Antonio Palmiero

I Figli: Gioie o Dolori?

I Figli Gioie o Dolori_AntonioPalmiero

PREMESSA

Il solo pronunziare questo termine “FIGLI” evoca, in chi ne ha avuti, madre o padre che sia, un brivido e un’emozione che attraversano la schiena.

Romanticismo di origine filmica alla Mario Merola? Della serie: “E figl so’ piezz’ ‘e còre” che tradotto, credo non ci voglia un interprete partenopeo, significa semplicemente: “I figli sono pezzi del cuore” cioè parti inscindibili dei sentimenti per essi provati da parte dei genitori, degeneri a parte…

Senza voler scomodare Mario Merola – il re del cosiddetto “melodramma napoletano” nel periodo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, periodo in cui fu l’indiscusso attore che meglio rappresentava la realtà culturale della “sceneggiata napoletana” nella Napoli di allora – non è di certo necessario essere attori per interpretare il ruolo di genitore. O forse un po’ sì…

In che senso?

Nel senso che per poter rispondere alle tante e mutevoli esigenze che i figli richiedono, occorre essere estremamente versatili senza, evidentemente, snaturare quello che è e deve essere il proprio ruolo. A tal proposito ho redatto un libro dal titolo Maledetta adolescenza, beata gioventù” – Coraggiosa confessione di un genitore – testo di natura autobiografica – in cui traccio, in particolare nel capitolo intitolato <<Il “papà-amico”>>, quello che reputo essere il comportamento da tenersi tra padre e figlio onde evitare che la troppo giovane età del figlio stesso, non comprendendo la differenza dei ruoli, possa creare quel cortocircuito in detta relazione, con le conseguenze facilmente verificabili anche nella odierna società, e non solo ai miei tempi: la tendenza a non rispettare né i propri genitori e, purtroppo, nemmeno le persone più adulte sfoderando una maleducazione disarmante palpabile quotidianamente nelle relazioni sociali.

GENITORI IN ATTESA DEL NASCITURO: SENTIMENTI E STATI D’ANIMO

Premesso questo, la mia riflessione vuole però incentrarsi su quel sentimento che attraversa il genitore (ed io lo sono di due gemelli fraterni, cioè dizigoti, maschio e femmina) da quando nascono i figli sino a quando il genitore li lascia, normalmente prima della morte degli stessi e, Dio ce ne scampi, mai prima del contrario anche se, purtroppo, per mille cause, ciò potrebbe avvenire e, ahimè, accade.

Ma andiamo con ordine e permettetemi di ripercorrere assieme a voi quelle emozioni, dal concepimento all’età adulta, che può provare un genitore.

Qui ovviamente riporterò quelle personali provate, ma che credo possano essere appannaggio anche di altri, in generale, e non solo mie. Parlo, giocoforza, da padre pur sforzandomi di immaginarmi o di mettermi, talvolta, nei panni di una madre, favorendo quella componente femminile che mi caratterizza, in quota parte e psicologicamente parlando, soprattutto in termini di sensibilità.

Già durante l’attesa del figlio, con la futura madre, ci si ritrova spesso a fantasticare su come sarà, se maschio o femmina – prima dell’ecografia morfologica, ovviamente – a chi assomiglierà di più e si fa “a gara” per attribuire all’altro coniuge questa maggior somiglianza compensando e barattando, magari per “par conditio”, quella fisica con quella caratteriale.

Alla fine, tra gli occhi della mamma, il naso del papà, le orecchie del nonno, la bocca della nonna, vi presentiamo il futuro… Frankestein! Scherzi a parte, esiste una proiezione della propria immaginazione affettiva su quello che sarà il prodotto non solo e semplicemente del concepimento, ma piuttosto il frutto del reciproco amore.

Il suo muoversi nel pancione della mamma evoca gioia quando, poggiandovi la mano, lo senti scalciare, con sempre maggior insistenza man mano si avvicina l’ora di dover “uscire”. Contemporaneamente, in questo arco temporale della gestazione, ricorre più volte la speranza che nasca sano e la preoccupazione che il parto vada bene e non abbia a subire alcun trauma, sia la madre che il nascituro.

Un padre/marito/compagno che sia, non può esimersi dal pensarlo. E quando l’evento accade gli occhi si illuminano e di qualche lacrima luccicano: quella creatura tanto attesa, con i suoi vagiti, si fa sentire per occupare anche lui un posto in questo mondo nel quale dovrà imparare a lottare per sopravvivere.

Quando era nel grembo della mamma, in un ambiente caldo, protetto dai rumori che giungevano a lui ovattati, muovendosi nel liquido amniotico che ammortizzava gli eventuali urti esterni e i movimenti materni, non poteva sapere di certo cosa il mondo avrà in serbo per lui in base ad alcuni fattori totalmente indipendenti dalla sua volontà, senza meriti né colpe.

Il nascere ad una certa latitudine rispetto ad un’altra; in una famiglia benestante piuttosto che una povera; in una famiglia formata da due genitori, presenti entrambi, o da uno solo di essi; sano o con una patologia congenita, magari rara… E, di riflesso, analoghi turbamenti affollano la mente di mamma e papà, soprattutto per quanto riguarda la salute del neonato.

Se un figlio sapesse quante apprensioni costellano l’attesa di quell’evento, quante ansie si alternano nella mente e nel cuore dei suoi genitori, da grande, sarebbe un po’ più comprensivo verso di loro, un po’ più riconoscente per quel dono dal valore inestimabile che ha ricevuto: la vita! Ma figli lo siamo stati anche noi e sappiamo che è difficile essere “già cresciuti” appena nati… e che avranno bisogno dei loro tempi per maturare.

Le esperienze della umana esistenza lo forgeranno, nel bene o nel male, e noi genitori saremo sempre lì, pronti a tendergli una mano o, qualche volta, a lasciarlo cadere, lasciarlo sbagliare perché abbia ad imparare cosa significhi non ascoltare un consiglio genitoriale, disinteressato o, meglio, interessato al suo bene.

DALLA NASCITA ALL’ADOLESCENZA

Dalla scoperta che il bimbo compie ogni giorno nella sua prima fase di vita, dopo un po’ di anni, si giunge all’adolescenza, periodo di crescita complesso per lui, a volte drammatico per i suoi genitori che non sanno come affrontare quei mutevoli ed estemporanei comportamenti così variegati e spesso caratterizzati da cambiamenti repentini di un temperamento in formazione (il “carattere” glielo abbiamo trasmesso noi ed è inscritto nel suo DNA… e non si modifica) che nel tentativo di trovare il proprio equilibrio, sbanda a destra e a sinistra, come un’auto impazzita: ma i danni potranno essere contenuti se il padre e/o la madre gli saranno vicini e quello “sterzo” verrà governato evitandogli brusche e pericolose fuoriuscite di strada.

Quanti dubbi assalgono mamma e papà su come educare, senza inibire, il proprio figlio, senza impedirgli di esprimere sé stesso ma, al tempo stesso, impedendogli di agire in modo impulsivo, irrazionale, “capriccioso” e, con tanta pazienza (che a volte scappa…) correggerlo ogni qualvolta sbaglia. Il timore di essere troppo rigidi da un lato o troppo permissivi dall’altro creano sensi di colpa in chi cerca di far crescere bene quella creatura che passa dall’irrequietezza all’apatia, dal pretendere tutto e dal non andargli bene nulla! Dall’euforia del momento alla depressione e svogliatezza per ogni impegno, scolastico in primis.

Talvolta ci si domanda se, nell’andar avanti degli anni e in quei periodi critici che a volte si protraggono per un tempo troppo lungo, quel figlio tanto atteso non sarebbe stato meglio non fosse mai arrivato… Brutto a dirsi, ma i comportamenti irriverenti che i giovani assumono, l’irriconoscenza che spesso manifestano per i sacrifici che i genitori fanno per lui, mai abbastanza, sempre insufficienti a soddisfare le crescenti e mai paghe pretese di quella età in cui si fa fatica a comprendere se sono ancora ragazzini un po’ viziati o uomini già cresciuti… male, lo fanno pensare.

E ci si interroga su dove si sia sbagliato, quali obiettivi educativi si siano oggettivamente disattesi.

Ma ci sono anche momenti, a volte istanti, in cui una parola, l’ammissione di un errore commesso, uno sguardo silenzioso, un abbraccio caloroso… sono un elisir di pronta guarigione, un balsamo vitale che fa rinascere nel cuore del genitore la speranza che non tutto è perduto, che forse non abbiamo sbagliato così tanto nel farli diventare grandi e che in quel preciso momento, quel ragazzo, è maturato e la metamorfosi in lui è avvenuta.

LA MATURAZIONE

Ricorderò sempre quando mio figlio un giorno, a fronte di una giornata di lavoro impegnativa, vedendomi rientrare stanco e avendo necessità di denaro per una sua esigenza, mi disse: “Papà, quanta fatica fai per guadagnare un soldo e come questi se ne vanno in un attimo!” e, in un’altra occasione, a poco tempo di distanza da quella riflessione, nel contesto di un dialogo sull’importanza dello studio per la vita, mi esternò questa considerazione: “Una volta andavo a scuola perché mi ci mandavi. Ora ci vado perché voglio andarci”.

Credo siano state le due frasi che mi abbiano fatto comprendere che non avevo più davanti a me il “mio bambino”, ma un giovane uomo: era avvenuto quello scatto, quel processo di maturazione che solo qualche mese precedente non dimostrava ancora di aver raggiunto. Anche se, quando saranno pure loro padri o madri di un figlio, per noi genitori, saranno sempre i nostri “bambini”… Cuore di mamma e di papà…

ANSIE

Quante volte abbiamo deterso ed asciugato il volto dal pianto di nostro figlio tornato da scuola con un brutto voto o dal gioco per essersi fatto male! Le corse al pronto soccorso per un mal di pancia in piena notte, soprattutto nei primi anni di vita, quelle “benedette” coliche che fanno perdere il sonno ai giovani genitori, un po’ per inesperienza, un po’ per paura… e quelle notti passate in bianco in casa o in ospedale per qualche incidente che, seppur non gravissimo, ha comportato un ricovero, magari per la frattura di una gamba o di un braccio, per una caduta accidentale o nel bel mezzo di una partita di pallone.

E le ansie per le prove di scuola, per il superamento di un esame, consapevoli della nostra impossibilità ad aiutare concretamente il figlio perché oggettivamente non all’altezza, ma cercando di incoraggiarlo contro ogni evidente limite e capacità a superare quel test, quella selezione, affinché non si scoraggiasse e non perdesse fiducia in sé stesso.

…RICORDI ED EMOZIONI

Ma come non ricordare la prima parolina, quel “maama” che non si capiva bene se stesse dicendo “mamma” o chissà cosa, ma che subito fu accolta dalla madre come premio, come gratificante riconoscimento per aver messo al mondo quel bimbo. E la prima volta che, da solo, si è alzato e, traballando, ha percorso i primi due tre passi autonomamente per raggiungere il genitore che, sospendendo ogni atto inspiratorio, l’ha afferrato al volo prima che cadesse.

Ansie, timori, gioie, pianti, risate, arrabbiature, rimproveri, baci, coccole… tutti stati d’animo che si alternano in un genitore nelle prime fasi della vita di un figlio, con tutte le dovute attenzioni, per venir sostituite da ben altre preoccupazioni man mano quella creatura diventa adulta. “Figli piccoli, guai piccoli; figli grandi guai grandi” o “Figli piccoli, problemi piccoli; figli grandi, problemi grandi” – pressoché analogo – detto popolare che accompagna lo sviluppo evolutivo dei figli e che vede nelle varie età una serie di complessità, tipiche e specifiche, che le caratterizzano.

TENEREZZA E…

Mentre scrivo, faccio fatica a procedere in modo organico e conseguenziale come vorrei, facendo un passo avanti e due indietro perché le emozioni che i ricordi riportano alla mente sono tante. Li rivedo correre verso di me, quei due gemelli fraterni, con la bimba che, meno veloce, giunge seconda dal suo papà al contrario del fratellino che gli è già saltato in braccio.

Mi stringe forte le gambe, come ad implorarmi di non lasciarla lì, perché anche lei desidera salire sulle “alte” vette del mio collo, per abbracciarlo. Mi chino su di lei, cercando di non perdere l’equilibrio con l’altro figlio in braccio, la afferro e la sollevo: lei mi guarda, allargando le sue braccia e il suo sorriso, felice di aver raggiunto l’obiettivo di poter stare avvinghiata al mio collo, che serra, dandomi un bacio sulla guancia.

Oggi sono io che la stringo a me, ormai donna e moglie, e le ricambio quel bacio in attesa, quando Dio vorrà, di ringraziarla per il nipotino che vorrà regalarmi e poter tenere ancora stretto al mio collo come fu per lei.

…SOFFERENZA

Mi torna alla mente quando, correndo nel giardino di casa, la mia bimba di circa cinque anni, cadde sul tombino di cemento a copertura di un pozzetto di ispezione presente nel prato. L’urlo, acuto, forte, che mi raggelò il sangue perché inaspettato quanto intenso e protratto, fu devastante per il mio stato d’animo perché, oltre a non sapere quale parte del corpo fosse stata coinvolta, non riuscivo a capire l’entità del danno stesso.

La mia corsa a raccoglierla da terra: le sue braccia tese verso di me – la sua àncora di salvezza – le lacrime che scendevano copiose da quegli occhi disperati, la bocca spalancata come se le mancasse l’aria e il sangue che usciva generoso da quel ginocchio. Il taglio necessitava di qualche punto di sutura, ma il dolore e lo spavento per quel sangue che fuoriusciva la terrorizzava: era la prima volta che si faceva così male e l’esperienza non era stata certamente piacevole, anzi…

La portai al pronto soccorso dopo averla disinfettata e bendata per fermarle la perdita ematica cercando di accostarle i margini della ferita: ogni mia manovra era fautrice di ulteriori pianti che solo il mio sdrammatizzare e consolarla riuscivano a placare un po’. Posso lasciare alla immaginazione di ogni genitore che si trova in quelle circostanze come ci si possa sentire, non tanto per la gravità del taglio (nemmeno i punti, ma solo della “colla” speciale le fu applicata, assieme ad una fasciatura per non farle piegare l’articolazione) ma per la sofferenza fisica che mai si vorrebbe far provare alla propria creatura, oltretutto così piccola.

Quella notte, nemmeno a dirsi, mia figlia volle dormire col “suo papà!” e tutto… passò, magicamente!

NOSTALGIA

Ma i figli crescono e “scappano”, e quella bambina che facevi saltellare sulle ginocchia o quel bambino che ti saltava in groppa quando giocavi a fare il cavalluccio… te li ritrovi sulle ginocchia ma di qualche altro figlio/a di qualche altro genitore, mai conosciuti, ma che da un momento all’altro diventano o possono diventare parte della tua vita: da lì a ritrovarteli in chiesa (o in comune) ad accompagnarli all’altare (preferibile speranza…) è un attimo.

E li rivedi nella tua mente mentre giocavano spensierati o quando ti chiedevano di aiutarli nei compiti o la “mancia” per andare con gli amici al cinema o a mangiare la pizza… Nostalgia? Beh, credo sia normale… o no? Non è la scena del film strappalacrime, ma una realtà che la maggior parte dei genitori vive nell’arco della propria esistenza e che non smette mai di provare.

Rammento ancora quando mia madre, al mio rientro dall’oratorio (allora ci si ritrovava in un centinaio di ragazzini a giocare a pallone e a mille altri giochi, anche un po’ pericolosi più per incoscienza che per stupidità…) mi abbracciava stretto e con un sospiro di sollievo mi diceva: “Che bello che sei qui, dalla mamma!” e guardandola, da dodici/tredicenne, con aria interrogativa, le domandavo il perché.

Lei mi rispondeva: “Sai… ho sentito la sirena di una ambulanza e temevo ti fosse successo qualcosa…”. A quel punto ero io a stringerla forte e a rassicurarla. All’epoca mi sembrava sin esagerata quell’apprensione…

Oggi la comprendo.

I FIGLI E IL TRASFERIMENTO DEI PROPRI VALORI

Un figlio, nel bene o nel male, è sempre parte di te e capisco anche quando la madre di un delinquente, che viene arrestato o ucciso in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine o con una banda rivale, si dispera e pur consapevole della sua colpa, vive uno strazio impensabile: quel criminale, comunque, è o era suo figlio…

Anche adesso che i miei ragazzi sono adulti, le apprensioni per la loro vita non mancano: il pensiero per il loro benessere psico-fisico; la loro felicità sentimentale o la realizzazione professionale, ecc. sono sempre presentii nella mente e nel cuore di un genitore.

Non meno, per chi ha una formazione cattolica, la loro “pratica religiosa”, ovverosia la continuazione e perseveranza in quei valori cristiani che, personalmente, ho cercato di trasmettere, per tanti anni, durante la loro crescita, ma che poi è compito e scelta individuale confermare e praticare piuttosto che abbandonare… il che sarebbe triste per un genitore credente.

Io penso che il dono più grande, in assoluto, che un padre possa dare ad un figlio sia quello della fede. Certo, anche averlo cresciuto sano, fatto studiare affinché potesse farsi una posizione nella società trovando un lavoro soddisfacente sia dal punto di vista motivazionale che economico; supportato nei momenti di difficoltà morale o materiale; aiutato finanziariamente nell’acquisto di un’auto o di appartamento, ecc., sono tutte cose che, potendolo fare, è giusto e importante vengano fatte: l’uomo è corpo e spirito. Il punto è che oggi si tende a privilegiare la prima componente dell’essere umano e meno, sino ad ignorarla se non addirittura negarla, quella spirituale.

Ma perché, senza fede non si può vivere?

Mangiano, bevono, dormono e si divertono, magari anche di più senza regole e remore morali, pure coloro che non credono… Certamente, sino a quando le cose e la salute vanno bene. Nel momento in cui questi fattori materiali incominciano a incrinarsi o a venir meno, spesso i sentimenti che emergono sono il nervosismo per non riuscire più a vivere come si vorrebbe, vizi e “virtù” compresi: la rabbia per aver perso quella “qualità” di vita raggiunta e ambita, diventa dominante. Se poi ci aggiungiamo qualche acciacco della salute o qualche infortunio che potrebbe renderci non più abili a svolgere qualche mansione o che abbia a limitarci nella nostra autonomia e/o autosufficienza, con una evidente qualità di vita compromessa, allora il quadro della drammaticità e della disperazione è completo.

Non che chi abbia fede, a fronte delle vicissitudini anzidette, sia felice… ma di certo l’affidarsi al Padre eterno (questa è, nella concretezza, la fede/fiducia) affinché ci dia la forza e ci aiuti a superare quella situazione negativa transitoria o permanente di una specie (fisica) o dell’altra (economica, per es.) è un modo ben diverso di affrontare analoghe situazioni che, per “par conditio”, possono accadere sia a chi crede che a chi no.

L’aver fede non è una assicurazione contro gli infortuni, un parafulmine dalle disgrazie, ma un modo diverso e più positivo di affrontarli con la speranza di poterli risolvere col nostro impegno e la grazia di Dio. Io mi son sempre affidato a Lui ed ho superato bene le tante prove che ho incontrato nella mia esistenza. Certo non è stata sempre una passeggiata, ma il “bastone” della fede in Dio è stato fondamentale per venirne fuori vincente.

A tal proposito, se lo desiderate, vi invito a leggere il mio libro <<Solo “casualità” o Progetto? – Accadimenti particolari di una comune esistenza>> nel quale riporto fatti realmente accadutimi in prima persona o a miei familiari, o di persone che si sono con me confidate, e come la preghiera e l’intervento divino (qui lascio a voi credervi o meno, appunto…) siano stati determinanti per la buona riuscita nella propria vita o per superare positivamente quella determinata situazione, spesso molto delicata.

Una parentesi: chi mi segue, come fedele lettore, senz’altro nei vari libri che ho redatto, avrà più volte incontrato il tema della fede trattato da me in svariati contesti. Non è, evidentemente, un volersi ripetere per un gusto fine a sé stesso o per motivi di “indottrinamento”, ma semplicemente perché credo profondamente in quello che sostengo relativamente a questa virtù teologale e quindi la professo chiaramente in funzione del contesto in cui mi trovo a parlarne.

MA I FIGLI CHE NON ASCOLTANO? INCOSCIENZA O IRRICONOSCENZA?

Sono motivo di sofferenza perché un genitore desidera sempre e solo il loro bene ma, tante volte, paradossalmente, i figli sembra che vedano nei suggerimenti dati dai genitori o di iniziativa o a fronte di una loro richiesta, più un impedimento alla loro realizzazione, alla loro felicità, che non il contrario. Sembrerebbe sin assurdo, ma spesso è questa la reazione che dimostrano, quasi una rivalsa, soprattutto quando si sentono “cresciuti” ed autonomi, verso quel genitore che tanto si è speso per farli diventare grandi e… autonomi.

Irriconoscenza?

Mah, talvolta il pensiero sfiora la mente benché non lo si voglia ammettere od accettare. Di certo, in linea di massima, c’è più il desiderio del figlio di voler affermare una propria indipendenza nei confronti del genitore più che una vera e propria ingratitudine e/o ribellione. Del resto, per crescere, occorre anche confrontarsi con i propri familiari e imparare a sostenere la propria tesi anche se in contrasto, a volte solo in apparenza, con le indicazioni paterne e/o materne.

Ed è qui che il genitore soffre in sé perché vede, per esperienza, che quella scelta perpetrata ostinatamente dal proprio ragazzo è sbagliata e foriera di conseguenze negative per lui. Ma è anche da questo confronto, magari aspro, che il figlio matura se nello “scontro” comprende la tensione genitoriale mirata al suo bene, seppur motivo di contrasto. Se c’è amore, comunque, da quella discussione che potenzialmente potrebbe portare ad un logoramento se non addirittura ad una rottura dei rapporti, superata la crisi, subentra la consapevolezza da parte del figlio, se maturato, della reale finalità del proprio genitore che mira, ripeto, al solo bene del figlio, magari con modalità e percorsi non sempre condivisi, dettati da una maggiore capacità di riflessione, più razionale e meno impulsiva, tipico dei giovani.

E anche quando un padre invecchia, sin che la mente rimane lucida, il suo pensiero è costantemente rivolto ai figli e, talvolta ancor più, verso i propri nipoti, segno tangibile di una continuità, prodotto dell’amore dei loro papà, quei figli diventati a loro volta genitori. Ed è allora che questi ultimi incominciano a vedere nelle membra indebolite di quello che a suo tempo, da piccoli, definivano regolarmente “il papà più forte del mondo”, i sacrifici fatti per farli crescere e diventare quello che sono diventati. È in quei momenti, quando l’anziano/a padre o madre chiedono di essere aiutati ad alzarsi da una sedia o ad essere spinti su una sedia a rotelle – e mi limito a questo… – che il figlio comprende il valore di chi, giunto al limitare della propria vita, ha dato tutto ciò che aveva e/o poteva dare ed ora si affida al loro cuore nella speranza, non nella pretesa, di trovare altrettanto amore.

SPERANZA

Ricordo quanto accadde a mio padre che, ormai, di fatto paralizzato in un letto, ma sereno nell’animo, dopo sette anni di malattia che lo portò progressivamente ad allettarsi, alla mia domanda se fosse stanco di vivere perché diventato totalmente non autosufficiente, mi rispose con un filo di voce: “No, perché non sono abbandonato a me stesso, ma ho in tua madre e in voi figli la cura e l’amore nell’assistermi e non avermi lasciato da solo in un letto in attesa della morte”.

Ecco, se mai dovesse capitare anche a me una malattia che mi costringesse in un letto, spero di trovare nei miei figli analogo comportamento e vicinanza e che possa anch’io esprimermi allo stesso modo così come fece mio padre con me.

Come si dice, senza illusioni, la speranza è l’ultima a morire…

Con affetto, vostro Antonio.

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2 risposte

  1. Caro Antonio…. I figli sono gioia, dolori ed io aggiungerei Egoisti…. Fatto le dovute eccezioni… Per fortuna nel tempo loro vengono sostituiti dai loro figli nostri meravigliosi nipoti da cui riceviamo amore, emozioni e vita!!!!!

  2. Caro Carlo, anche questo ulteriore risvolto, l’egoismo dei figli, fa parte della realtà che come genitori ci troviamo talvolta e purtroppo a dover constatare. Come giustamente sostieni “Fatto le dovute eccezioni…” perché è anche vero che molti figli dimostrano riconoscenza per i sacrifici dei propri genitori, magari in modo meno appariscente, meno “reclamizzato”, ma altrettanto concreto. Questo egoismo, lato meno positivo nel rapporto genitore-figlio, ci viene effettivamente compensato dall’amore dei nipoti verso i quali rivolgiamo un amore speciale ricambiato, appunto, dal loro, con gli interessi…
    Con affetto, Antonio.

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