ma leggete il testo su riportato (quello sulla casualità…) e potrete riflettere su questo aspetto e, magari, ri-credervi… Però, bisogna crederci.
Nel Vangelo di Giovanni (9, 6-7; 35-38) – la parabola del “cieco nato” – si legge:
“6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva…35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui”.
In Luca (8, 43-48) si legge, relativamente al miracolo della guarigione di una emorroissa:
“43 Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, 44 gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. 45 Gesù disse: «Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». 46 Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me».47 Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita.48 Egli le disse: «Figlia,, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace!»”.
Negli Atti degli Apostoli (Atti 3,1-16; 4, 7-10) è riportato:
“3,1 Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. 2 Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. 3 Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina.
6 Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». 7 E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono 8 e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
11 Mentr’egli si teneva accanto a Pietro e Giovanni, tutto il popolo fuor di sé per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone. 12 Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?
16 Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.
7 Fattili comparire davanti a loro, li interrogavano: «Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?». 8 Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, 9 visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, 10 la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo”.
A titolo sintetico vi riporto i seguenti casi in cui, a fronte della fede, il Signore Gesù ha operato dei miracoli di guarigione fisica, lasciando ad ognuno di voi il voler andare a leggere e approfondire i singoli episodi evangelici, cliccando sul relativo link:
E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Credo sia sin “monotona” – e penso non sia sfuggito a nessun lettore, anche il più distratto – che la frase “magica” ripetutamente espressa sia: “…la tua fede ti ha salvato!”
Mi fermo qui, perché non posso riportare tutti i miracoli che fece Gesù nell’arco temporale della Sua seppur breve vita pubblica terrena (tre anni, iniziata con la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana di Galilea) né quelli compiuti dai Suoi apostoli nel Suo nome, ma voglio richiamare la vostra attenzione sul miracolo compiuto da Pietro nell’episodio qui appena riportato.
Perché? Perché abbiamo precedentemente detto che “…il pregare con fede, talvolta genera miracoli e guarigioni umanamente impensabili e scientificamente inspiegabili” ed oggi accadono ancora – pur in assenza della presenza fisica di Gesù sulla Terra e dei Suoi 12 Apostoli -, ma questi avvengono per il tramite di uomini come noi che, con fede e per il suo tramite, ottengono le grazie di guarigione che chiedono, ripeto, con fede e ricevono non per magia o “superpoteri”, ma con la preghiera e di invocazione e di intercessione.
Quanti casi (Lourdes docet…) di guarigioni inspiegabili sono avvenute nei secoli, e pure ai nostri giorni, che la scienza ha dovuto accettare perché umanamente e scientificamente non spiegabili, ma reali? Scettici ad oltranza, compresi.
Ma all’inizio ci chiedevamo che relazione ci fosse tra FEDE E MALATTIA. Come abbiamo visto, apparentemente nessuna, anche se, come riportato più sopra, di guarigioni per fede ne sono avvenuti e continuano ad accadere, ovviamente non sempre e non per tutti.
Passatemi la battuta: se fosse la regola, il nostro Servizio sanitario ringrazierebbe… non per “fede” ma per “risparmio” circa la spesa e i costi della sanità! Era una battuta.
Credo che la relazione esistente tra “Fede e Malattia” sia estremamente personale e come tale diversamente vissuta da ogni persona che si trovasse in uno stato di sofferenza per una patologia a proprio carico, in particolar modo se grave ed in uno stadio terminale.
Per professione, ho lavorato per circa una quarantina di anni in ambito medico sanitario, non come operatore sanitario, cioè medico, infermiere od altro, ma come professionista della vendita, in ambito tecnico-scientifico, proponendo, tra gli altri, anche dispositivi medici di infusione periferica e/o sottocutanea per la somministrazione di oppiacei (leggi morfina), farmaci utilizzati nei reparti di Cure Palliative, per pazienti affetti da cancro in fase terminale al fine di lenirne i dolori, non avendo più terapie farmacologiche efficaci a disposizione per la cura/guarigione del male.
Non posso in questa sede, per motivi di redazione, riportare testimonianze di cui sono stato reso partecipe, sia dal paziente stesso che dai familiari, ma posso garantirvi che se umanamente il dolore fisico è tale sia per chi crede che per chi non crede, il cancro non fa distinzioni di religioni…, moralmente, in quei momenti di lucidità e di pausa dall’acuzie algica, l’atteggiamento verso il fine vita era completamente diverso.
Mi spiego meglio.
Non voglio raccontare la favoletta che il credente fosse felice di soffrire e morire tra i dolori e l’ateo invece fosse disperato e maledicesse tutto e tutti… No, non era così, ma pur nella comune sofferenza, l’animo e l’atteggiamento di chi aveva fede, non tanto in una guarigione miracolosa – forse a quel punto nemmeno più desiderata… – quanto la prospettiva in una vita oltre la vita, erano diversi. La convinzione che non sarebbe finito tutto con la propria dipartita, certi di una certezza di fede in una realtà paradisiaca, priva di sofferenza e dolore, che l’avrebbe accolto ponendo fine a quel calvario, faceva la differenza.
E il non credente? Per chi ho avuto modo di conoscere, passava da momenti di totale indifferenza a momenti di disperazione pensando che da lì a breve (talvolta questione di qualche giorno) non ci sarebbe stato più e le domande esistenziali, in quel momento, evidentemente tornavano a farsi sentire: dove andrò dopo la mia morte? Sarà tutto finito per sempre? Ma ci sarà veramente qualcosa/qualcuno “di là”? Ci sarà un “aldilà”? E l’inferno esiste davvero o è una invenzione dei preti?
E chiaramente l’animo e il volto si contraevano, sì per il dolore, ma anche per una lotta interiore che non era dato sapere sino in fondo e sino a che punto tormentassero quell’uomo/anima.
CONCLUSIONE
Termino qui, perché l’ampiezza e la profondità dell’argomento necessiterebbero di uno spazio ben più ampio per poter essere trattato e approfondito, ma questo compito avrò il piacere di affidarlo a voi, miei cari lettori, e, da parte mia, rispondendo alle vostre domande, contribuendo alle vostre osservazioni con le mie riflessioni in uno scambio che ci auguriamo possa rimanere il più a lungo possibile a livello filosofico, affidandoci alla volontà del Padre eterno, chiaramente per chi in Lui crede, e lasciando la libertà di pensarci a chi questo dono della fede ancora non ce l’ha, nel momento in cui è ancora in salute e lontano da quell’appuntamento a cui siamo tutti chiamati, chi prima chi dopo. Comunque, meglio… dopo.
E con questa battuta, vi saluto con l’affetto di sempre.
Vostro Antonio.