Antonio Palmiero

Prego, Invoco, Supplico, ma NON ottengo: che “Qualcuno” lassù non ci senta?

Prego, Invoco, Supplico, ma NON ottengo che Qualcuno lassù non ci senta_AntonioPalmiero

Sono certo che questa domanda, chi prima chi dopo, tutti ce la siamo posti, almeno per chi crede nell’esistenza di un Dio Padre.

PREMESSA

Perché ho sentito l’esigenza di redigere questo articolo su un tema così particolare e “personale”? Perché credo che sia un argomento che ognuno di noi vive o ha vissuto a fronte di situazioni particolari in cui si è venuto a trovare, direttamente o indirettamente, in un momento nel quale l’esito di quella invocazione poteva significare e determinare una svolta importante nella propria vita.

Cosa intendo dire?

Chi di noi non ha attraversato momenti della propria esistenza in cui, o dal punto di vista professionale, o strettamente personale in termini di salute – propria o di familiari o di persone care, di amici… – o ancora di affetti, ecc. e che, in questi casi, non si sia mai rivolto al Padre eterno o alla Madonna o ad un Santo protettore (magari quello di cui porta il nome…) per chiedere una grazia, un aiuto che lo salvasse da una situazione precaria in uno degli ambiti umanamente sensibili e su citati?

UNA PRECISAZIONE

Una precisazione: il miracolo, la grazia, la concede il Signore. La Madonna, i Santi, ecc. intercedono per noi, ma non sono loro che ci concedono la grazia. Giusto per chiarezza. E’, passatemi la metafora, un po’ come quando il bambino chiede alla mamma di intercedere per lui affinchè il papà gli conceda quello che desidera, sia l’uscita serale, o l’andare in gita, ecc., in quanto tramite lei, probabilmente, lo esaudirà.  Almeno, una volta funzionava così…

CREDENTI O SUPERSTIZIOSI?

Tornando a noi, questa richiesta vale per coloro che credono, ma penso che anche coloro i quali si dichiarino non credenti, a diverso titolo – perché esiste una gran varietà di “non credenti” – in qualche modo o in qualche forma si siano rivolti a “qualcosa” o a “qualcuno” che potesse aiutarli.

Cosa intendo per “non credenti a diverso titolo”? Mi riferisco essenzialmente a tutti coloro che dicono di non credere in Dio, nella Chiesa, ecc. ma credono in qualche forma di “energia cosmica”, nell’astrologia e relativi oroscopi, in qualche “fattucchiera” e/o “divinatrice”, in qualche “cornetto rosso” o “ferro di cavallo”… insomma in qualche entità, non meglio definita od individuata, o a qualche portafortuna ai quali chiedere intercessione, scaramanticamente, per ottenere il risultato sperato.

Quindi, in assoluto, di “atei” reali, dove per tali, al singolare, così li definisce sinteticamente la Treccani online: “àteo agg. e s. m. (f. –a) [dal lat. tardo atheusatheos, gr. ἄϑεος, comp. di ἀ priv. e ϑεός «dio»]. – Che, o chi, nega l’esistenza di Dio” ma, al tempo stesso, non esclude qualche altra divinità alla quale, più o meno dichiaratamente, si rivolge.

Anche tra i cristiani, più o meno credenti, più o meno osservanti e/o praticanti, però non è raro trovare chi, interrogato su questo tema, ti risponda come nel titolo di questo blog: “Prego, invoco, supplico, ma non ottengo”… e sul livello della loro fede autentica e della loro ortodossia ci sarebbe molto da discutere.

Domandiamoci: per prima cosa, prego o mi limito a chiedere? Perché, mi domanderete, non è la stessa cosa? Beh, anche il domandare nel senso comunemente e laicamente inteso può essere considerata una preghiera. Non si è soliti dire, infatti: “Ti prego, fammi questa cortesia”? Quindi potremmo assimilare i due concetti. Forse, però, non è proprio la stessa cosa.

CONDIZIONI PER OTTENERE UNA GRAZIA: PREGHIERA, UMILTA’, INSISTENZA

La preghiera è un monito dell’anima, un richiamo della propria coscienza che si pone in dialogo col Divino e normalmente si dovrebbe esercitarla ponendo una sequenzialità, cioè si dovrebbe pregare per lodare, ringraziare, santificare, chiedere perdono e poi domandare la grazia.

Noi, invece, prima chiediamo la grazia, poi la ribadiamo e, se non arriva, insistiamo e ci arrabbiamo con Colui che dovrebbe, anzi, “deve” concedercela! E la lode, il ringraziamento, il perdono, ecc.? Transeat…
Mi sembra che non ci siamo. Partiamo da un presupposto: innanzitutto la preghiera (sia di invocazione, di intercessione, di suffragio…) ha una base comune.

Quale? L’umiltà!

Penso sia esperienza comune che se qualcuno ci dovesse domandare una qualsiasi cosa al fine di ottenere una risposta, un favore e quant’altro, la prima cosa che desideriamo è che si rivolga a noi con educazione, gentilezza e umiltà, cioè senza l’arroganza della pretesa. In quest’ultimo caso, anche potendo esaudire la sua richiesta, istintivamente ci rifiuteremmo di farlo perché nessuno ama essere sollecitato, obbligato, quando non addirittura minacciato o peggio, ricattato moralmente o materialmente, a soddisfare qualsiasi richiesta postaci in quei termini.

INSISTENZA

L’unico atteggiamento accettabile, sempre salvando la forma, è l’insistenza.

Mi spiego meglio.

Vi potrà sembrare strano, ma il Signore desidera farsi… “pregare”, per l’appunto. Cioè, laddove ritenga che quella supplica vada accolta ed esaudita, il Signore desidera che il “petente” (colui il quale fa una “petizione”, una richiesta) si trasformi in “penitente”, cioè in colui che riconoscendosi bisognoso di una necessità, riconosca anche il proprio stato di peccatore, ossia di persona che umilmente ammette di non aver alcun diritto ad ottenere ciò che chiede per il semplice fatto che lo chieda… anche perché non ha alcun merito di fronte a Dio.

E’ vero che il Signore dice: “Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.  Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.” (Gv 16, 23-24), ma è altrettanto vero che bisogna chiedere con fede ed abbandonarsi alla volontà di Dio.

Perché dicevo che l’insistenza è fondamentale per ottenere l’esaudimento della propria richiesta?

In Lc 11, 5-10 si legge: <<“Poi aggiunse: “Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall’interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza. Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”>>. 

Il Signore, quindi, desidera mettere alla prova la nostra fede in Lui, ossia desidera vedere, nel momento della nostra difficoltà, sino a che punto ci fidiamo e affidiamo a Lui, quanto siamo perseveranti, insistenti, nella preghiera e quanto crediamo nell’efficacia di quella “formula” che noi adottiamo e tramite la quale siamo certi di ottenere quanto necessitiamo.

FEDE NON SUPERSTIZIONE

Anche qui dobbiamo non cadere in equivoci. Non si tratta di “formule magiche”, ovviamente, ma di preghiere devozionali, di ritualità ricche di culto, cioè azioni, opere che possono accompagnare le nostre parole di supplica. Detto in altri termini: è la coerenza tra quanto chiediamo e il nostro impegno di vita concreta che portano ad impietosire il cuore di Cristo.

Immaginiamo di recitare l’intera Corona del S. Rosario (Misteri Gaudiosi; Dolorosi; Gloriosi e della Luce: 200 Ave Maria; 20 Padre nostro; 20 Gloria al Padre) al giorno per un intero mese ma, contemporaneamente, pecchiamo di mancanza di carità verso il prossimo (non aiutiamo a nostra volta chi possiamo, non operiamo nelle Opere di Misericordia materiali e/o spirituali…). Capite che questo comportamento risulta essere, nella migliore delle ipotesi, contraddittorio se non ipocrita…

Ora, pur con i limiti della umana natura (Dio non ci chiede di essere perfetti, o meglio, non lo pretende e non lo prende a misura nel giudicarci…), un minimo di coerenza dobbiamo averla. Evidentemente non si tratta, nel chiedere una grazia, di portare i nostri “meriti”, quanto piuttosto dimostrare al Padre la nostra convinzione di fede nella Sua onnipotenza e che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37): non trasformiamo, in altre parole, la preghiera in un “mercimonio”!

Ma allora, come mai che, pur pregando secondo dette indicazioni in umiltà di cuore, in pieno pentimento per i nostri demeriti (leggi “peccati”) con persistente costanza e chiedendo la grazia/miracolo per cose serie ed importanti (non per vincere al Superenalotto…) non sempre si ottiene quanto chiesto? Partendo dal presupposto che nulla ci è dovuto, nemmeno per grazia, e che è solo per volontà di Dio che possiamo ottenere ciò che chiediamo, anche per il tramite della Madonna o dei Santi (preghiera di intercessione), come ricordato, a seguito delle nostre preci e devozioni (tridui, novene, ecc.) loro rivolte, è lecito porci questa domanda.

La risposta può essere differente ma una sola è la finalità comune: “… per il bene dell’anima mia”. Perché pongo tra virgolette questa frase? Perché ogni nostra invocazione dovrebbe terminare con questa espressione: “…Signore ti chiedo di esaudire la mia supplica se ciò che Ti domando è secondo la Tua volontà e per il bene dell’anima mia” e ciò in quanto, quando noi supplichiamo una grazia, magari per essere assunti presso un’azienda che riteniamo migliore e con prospettive di carriera più allettanti rispetto a quella in cui stiamo lavorando, oppure che ci vada bene quell’affare economico – l’acquisto di un immobile –  o che si creino le condizioni per quell’investimento finanziario, ecc., non possiamo sapere se effettivamente il successo a cui aspiriamo sia realmente vantaggioso per noi nel futuro.

UN CASO REALE

Magari, al momento, ci sembra di aver fatto “bingo”, ma successivamente potremmo trovarci o truffati o a mal partito perché la realtà si dimostra essere diversa da quanto prospettatoci o da noi supposto. Per essere concreti, ricordo un conoscente che voleva cambiare posto di lavoro e, dopo aver tanto pregato a tal fine affinchè quella posizione gli venisse assegnata, non riuscì ad ottenerla. Ne rimase deluso e mi confessò un senso di sfiducia nel Padre eterno che non aveva voluto esaudirlo. Circa tre mesi dopo, lo rincontrai e tutto sorridente mi disse: “Credimi, ringrazio il Signore di non aver ottenuto quel posto tanto ambito!”. A fronte della mia perplessità per quel cambio di atteggiamento rispetto a qualche mese precedente e alla mia richiesta di chiarimento, mi rispose: “Antonio, quell’azienda è fallita…!”.

E il mio amico aveva anche un mutuo da pagare…

Vedete come talvolta siamo così impulsivi e, di fatto, non ci fidiamo della “entità” alla quale ci affidiamo? E’ un po’ come andare da un medico dimostrandogli fiducia nella sua professionalità e poi, dopo che ha effettuato la corretta diagnosi, suggeritoci la giusta terapia, decidiamo di fare di testa nostra seguendo una autoterapia con gli effetti clinici immaginabili, ma anche con l’arroganza di attribuirgli, poi, l’insuccesso. Spesso agiamo come coloro che, disperati, si rivolgono ad un avvocato per essere aiutati a risolvere una situazione intricata e, poi, voler suggerire al legale il modo in cui operare…

Non vi sembrino paradossali gli esempi riportati poiché, fuor di metafora, noi spesso ci comportiamo in modo analogo col Signore. Chiediamo a Lui di intervenire nella storia della nostra vita e quando Lui “finalmente” si decide di esaudire la nostra pur lecita richiesta, gli mettiamo i bastoni fra le ruote non affidandoci a Lui.
Peggio ancora quando, dopo aver ottenuto ciò che abbiamo pietito con le nostre preghiere, ce ne attribuiamo il merito o, nella migliore delle ipotesi, liquidiamo il fatto come frutto del “caso”.

UNA DOMANDA: Ciò che accade nella nostra vita è sempre e solo frutto del caso?

  Parlando di “caso”, per chi non l’avesse già letto e/o per chi volesse farlo, vi invito a leggere il libro che ho scritto a tal proposito: <<Solo “casualità” o Progetto? – Accadimenti particolari di una comune esistenza>> che tratta proprio di una serie di episodi difficilmente liquidabili come “frutto del caso”, appunto, o della fortuna o di altri appellativi che vi renderete conto inefficaci a definire quegli avvenimenti.

Ma allora cosa determina il successo della nostra preghiera? La FEDE!

In Lc 17, 12-19, si legge: <<Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”>>.
Vedete come anche in questo episodio – ce ne sono molti altri ancora in tutta la Bibbia dove il miracolo si concretizza dopo un atteggiamento di fede del malato, generalmente, verso il Signore – il punto focale è la fede per ottenere la grazia.

Potremmo rilevare la misericordia di Gesù in questo episodio dove i lebbrosi, dopo aver chiesto di fatto perdono – “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”–  con la relativa ed implicita richiesta della grazia di guarigione, sono stati esauditi, ma dobbiamo anche rilevare che solo uno di loro – il Samaritano – ha avuto il giusto atteggiamento di ringraziamento – “si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo” – e, a conferma della mia supposizione su esposta, la riconoscenza per la grazia ricevuta da parte degli altri nove – “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?” – è inesistente così come il dimenticarsi del rendere lode e glorificare il Padre eterno: “Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”.

Nel titolo, provocatoriamente, domandavo se “Qualcuno”, lassù, fosse, di fatto, un po’ sordo…

Ma perché non ci domandiamo se quel “Qualcuno”, forse, non si sia stancato di ascoltare più che delle suppliche, delle lagnanze continue e, spesso, proprio da parte chi ha di più, sta meglio e si lamenta perché vorrebbe stare…“più” meglio!

Vorrei concludere, si fa per dire, con una riflessione e una esortazione.

UNA RIFLESSIONE

Prima di lamentarci e rivolgerci al Padre eterno con una sequela di richieste, a mo’ di “letterina di Natale”, con l’elenco delle nostre insoddisfazioni, frustrazioni e relative pretese compensatorie, proviamo a guardarci intorno, non dico nemmeno indietro, e facciamo onestamente due conti, a trecentosessanta gradi, e tiriamo le somme. Quanti stanno meglio di noi, oggettivamente e quanti peggio? E’ proprio vero che il giardino del vicino è sempre più verde? Proviamo ad avvicinarci e a guardare meglio: forse ci renderemo conto che, tutto sommato, il nostro è migliore…

UNA ESORTAZIONE

Quando ci rivolgiamo al Signore nostro Dio, per reali esigenze, in primis quella della salute, facciamoci un esame di coscienza, chiediamo la grazia di cui abbiamo bisogno, con la certezza di fede che il Padre eterno ce la concederà a condizione che sia per il nostro bene, come detto, e se non dovesse esaudirci, probabilmente ci sta aiutando e preservando da un male peggiore che, esaudendoci, potrebbe derivarci (vedi il caso reale su riportato…).

Perchè dico “certezza di fede”? Perchè, fatto salvo quanto sino ad ora detto, se pregassimo già prevenuti sull’esito finale della nostra richiesta, “depotenzieremmo” già in partenza la Onnipotenza di Dio, cioè dubiteremmo, metteremmo in discussione, sin dall’inizio, il fatto che Dio abbia la capacità di concederci quello che gli stiamo chiedendo. Chiaro? E questo non sarebbe chiedere con umiltà, ma con una malcelata arroganza e/o provocazione.

CONCLUSIONE

Però, noi, vediamo di pregarlo anche in “tempi non sospetti”, cioè quando non abbiamo bisogno di Lui – diciamo così – magari semplicemente per dirgli grazie di come stiamo e non solo nella circostanza in cui non sappiamo dove sbattere la testa… Credo sia una questione di coerenza della nostra fede, se ne abbiamo realmente…

Buona preghiera a tutti, dunque.

Sempre con affetto, vostro Antonio.

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2 risposte

  1. Buonasera Antonio,

    leggendo e rileggendo l’articolo, in parte, ha risposto a molti quesiti che mi sto ponendo da tempo. Sono una persona credente, ma a volte, non le nascondo che mi demoralizzo non capendo il Disegno che “Lui” abbia riservato per me.
    Noto che, la maggior parte delle persone, vorrebbero subito le risposte, le soluzioni che più si vogliono sentire o vedere realizzate.
    La ringrazio per l’articolo e complimenti per le foto utilizzate nelle sue riflessioni.

    Loretta

    1. Cara Loretta, mi fa piacere di esserti stato di aiuto in tal senso. Se non fossi una persona credente, probabilmente non ti porresti nemmeno la domanda… E’ tipico di chi ha fede porsi domande di questa importanza esistenziale: “Da dove veniamo?”, “Perchè esistiamo?” e “Dove andremo dopo la nostra morte?” quesiti che caratterizzano i dubbi di ogni credente nell’arco temporale della propria esistenza. Quale disegno Lui ha riservato per te? Come fare per capirlo e non sbagliare? La risposta è insita nella premessa: affidarsi a Lui, aver fiducia nel Suo amore per noi, Suoi figli. Nella nostra vita, quando siamo ancora bambini, forse non ci affidiamo ai nostri genitori senza porci tutte queste domande? E, forse, non siamo diventati adulti pur non comprendo sempre i motivi di determinate scelte che i nostri genitori si sono riservati per il nostro bene? E allora, se abbiamo fede, autentica, potremo mai dubitare dell’amore sovrannaturale che il Padre per eccellenza ha per noi? e quindi delle scelte che ci suggerirà per il nostro bene in un modo misterioso (illuminandoci tramite lo Spirito Santo, che è il Suo amore per noi) ma concreto al tempo stesso? Ma bisogna crederci… Il punto è, però, quello che affermi giustamente: “Noto che, la maggior parte delle persone, vorrebbero subito le risposte, le soluzioni che più si vogliono sentire o vedere realizzate.” ed è qui, passami l’espressione, che “casca l’asino”, cioè noi chiediamo al Signore di conoscere quale sia la Sua volontà per noi, di aiutarci in una determinata scelta e poi commettiamo l’errore di non ascoltare ciò che, in forma misteriosa, ci suggerisce. E, soprattutto, la risposta deve essere confacente alle nostre orecchie, altrimenti diventa quella “sbagliata”… Non so se sia riuscito a darti una risposta soddisfacente, ma di più, umanamente, non saprei cosa aggiungere. Buon discernimento, dunque!

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