“Certamente! Si mangia, si beve, si dorme, si fa l’amore, ci si diverte… Qual è il problema?”.

Mi sembra di sentire questo tipo di risposta da una larga parte di persone che, alla domanda in testa a questo articolo, si sentirebbero sereni e convinti nell’esprimerla e sostenerla.

Mi verrebbe spontaneo rispondere, d’acchito, che anche gli animali, quelli detti “inferiori” per distinguerli dalla nostra stessa appartenenza al medesimo regno della natura, facciano le stesse cose, in modalità differenti ma uguali nella sostanza.
Quindi, alla luce di questa logica, che differenza ci sarebbe tra noi “superiori” e loro “inferiori”? Nessuna…
Sarebbe un po’ triste, non credete? L’essere umano verrebbe assimilato ad una bestia ma con una capacità raziocinante: un essere dotato di una volontà cosciente e con il libero arbitrio, quindi non mosso dall’istinto animalesco, considerato uguale a loro.
Qualcuno potrebbe obiettare che certi comportamenti umani sono peggiori di quelli delle bestie le quali, per esempio, non uccidono per secondi fini, premeditatamente, ma essenzialmente per nutrirsi e difendersi o difendere la propria prole. Tristemente vero anche questo, ma tale modo di agire rientra, relativamente all’uomo, sempre e comunque in un libero arbitrio usato… arbitrariamente.

Neonati gettati nei cassonetti dell’immondizia, in sacchetti di plastica o, i più “fortunati”, abbandonati vicino a detti cassonetti o sotto l’androne di un condominio… Stupri di massa del cosiddetto “branco”; atti di pedofilia e pornografia con ricatti (revenge porn); omicidi e femminicidi…
Forse che la caduta di valori morali non sia alla base di queste azioni deprecabili e riprovevoli? E tra questi valori non rientra forse anche la fede in un Dio che abbiamo cercato di negare, e continuiamo a farlo, volendo creare una società senza Dio e porci noi al Suo posto, i nuovi “creatori” (o distruttori?) del mondo e del suo futuro? Con i noti risultati sotto gli occhi di tutti…

Leggevo di recente alcuni “post” su Facebook nei quali si diceva che Dio non esiste perché se esistesse non permetterebbe tutte queste ingiustizie oppure, se esistesse davvero, sarebbe un menefreghista perché non interviene a porre fine ai tanti misfatti, cioè a castigare chi compie tante nefandezze. Meno male che almeno non è irascibile come il Giove della mitologia romana o del greco Zeus, altrimenti sai che saette arriverebbero su questa terra!
E ci risiamo: Dio non esiste, ma se esistesse sarebbe anche cattivo e ingiusto! Tombola!
Questa affermazione o concetto di Dio mi richiama alla mente, “Il paradosso di Epicuro” – e mi rifaccio alla definizione di Wikipedia – “che prende il nome dal filosofo greco Epicuro (342-270 a.C.) a cui viene attribuito, riguarda il concetto stesso di Dio. Il paradosso riportato da Lattanzio, che lo attribuisce ad Epicuro, si basa su alcune domande e procede per gradi fino a rendere, appunto, paradossale il concetto di Dio:
«Dio – dice Epicuro – o vuole togliere i mali, ma non può; oppure può, ma non vuole; oppure non vuole e non può; oppure vuole e può. Se vuole, ma non può, è impotente; il che è inammissibile in Dio. Se può, ma non vuole, è invidioso; il che pure è alieno da Dio. Se non vuole e non può, allora è invidioso e impotente; e anche questo non può attribuirsi a Dio. Se vuole e può, il che soltanto conviene a Dio, allora da dove vengono i mali? o perché non li toglie?»” (Lattanzio, De Ira Dei).
Questa è la conclusione alla quale giunge Epicuro al termine di queste ipotesi: “Dio può e vuole; ma poiché il male esiste allora Dio esiste ma non si interessa dell’uomo”.
Come si vede il problema a proposito dell’esistenza e della “tipologia” di Dio affonda le radici a ben più di 2000 anni fa e sembrerebbe ancora irrisolto.
Ma una cosa possiamo dirla: Dio Padre non è la “Assicurazione S.p.A.” dal motto: “Credete in me e non avrete più problemi”, cioè non è un parafulmine da tutti i guai che accadono sulla terra, molti dei quali causati dall’egoismo e dalla superbia, dall’orgoglio e dalla bramosia di potere dell’uomo, vedi le guerre, lo sfruttamento selvaggio e scellerato delle risorse naturali, l’inquinamento e il relativo cambiamento climatico con i relativi effetti collaterali di uragani dovuti al surriscaldamento degli oceani, ecc. ecc., ma Colui che ci ha creato e posti sulla terra perché la dominassimo e soggiogassimo. Tra l’altro anche Gesù Cristo dovette affrontare mille difficoltà prima di morire sulla croce e Dio Padre non gli fece alcuno sconto…
Per non cadere in equivoci, traggo un estratto dell’articolo pubblicato nel Blog di Gianfranco Ravasi – Cardinale arcivescovo e biblista – il 7 maggio 2020 nel quale viene espressa la seguente spiegazione inerente il concetto dei verbi “dominare” e “soggiogare” la terra come riportati nel libro del Genesi: «L’uomo domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra… Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gn 1,26.28).
Questa la spiegazione:
<<La creatura umana riceve, dunque, da Dio una dignità di sovranità delegata sul Creato, quasi da viceré. Tuttavia i due verbi che abbiamo messo in corsivo e che specificano questa funzione, nel loro valore di base, non sono così brutali come appaiono a prima vista. Contengono infatti un significato più sfumato e fin suggestivo: kabash, «soggiogare», originariamente rimanda all’insediamento in un territorio che deve essere esplorato e conquistato, mentre radah, «dominare», è il verbo del pastore che guida il gregge. Certo è che l’umanità si è spesso comportata in maniera ben diversa nei confronti sia degli animali sia del Creato!>>.
Ma per comprendere meglio l’esistenza di Dio, immaginiamolo in forma antropomorfa, cioè “umana”, più vicina alla nostra forma mentis. Un padre che come “capofamiglia” si preoccupa del buon andamento del suo nucleo familiare, per quanto possa fare, dovrà affrontare anche lui le vicissitudini della vita quotidiana e pur dando il meglio di sé non potrà evitare quelle conseguenze che eventi indipendenti dalla sua volontà o dal suo agire potranno verificarsi, nel bene o nel male.
E i componenti di quella famiglia, come dovrebbero reagire? Semplificando, se va bene, allora riconosceranno al “capofamiglia” l’autorità e autorevolezza con relativi meriti annessi e connessi. Differentemente lo disconosceranno attribuendogli ogni sorta di responsabilità e conseguenti colpe.
Chiara la metafora? Noi col Padre eterno forse non agiamo un po’ così?
Abbiamo nella nostra concezione una mentalità dualistica: da un lato quella “retribuzionista”, cioè se agiamo “bene” ci aspettiamo come ritorno, come “retribuzione”, il “bene” – vale il contrario – e, dall’altra, qualsiasi cosa vada storta è colpa del Divino: ma se non crediamo alla Sua esistenza, perché quando ci accade qualcosa di doloroso gliene attribuiamo la colpa?
Queste contraddizioni trovano risposta nella nostra mancanza di fede o in quella commistione tra fede “opportunistica” (sperando che le cose mi vadano bene grazie ad un “Lui” più o meno realmente esistente…) e “superstizione” (spesso caratterizzata più da culti propiziatori, “scaramantici”, che non da preghiere e devozioni sentite, cioè una fede devozionistica che sfiora i “riti magici”…).
Ma la domanda iniziale era se si potesse vivere senza fede… Spero di non essere andato fuori tema, ma credo che la risposta possa essere affermativa se escludiamo l’esistenza di una vita post-mortem – scusate il gioco di parole – e che quindi tutto termini con la nostra morte. Diverso per chi crede in una vita oltre la vita per cui la fede in Dio diventa lo scopo di questa esistenza terrena, senza la quale essa stessa si svuoterebbe di significato. Se lo desiderate, provate a leggere il mio primo libro “Anche i morti hanno bisogno dei vivi”, un romanzo giallo in chiave metafisica, cioè con uno sguardo sull’aldilà (sin che siamo nell’“aldiqua”…).
Consideriamo, comunque, anche per un momento, la posizione di chi non crede ad una vita ultraterrena, motivo per il quale finiremo tutti in una fossa e “cenere eravamo e cenere torneremo”.

Domando: ma che senso avrebbe nascere, crescere con tutte le difficoltà a cui andremo inevitabilmente incontro lungo l’arco temporale della nostra presenza su questa terra, lavorando e faticando, ammalandoci e combattendo contro le malattie e relativa sofferenza, alla vana ricerca di una felicità che non riusciamo a raggiungere e, mai l’avessimo conquistata, sarebbe di durata effimera (anche i plurimilionari/miliardari non mi sembra siano così felici: vedi il mio blog “Ma la Ricchezza dà la Felicità?“) per poi finire sotto due metri di terra?
È di un triste, qui sì, veramente angosciante! Non è che chi crede avrà vita più facile (torniamo al concetto del “Dio-assicuratore contro tutti gli imprevisti”) ma vivrà le analoghe difficoltà con uno spirito sorretto dalla speranza nella Provvidenza di Dio Padre che non lo abbandonerà e, per fede, gli concederà la forza di superare tutte le prove della sua vita terrena.
O vorremmo vivere su questa terra in eterno e senza problemi? Mi sembra che non siamo stati creati per questa eternità, ma per l’altra, al termine di questa esistenza. all’art. 13 del Catechismo di S. Pio X alla domanda: “Per qual fine Dio ci ha creati?” la risposta è la seguente:
“Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in paradiso”.
Certo che chi non ci crede, ripeto, vivrà questa vita con l’apparente e a volte “provocatoria” baldanza di una persona che non si fa tutti questi problemi “trascendenti”, godendosela più che possa… sino all’ultimo respiro.
Poi… auguri!
Scusate, non vorrei essere a mia volta provocatorio, ma penso che, nel bene o nel male, vivere nella fede in Dio possa avere una valenza in più, aver una marcia in più che non significa arrivare primi al traguardo o essere sempre vincenti di fronte alle problematiche di questa complessa realtà umana, secondo i nostri canoni, ma saper affrontare le prove con uno spirito vincente, il che è diverso!
Si può anche perdere una gara, una partita, ma alla fine l’importante è vincere il premio finale, quello della vita eterna!

Auguri a tutti e speriamo di essere in tanti a riuscire a vincere quel premio, ognuno nella propria gara, per trovarci a festeggiare tutti assieme, tra cento anni…, di là, nella pace paradisiaca e per l’eternità!
Con affetto, vostro Antonio.