Antonio Palmiero

Educazione: perché, esiste ancora?

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PREMESSA E DEFINIZIONI

Ma perché, esiste ancora?

Scusate l’entrata polemica, ma se devo partire dalla definizione che ne dà il dizionario Oxford Languages e cioè: Metodico conferimento o apprendimento di principi intellettuali e morali, validi a determinati fini, in accordo con le esigenze dell’individuo e della società” mi ritrovo spiazzato o quantomeno non mi ritrovo in questa dicitura rispetto a quello che mi hanno insegnato da bambino.

Forse mi è più affine quella riportata dalla Treccani – enciclopedia on line: “Educazione è il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.)”.

Alla fine il concetto è analogo, ma quel riferimento alla “trasmissione ai bambini” degli “abiti culturali” da parte di “istituti sociali naturali (famiglia…)” o “istituti appositamente creati (scuola…)” mi vede più concorde, dal punto di vista semantico e teorico, un po’ meno nella applicazione pratica di questa definizione.

Ma non è colpa del dizionario o della enciclopedia…

Il solito “parruccone”? Per i più giovani riporto il significato di questo termine, un po’ superato oggi come oggi, tratto dal solito dizionario Oxford Languages: “Persona, per lo più anziana, attaccata alla tradizione e alla mentalità del passato e quindi ostile a ogni novità o innovazione”.

LA SCUOLA

No, credo di non esserlo benché faccia fatica ad accettare i modelli educativi innovativi che quotidianamente riscontriamo nella nostra società circa i comportamenti tenuti da parte, prevalentemente, dei giovani. Ma forse che ce l’abbia con i giovani, magari perché io non lo sia più? Un po’ di invidia che “rosica”? No, ancora una volta devo rispondere con questa negazione: io amo i giovani perché sono la realtà dell’oggi e la speranza del domani! Ma non amo, anzi “odio”, i maleducati!

Vedete, quando iniziai la scuola elementare, a metà degli anni sessanta, ricordo che, all’entrata in classe della maestra, ci si alzava in piedi e, frequentando una scuola di natura religiosa, parificata – gestita dai Fratelli delle Scuole Cristiane di San Giovanni Battista De La Salle (che, solo per una precisazione, non sono da confondersi con i “Salesiani” di Don Bosco) – prima di sedersi, si faceva il segno di croce con la relativa preghierina.

Ora, sarà anche un modello “superato” che non rispetta la laicizzazione della scuola statale o le altre religioni… che “discrimina” chi non è religioso, o meglio che non è cristiano-cattolico, ma non ricordo di aver mai sentito mandare a quel paese l’insegnante, fatto salvo, in quinta elementare, un solo compagno di classe, pluriripetente, con una situazione familiare alle spalle estremamente difficile. Ma fu l’eccezione, in cinque anni di percorso scolastico, non la regola che oggi sentiamo, purtroppo sempre più spesso, sino agli episodi di violenza visti in televisione, comprese le aggressioni fisiche agli insegnanti, anche da parte dei genitori.

SCUOLA E FAMIGLIA

Ed eccoci arrivati al punto: la famiglia!

Non vorrei scrivere un “amarcord” dei tempi che furono, ma per far comprendere le motivazioni che mi portano a questa riflessione un po’ amara, al vero, devo porre a confronto la realtà sociale attuale con quella trascorsa. E se cinquant’anni, nella storia del mondo, non sono nulla, in quella di un essere umano sono quasi i due terzi della sua prospettiva di vita (calcolata sull’ottantina…) e abbastanza significativa per poter trarre delle conclusioni.

Ricordo, dicevo, che da ragazzo delle scuole medie inferiori (così si chiamavano allora le scuole dell’obbligo) per quanto “bravo e diligente”, anch’io qualche volta mi distraevo e chiacchieravo come tutti i miei compagni, ma bastava che l’insegnante mi richiamasse all’ordine perché smettessi di perseverare in quel comportamento e, semmai mi fosse capitato di insistere dopo il primo richiamo, bastava un accenno ad una nota sul diario o alla “minaccia” di chiamare i miei genitori a colloquio che diventavo una “sfinge”!

Eccessivo?

Può darsi, ma di certo meglio dei tempi attuali dove neanche la minaccia reale di portare l’allievo indisciplinato in Direzione o in “caserma”, si fa per dire, smuoverebbe l’impenitente dal ravvedersi nel continuare in quel comportamento irrispettoso: parolacce, se non reazioni aggressive sproporzionate e violente, non sarebbero una novità e chissà quanti casi non arrivano alla ribalta dei TG…

Pensate che, negli ultimi anni della scuola media superiore, per arrotondare qualche resecata mancia domestica, davo ripetizioni a un paio di bambini delle elementari. A fronte di compitini non svolti per il giorno successivo, alla mia domanda sul perché e, soprattutto, su un eventuale voto negativo o richiamo da parte dell’insegnante, la risposta di questi bambini, disarmante, fu: “Lo dico a mio padre e lui andrà a parlare e a dirgliene “quattro” all’insegnante!”.

Allucinante! Io, alla loro età, mi “cagavo” letteralmente sotto – scusate la crudezza dell’espressione, ma è per rendere l’idea inequivocabile – alla sola ipotesi che mio padre venisse informato e convocato a scuola per un mio comportamento scorretto e quei ragazzini, di nemmeno dieci anni, quindi nemmeno di una generazione di differenza (se per tale intendiamo almeno una ventina di anni), erano loro ad avvalersi della “forza” del genitore per farsi difendere da una “ingiustizia” che sarebbe potuta concretizzarsi ai loro danni… genitore che ovviamente avrebbe dato ragione al figlio e torto sicuro all’insegnante! Chiaro?

Poi, però, non lamentiamoci se un giovane manda letteralmente a farsi benedire qualche adulto od anziano che si dovesse permettere di correggere il giovane (ormai non lo fa più nessuno, purtroppo, per timore di reazioni violente, il più delle volte impunite da un sistema giudiziario lento, lungo e inefficiente) per un modo di comportarsi non conforme all’ambiente sociale in cui si trova.

RISPETTO E MANCANZA DI RISPETTO

Un tempo, il mio, se una persona adulta ti avesse giustamente rimproverato, magari quando giocavi all’oratorio in maniera sbagliata, o urlavi eccessivamente sotto le finestre di una casa ad un’ora avanzata della sera, venivi ripreso e se fossi tornato a casa raccontando il fatto, pretendendo di avere ragione, non era insolito beccarsi qualche ceffone e vedere il proprio genitore andare a scusarsi con quella persona per il comportamento maleducato tenuto dal proprio figlio in quella circostanza.

Ve lo immaginate oggi?

Il rischio di prendersi qualche ceffone lo corre chi ha subito il fastidio, reo di aver cercato di correggere quel modo di fare irrispettoso delle regole di buona convivenza. Vi torna quanto sto dicendo? Ovviamente parlo a coloro che possono avere la mia età o qualche anno in più.

Forse l’aver avuto un padre Maresciallo di Pubblica Sicurezza (l’attuale Polizia di Stato) ed essere stato io stesso un Agente delle stesse forze dell’ordine, sebbene per il solo periodo previsto per assolvere il servizio militare, potranno aver condizionato il mio modo di vedere le cose e l’essere cresciuto nel rispetto della legge e delle regole mi deve, evidentemente, aver fatto mal tollerare chi quelle regole, in ogni ambito sociale, non le rispetta, senza dover annoverare tra questi i  “classici” delinquenti da codice penale.

Non per fare una disquisizione di natura semantica ma tra “educato” e “maleducato” esiste una evidente differenza nella grafia: “mal – educato”, se lo leggiamo al contrario, rende meglio il senso del termine stesso e significa “educato male”.

Perché questa precisazione? Perché quando un ragazzo si comporta in modo irrispettoso, viene definito “maleducato” e questa catalogazione individua sì il giovane stesso, ma anche e soprattutto chi l’ha educato in “male” modo.

In sostanza se quel soggetto agisce in modo difforme dalle norme della buona educazione, da screanzato, bisogna considerare due opzioni: o non è stato formato, istruito su quali siano le regole da rispettare in un consesso civile da parte di chi ne aveva il compito o, pur avendo ricevuto tutte le debite istruzioni, per scelta, carattere, età o circostanza decide di non attenersene.

Qui il discorso si amplia e rischia di diventare una trattazione di tipo sociologico dalla quale vorrei astenermi non essendo uno specialista della materia ma, da padre, a mia volta, credo di aver trasmesso ai miei figli quelle regole del vivere sociale che li hanno sempre messi nella condizione di essere accettati negli ambienti da loro frequentati senza incorrere in quelle situazioni su accennate.

Devo, però, per completezza, evidenziare anche una forviante interpretazione del significato di educazione, o meglio, del fraintendimento tra l’essere educato e il venir confuso per una persona senza personalità…

Mi spiego meglio.

Soprattutto nell’ambito scolastico capita che gli studenti che si attengono alle regole e si adeguano ai regolamenti rispettando il ruolo istituzionale di chi è lì presente per insegnare loro le varie discipline, maestri/insegnanti/docenti, vengano considerati, proprio da questi ultimi, come soggetti privi di una spiccata personalità, differentemente da quelli che, senza troppi scrupoli, rispondono o si atteggiano in modo strafottente ad eventuali richieste da parte dei professori stessi.

Retaggio di un’era che fu? Professori contestatori figli di quel ’68 fallimentare?

EFFETTI COLLATERALI DA “MAL – EDUCAZIONE”: BULLISMO E TEPPISMO

Perché, vedete, essere educati non significa essere scemi o non avere carattere, ma semplicemente rispettare le persone e gli ambienti in cui si vive. L’atteggiamento irrispettoso e prevaricatore cela, al suo interno, una incapacità a gestire le situazioni traducendosi in violenza e nel famigerato bullismo che della violenza ne è figlio e di questa si alimenta per vivere e proliferare. Ma se così accade è anche perché quelle benedette regole non vengono né insegnate, né rispettate e/o fatte rispettare da chi ne avrebbe il dovere, anche gerarchicamente parlando.

Allora, poi, non dobbiamo meravigliarci se viviamo in una società in cui ragazzi annoiati e frustrati, senza quei valori costitutivi la vera personalità di un uomo, si sfidano nelle piazze affrontandosi a colpi di bottiglie di vetro pericolosamente rotte e taglienti, a mo’ di film con scene da teppismo di strada, appunto!

CONCLUSIONE

Ma, e concludo, tutto nasce dalla famiglia, questa istituzione sempre più messa in discussione, sempre più attaccata e disgregata, delegante altre istituzioni (scuole, oratori, centri culturali, ecc.…), senza la quale trasformiamo potenziali giovani, che potrebbero/dovrebbero contribuire a rendere migliore questo mondo, in soggetti che quel mondo lo trasformano sì, ma in una realtà sempre più tribale con una regressione culturale che invece di farci progredire, rischia paurosamente di farci implodere.

Spero, forse per la prima volta, di sbagliarmi e sarei felice di aver torto ed essere smentito, ma per ora non riesco a vedere una prospettiva più ottimistica, a meno di voler ignorare la realtà in cui viviamo o… vegetiamo.

Con affetto e la speranza che le cose possano modificarsi in meglio, vi saluto.

Vostro Antonio

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