Forse la domanda o è mal posta o, più probabilmente, provocatoria. Perché?
Perché mi son spesso domandato se i tanti atteggiamenti scaramantici siano frutto semplicemente di una cultura antica tramandata per tradizione di famiglia in famiglia, di comunità in comunità, di regioni in regioni, nonché nazioni, o se frutto di un retaggio storico creato ad arte per dominare le persone ignoranti e, lasciatemelo dire, credulone.
È noto come, soprattutto nella cultura medioevale, era presente la realtà di maghi, cioè di chi effettuava i primi rudimentali esperimenti di chimica (l’allora “Alchimia”) ottenendo strani intrugli, e delle streghe, donne strane e pericolose accusate di realizzare “fatture” e sortilegi a scapito di questo o di quello… e che finivano regolarmente sul rogo.
Pico della Mirandola – famoso umanista e filosofo, noto per la sua proverbiale memoria – diceva: «La magia studia quel legame dell’universo che i greci chiamano simpatia, che approfondisce la comprensione dell’essenza delle cose e fa uscire dal grembo della terra occulti miracoli. Come il contadino unisce la vite all’olmo, così colui che coltiva l’arte magica, unisce la terra al cielo e mette in contatto il mondo inferiore con le forze del mondo superiore».
Le classificazioni tra “magia bianca” e “magia nera”, e tutta quella cultura che la precedeva e seguiva, affondano le proprie radici in quel periodo epocale sviluppandosi tra il mondo scientifico e quello fantastico (un po’ come ai nostri tempi relativamente alle teorie “no-vax” a proposito dei vaccini contro il Coronavirus, passando dalle teorie scientifiche a quelle magiche: il medioevo torna…).
Ma cosa c’entra la magia con la superstizione e la cultura? Beh, su Internet, la “superstizione” viene definita in questi termini: “Insieme di credenze o pratiche rituali proprie di società antiche, spec. legate a culti pagani, e, oggi, di ambienti culturalmente arretrati, fondate su presupposti magici e soprannaturali. Dal punto di vista delle grandi religioni, ogni credenza o pratica che sia in disaccordo con la religione costituita o ne alteri l’equilibrio interno (per es., nel cattolicesimo, ogni atto di culto falso o superfluo, quale la divinazione, la magia, vari riti privati, ecc.). Credenza nell’influsso di fattori sovrannaturali o magici sulle vicende umane”.
Vedete, quindi, che non sono andato fuori tema… Ma quello che desidero trasmettervi non è tanto una trattazione su questi temi, genere letterario molto ricco per chi interessato ad approfondimenti in merito, quanto piuttosto riflettere su come queste credenze possano ridurre l’uomo vittima di sé stesso e delle proprie malsane credenze.
Ognuno di noi è “vittima” e testimone al tempo stesso delle proprie convinzioni, giuste o sbagliate che possano essere, si spera in buona fede, ma è anche indiscutibilmente condizionato dai luoghi comuni che lo attraversano nel corso della propria esistenza. Quante volte abbiamo sentito la famosa “disgrazia” del gatto nero che ti attraversa la strada (che secondo me rischia di essere investito, soprattutto di notte, accecato dai fari dell’auto: quindi la “sfiga” ce l’ha lui…) o dello specchio che si rompe con i suoi sette anni di sfortuna…!
Ora, senza cadere nel facile trabocchetto di infarcire tutta la mia riflessione di proverbi più o meno desueti, pur dovendovi in alcuni passaggi farvi riferimento, mi pongo qualche domanda.
È mai possibile che persone colte, quelle che hanno studiato e hanno magari una o più lauree, di fronte ad un rischio imminente, ad una promessa di un male futuro o a qualsiasi altro evento potenzialmente negativo, una calamità, una pandemia – per restare ai giorni nostri – forieri di conseguenze laddove si verificassero, reagiscano con segni scaramantici? Vedi le “corna”, il toccarsi – mi scusino le signore – le “palle”, il buttarsi alle spalle il sale, ecc., ecc.?
Ora, capisco che se questi gesti dovessero rientrare nella tradizione o nella “cultura” popolare, locale e/o nazionale di un popolo, li prenderemmo a ridere, ma se mai dovessero veramente rappresentare uno spaccato della nostra o altrui società, anche a livello globale, ognuno con le proprie specificità, e crederci veramente, beh allora credo che ci sarebbe da preoccuparsi.
E purtroppo, qualche volta, c’è da preoccuparsi… Cosa intendo? Semplicemente, quanto drammaticamente, proviamo a pensare se qualche esimio chirurgo superstizioso decidesse, coerentemente con le proprie convinzioni, di non operare il giorno “17” perché lo ritiene foriero di “sfiga operatoria” motivo per cui, onde evitare che l’intervento possa andare male per “sfortuna”, in quel giorno decida, appunto, di non operare.
E se quel giorno fosse di turno in un ospedale e arrivasse un paziente politraumatizzato per un incidente stradale in pronto soccorso da operare d’urgenza, cosa farebbe? Lo lascerebbe morire per evitare che, sfortunatamente, l’intervento chirurgico possa andare male? Sto volutamente esagerando, ma chissà se esiste realmente qualche medico di questa specie… Assurdo? Può darsi, ma nemmeno troppo a giudicare dai sanitari che non si sono voluti vaccinare – altra cosa, spesso ideologica, d’accordo – contro il Coronavirus e qualcuno si è presentato con una protesi di gomma al braccio per farsi praticare l’iniezione… nel “manichino”!
Perché la vera “sfiga”, passatemi il termine, sarebbe di quell’incidentato che si è fatto male nel giorno 17 del mese. Se poi cadesse pure di venerdì… Dio ci scampi e liberi!
Capisco che la cosa faccia sorridere e che possa essere appannaggio più di qualche film comico alla Lino Banfi tipo “Occhio Malocchio Prezzemolo e Finocchio” che non della realtà, ma mi verrebbe da dire “mai dire mai”. Del resto ognuno di noi ha una propria modalità di “difesa” dalla sfortuna.
Quale?
La prima è credere proprio nella “fortuna”. Paradossale, ma è così. Forse che la fortuna non sia una forma di superstizione, anche se talmente diffuso come concetto che nemmeno ci si fa più caso? Ora, distinguiamo da quella che è diventata una usanza, un modo di dire e la convinzione della sua esistenza e veridicità. Chi di noi non si è mai espresso con affermazioni del tipo: “Eh, ci vorrebbe un colpo di fortuna!” o frasi analoghe del tipo: “Se avessi la fortuna di vincere al Superenalotto…” o “Oh, ma quello ha vinto la Lotteria Italia! Che fortuna (popolarmente si userebbe un’altra espressione…)!”?
Il termine “fortuna”, quindi, è accettato e comunemente utilizzato per indicare una situazione favorevole vuoi in ambito economico, della salute o per aver evitato un incidente, l’aver evitato un trauma in una caduta durante una competizione sportiva o il non essersi fatto male pur cadendo (immaginiamo una discesa con gli sci…), ecc. Il punto non è questo. Il punto è credere che in quella determinata situazione, magari grazie ad un “sacro” o “profano” amuleto ci sia andata bene! Mi spiego meglio perché quello degli oggetti “porta-fortuna” è un tema assai delicato.
In che senso?
Nel senso che si va a toccare anche il campo devozionale, religioso, dove il confine tra la fede e la superstizione spesso rischia di diventare molto labile, molto sottile sino a confondersi se non scomparire del tutto. Fede e superstizione sembrano andare a braccetto nelle persone che forse non hanno compreso che laddove non c’è una reale conoscenza religiosa, scaturisce la superstizione, così come accade quando si rinnega la scienza ufficiale, ma non perché “ufficiale”, di “Stato”, quanto piuttosto perché subentrano convinzioni ideologiche che affondano le proprie idee nell’oscurantismo del negazionismo preconcetto del tipo: “La Terra è piatta” o “Sulla Luna non siamo mai andati” e, per essere di attualità, “Nei vaccini ci mettono il grafene, così ci telecomandano…” o, in ultimo, ma non ultimo, “I campi di sterminio nazisti per gli Ebrei, come quelli di Birkenau, non sono mai esistiti” ecc., ecc.
Capite che quando si vogliono negare dati scientifici e inoppugnabili significa negare l’evidenza e allora non c’è più storia… Se il rifugio di fronte ad una epidemia di qualsiasi natura e specie – vedi il virus dell’ebola o, speriamo mai più, del vaiolo – diventa il “Corno rosso” di partenopea tradizione (ma che affonda le sue radici, pensate, più o meno, al 3500 a.C. nella cultura sumera, cinese e addirittura in quella sciamanica siberiana, quando nelle caverne erano esposte le corna degli animali cacciati al fine di ostentare la potenza degli abitanti della caverna e la prosperità della famiglia) allora è meglio farsi un segno di croce e che Dio ce la mandi buona…
Ricordo ancora una pubblicità contro il fumo in cui si richiamava l’invito a smettere di fumare le sigarette in modo esplicito con l’affermazione “Non serve toccarti le palle” con riferimento alle conseguenze cancerogene del fumo stesso che quel gesto scaramantico non avrebbe di certo evitato. Altri tempi, ma vedete come il riferimento scaramantico fosse comunque presente nella nostra cultura e, per buona pace di tutti, ci accompagna e accompagnerà sempre. Pensate anche alla figura dello “jettatore” cioè di colui che porta sfortuna ed emana un’influenza negativa.“Nella tradizione popolare napoletana lo iettatore è un personaggio capace di trasmettere influssi malefici spesso indipendenti dalla sua volontà. Lo iettatore di solito non è un malvagio né vorrebbe arrecare danno ma lo fa suo malgrado” come ben definito e riportato sul sito “Napolinpillole” in un articolo del 20 febbraio 2018.
Sin qui i film della cinematografia partenopea, con Totò protagonista, sono motivo di grande spasso. Lo diventa meno quando viene affibbiato seriamente a qualcuno/a questa caratteristica motivo per cui si segna, a volte in modo drammatico, la vita di quella persona che viene, di fatto, esclusa dal contesto sociale e, talvolta anche professionale.
È la storia di Mia Martini (Domenica Rita Adriana Bertè, detta Mimì) così come scrive Emanuele Terracciano il 30 marzo del 2021 e riportato su Newsly: “Purtroppo, negli stessi anni inizia anche il calvario personale dell’artista che inizia a dover fare i conti con l’assurda credenza che portasse sfortuna. Come la stessa Martini racconterà anni dopo, tale maldicenza partì da un produttore con il quale la cantante non aveva voluto firmare un contratto di esclusiva e fu alimentata da alcuni sfortunati episodi come, per esempio, un tragico incidente stradale in cui persero la vita alcuni componenti della sua band di ritorno da un concerto in Sicilia”.
Vedete dove può portare una “banale” superstizione? Per non parlare di tutta quella serie di “fatture”, “malocchio” e compagnia bella che tediano e condizionano la vita delle persone vittime di queste credenze quando non scadono in veri e propri riti di sette in odore satanico. Ma fermiamoci qui.
Più sopra facevo cenno all’uso di amuleti “sacri/profani” contro ogni disavventura. La cultura cattolica spesso ha associato ad alcune figure di santi, per tradizione anche iconografica, il loro potere taumaturgico più specifico per determinate situazioni rispetto ad altre.
Per esempio in Sant’Antonio di Padova si riconosce la protezione dei fanciulli e, in corrispondenza della sua festa, viene consegnato ai devoti il “pane dei poveri”, benedetto (1); a Sant’Antonio Abate, quella degli animali; a Santa Rita – definita la Santa degli impossibili – quella di riuscire a fare miracoli ritenuti “impossibili”, appunto, e potrei scrivere un elenco molto nutrito in tal senso.
Ad ognuno di loro è spesso associata una immagine o una reliquia o realizzato un oggetto devozionale che maggiormente li identifica. Per esempio Sant’Antonio di Padova è rappresentato, tra le altre, col giglio bianco a simbolo della sua purezza; Santa Rita da Cascia viene riprodotta con la rosa e la spina sulla fronte; San Pio da Pietrelcina con la mano benedicente fasciata a copertura delle stigmate ricevute e via discorrendo.
- (1) Questa usanza nasce da un miracolo del Santo che fece ad un bimbo di 20 mesi: la madre che lo aveva lasciato in casa da solo a giocare, al suo rientro lo trova senza vita, affogato in un mastello d’acqua. Disperata invoca l’aiuto del Santo, e nella sua preghiera fa un voto: se otterrà la grazia donerà ai poveri tanto pane quanto è il peso del bambino. Il figlio torna miracolosamente in vita. Nasce così la tradizione del «pondus pueri» una preghiera con la quale i genitori, in cambio di protezione per i propri figli, promettevano a sant’Antonio tanto pane quanto fosse il loro peso.
A questi esempi di vita religiosa e/o consacrata i devoti si rivolgono per chiedere l’intercessione al fine di venir esauditi per una grazia loro necessaria: questa non è superstizione, ma devozione popolare che vede manifestare la propria fede nella preghiera rivolta a loro quali mediatori, intercessori presso Dio.
Le innumerevoli immaginette di cui sono adorne le case delle persone (al vero quelle meno giovani…) o affollano i portafogli o son presenti nelle automobili a protezione dai pericoli della strada, sono un segno di affezione e fede nei santi lì graficamente rappresentati.
Ma non è l’oggetto in sé, per es. la coroncina da dito – quella con dieci grani – o la statuetta della Madonna o l’immagine di Gesù misericordioso (nella foto qui sopra), ecc. che ottengono l’effetto voluto da chi li porta con sé, catenina al collo con crocifisso e Medaglia della Madonna Miracolosa (qui sotto) compresi, a garantire l’incolumità di chi li indossa.
No, è la fede in loro, cioè in coloro che lì sono semplicemente riprodotti, nel loro potere taumaturgico a generare i miracoli richiesti. Se, differentemente, si pensasse che fosse sufficiente portarseli dietro a mo’ di “parafulmini” o “polizze assicurative” è chiaro che si snaturerebbe il valore sacro di quell’oggetto mercificandolo alla stregua del famoso “Corno rosso” o al “ferro di cavallo” o al “peperoncino rosso”…
Solo la devozione non tradizionalistica, ma convinta e pregata con fede e speranza, può generare il risultato atteso, non viceversa. Quindi l’oggetto sacro di devozione è una cosa, il “feticcio” è un’altra ma, nei superstiziosi convinti anche se cristiani e battezzati, può avvenire, purtroppo, questa commistione. Vorrei ricordare che anche i mafiosi hanno le pistole con le immaginette – magari della Madonna o di qualche santo locale – impresse sul calcio delle stesse, magari accanto alle “tacche” di quanti hanno ucciso…
Dunque?
Cosa rispondere alla domanda motivo di questa riflessione? Lascio al grande Edoardo De Filippo la risposta: “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.
E permettete anche a me una battuta finale: in caso di necessità contro la sfortuna, “toccate ferro” (oh, sempre che non ci sia un cavo elettrico attaccato…)!
Nel qual caso… buona fortuna! Appunto…
Con affetto, Antonio.
2 risposte
Ciao,
innanzitutto trovo interessante l’argomento da te trattato anche se non proprio d’accordo in alcuni punti.
Anche la persona più colta e più plurilaureata può avere “bisogno” del segno scaramantico o dell’oggetto portafortuna.
Sicuramente non sono il cornetto rosso, il quadrifoglio raccolto, il ferro di cavallo etc. i nostri difensori, ma perchè dobbiamo farne a meno e magari vergognarci di possederne uno ?
L’essenziale è non diventare ossessionati dal loro possesso e dai loro poteri .
Io non ho una laurea, ma ho un diploma, ho studiato , e mi ritengo piuttosto colta ma non nego di custodire ancora un ferro di cavallo datomi da mio papà come augurio per un intervento che ho affrontato tanti tanti anni fa. Ero conscia che l’esito non dipendeva da quell’oggetto scaramantico, ma mi aveva trasmesso in quel momento un pò di serenità.
Così come ho in borsa uno scarabeo regalatomi da una mia ex collega al ritorno da un viaggio in Egitto. Che male potrà mai farmi ? nessuno .
Quindi, a mio parere l’importante è darne il giusto valore , senza farsi condizionare da superstizioni esagerate . L’intelligenza deve prevalere .
Ti saluto senza però prima farti i complimenti delle copertine dei tuoi due libri ‘ Perchè si tradisce ‘ e ‘ Racconti in ordine sparso ‘. Mariagrazia
Cara Mariagrazia, il tema analizzato pone l’individuo di fronte ad una dicotomia: credere o non credere nella superstizione? La risposta è, ovviamente, “personale e non cedibile” un po’ come le proprie convinzioni religiose di fede. Detto questo, nessuno vuol criminalizzare questa che è una forma di tradizione culturale che attraversa la vita dell’essere umano, presumo, sin dagli albori. Chi non ha mai usato l’espressione “Eh, senza un po’ di fortuna, nella vita fai poco…!” e frasi analoghe? Credo tutti… ma una cosa è quella convinzione frutto più di una tradizione culturale, maggiormente presente in alcune località del nostro territorio – Napoli per antonomasia – un’altra è la convinzione “ossessiva”, come dici tu, nel potere “magico” che il gesto o l’oggetto scaramantico possono avere.
Purtroppo, e di casi ce ne sono moltissimi, anche se sottaciuti dai media, di persone che si rovinano alla corte di fattucchiere, maghi e quanto di più pericoloso possa esserci per l’equilibrio mentale di tanta povera gente (ma anche tra i ricchi e colti personaggi, non mancano adepti a tali pratiche) che si lasciano condizionare la vita da queste pratiche superstiziose arrivando a dilapidare quei pochi soldi (ma anche ingenti somme, per chi le ha) consegnandoli nelle mani di questi turlupinatori della buona fede (ed ignoranza) di chi a loro si rivolge. Centinaia o migliaia di euro spesi per acquistare questo o quell’amuleto contro il “malocchio” o come infallibile portafortuna senza il quale ogni iattura ti colpirà… non è certo un risvolto positivo della superstizione. Grazie per l’apprezzamento relativo alle copertine dei libri da te ricordati: spero siano altrettanto graditi nei loro contenuti. Con affetto, Antonio.