Nota introduttiva: per correttezza verso i miei lettori, segnalo che il seguente articolo è tratto dal Cap. 23 della Sezione Religiosa del mio libro: “DIARIO SPIRITUALE – Non di un eremita, di un mistico o di un Santo, ma di un uomo come te…” – pubblicato su Amazon -parzialmente adattato per il presente blog – e qui riportato in copertina:

PREMESSA
Ho sempre letto questo brano evangelico come una delle pagine più belle oltre che tra le mie preferite: quella del “Figliol prodigo” o, in versione più recente, del “Padre misericordioso”, a seconda del punto di “osservazione”, cioè di lettura, dal quale ci si pone a guardare/leggere questo testo.
Prima di introdurmi ad un’analisi e relativo commento del Vangelo secondo Luca (15,1 – 3.11-32), desidero esternare una riflessione che, apparentemente, sembrerebbe non c’entrare nulla con quanto sopra.
A cosa mi riferisco?

A questo: molti WhatsApp, nelle loro frasi, spesso molto ben supportate da immagini coinvolgenti (ma anche da una grande messe di errori ortografici e/o sintattici… segno che i tempi vanno avanti, ma la cultura regredisce, almeno in coloro che redigono questi messaggi), riportano la parola “speciale” riferita alla persona alla quale, idealmente, si vuol indirizzare quel messaggio.
Detto in pratica, per esempio: “Ad una persona veramente speciale, per il suo cuore grande e sincero” oppure: “Tante sono le persone che conosco, poche quelle veramente speciali”, ecc. espressioni che vogliono sottolineare l’importanza che quella parola “speciale” – aggettivo – riveste nella dinamica relazionale, riferita ad un amico, ad un conoscente, ad un personaggio le cui caratteristiche morali vanno ben oltre la normalità, vuoi in termini di sensibilità, di affidabilità, sincerità, ecc., ecc.
Talvolta, però, è altrettanto vero che di quel termine si abusi attribuendolo a persone che di “speciale” non hanno poi così tanto o, quantomeno, potrebbe risultare tale solo per l’altra persona, ma non a livello “pubblico”, cioè riconosciuto come tale dal consesso umano. E questo vale per ogni essere umano il quale potrebbe risultare “speciale” per una determinata fetta di popolazione ed esattamente “normale” per l’altra metà.

Ad esempio, un cantante famoso come Frank Sinatra potrebbe risultare il migliore e “speciale” (è stato soprannominato “The Voice”) per le persone di una certa età e risultare totalmente indifferente ai fans dei Maneskin… e viceversa. Ma chi è, allora, veramente “speciale”? Lascerò a chi sta leggendo trarre le conclusioni e dare la risposta al termine della mia esposizione non privandomi della libertà di esprimere la mia opinione, come sempre.
INTRODUZIONE
Iniziamo, quindi, a esaminare il brano del Vangelo suindicato.
La parabola che viene riportata, a seconda di come la si legge, può essere vista come la “bravata” giovanile di un figlio scapestrato che poi rinsavisce (opportunisticamente, potrei aggiungere…) dopo essere stato “prodigo” con i beni ereditati dal padre, o come un padre che, per certi aspetti, potremmo definire sia un po’ “moscio” (cioè senza un carattere forte…) ed anche ingiusto (relativamente al comportamento tenuto col figlio maggiore, quello “bravo”, “buono” ed “ubbidiente”, comportamento tenuto, magari, un po’ opportunisticamente anche da lui…).
Perché dico questo? Perché la parabola, così come un qualsiasi racconto, può essere letta con chiavi interpretative diametralmente opposte e a seconda della propria convenienza. L’obiettività, del resto, non esiste e quindi è sempre difficile definire quale sia la “giusta” lettura. In questa circostanza, l’auditorio a cui Gesù si rivolge è costituito, infatti, da scribi e farisei, che “…mormoravano…” circa il fatto che “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” riferendosi ai pubblicani e ai peccatori (qui mi sembra ci siamo tutti dentro…) che si avvicinarono a Gesù per ascoltarlo.
Attenzione, qui si dice che costoro si avvicinarono per “ascoltarlo” a differenza degli scribi e farisei che non solo non lo ascoltavano, ma “mormoravano” contro di Lui: che brutta la “mormorazione”!!! Il non avere il coraggio di rivolgersi direttamente all’interessato, ma parlar sotto/dietro…
Il dizionario così definisce la mormorazione: “Espressione a mezza voce di protesta non giustificata o addirittura di maldicenza”. Vedete come, già qui, sia diverso l’atteggiamento interiore tra le due categorie: “pubblicani e peccatori” (i “cattivi”) che ascoltano Gesù, da una parte, gli “scribi e farisei” (i “buoni”) dall’altra, già con la sentenza pronta in tasca…
Il Signore non scende al loro livello di mormoratori, “pentole di fagioli” che bollono e ribollono (dentro), ma espone loro un racconto che, come nel Suo stile, non sentenzia giudicando e/o condannando, ma lascia auto-giudicarsi chi lo ascolta… Ancora una volta occorre, per salvarsi, porsi in ascolto, cioè non solo limitarsi ad udire, ma a riflettere su quelle parole, la Parola, che viene detta da Gesù e adeguarvisi.
Ora proviamo ad immedesimarci nei panni di un regista, un videomaker che riprende la scena dividendola in tre parti: nella prima, il FIGLIO PRODIGO, nella seconda il PADRE e nella terza il FIGLIO BUONO.

LA PARABOLA A… “PEZZETTI”
1° PARTE: IL FIGLIO PRODIGO
Procediamo nella parabola ed osserviamo l’atteggiamento e la decisione che il figliol prodigo prende: “Padre dammi la parte di patrimonio che mi spetta” (Lc 15,12).

Una prima osservazione: ma noi quale pretesa abbiamo nei confronti del Padre? O meglio, al contrario, il Padre cosa ci deve, in cosa è “debitore” verso di noi? Qui emerge l’arroganza del diritto, della legge: al figlio spetta una eredità che per diritto naturale può essere concessa o prima o dopo la morte del proprio genitore e quindi la pretende e la ottiene.
Molte volte anche noi ci comportiamo così. Abbiamo un diritto, lo pretendiamo e per dare sfogo alla nostra bramosia di libertà, alla nostra volontà di fare ciò che vogliamo, incondizionatamente, sperperiamo quel patrimonio che gratuitamente ci è stato dato: siamo così sprovveduti da non saper apprezzare il valore di quel patrimonio (i doni materiali e spirituali ricevuti alla nascita, non per merito, ma che per libera scelta del Padre ci sono stati concessi) e li sprechiamo in futilità, senza farli fruttificare.
Al giovane, a causa della sua scelleratezza e prodigalità, le cose non vanno proprio bene e, prostrato dal bisogno si ravvede: “…Allora tornò in sé e disse:<<Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame…!>>” (Lc 15,17).
Occorre fare attenzione. Ciò che lo fa ravvedere non è una spiritualità superiore che emerge da chissà dove, ma il bisogno di sopravvivenza, il rendersi conto che lontano dal Padre non si può vivere e che solo Lui ha il pane di vita, anche materiale, oltre che spirituale. Quante volte anche noi, nell’abbondanza materiale, non sentiamo il bisogno del Padre, ma appena questa viene meno, allora ci rendiamo conto che senza il Suo aiuto non possiamo vivere, così come quando soffriamo moralmente ci sentiamo in altrettanto bisogno di “pane spirituale” che può provenirci solo da Lui!
Prosegue: “<<Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non son più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati>>. Si alzò e tornò da suo padre”>> (Lc 15, 18-20).
Di questa sua ammissione analizziamo i verbi “alzerò”, “andrò” e “dirò”: c’è un movimento sia mentale, la consapevolezza dell’errore compiuto, che fisico: un rialzarsi da quella condizione, un muoversi = smuoversi da quella realtà per andare dal Padre, cioè ritornare sulla via retta che aveva abbandonato, la volontà di ritornare sui suoi passi e di ammettere le proprie colpe, pur se mosso da una necessità impellente e quindi non del tutto disinteressata. Ma agisce, non rimane solo sui suoi propositi: “Si alzò e tornò da suo padre” (Lc 15,20), rischio che molti corrono non decidendosi mai a cambiare, a tornare sui propri passi, sulla retta via.
Sin qui, il figlio.
2° PARTE: IL PADRE
Vediamo ora l’atteggiamento del Padre, di colui il quale non aveva opposto resistenza alla decisione del figlio (“…Ed egli divise tra loro le sue sostanze” (Lc 15,12)), rispettando la sua volontà pur consapevole del rischio che avrebbe corso, non solo di perdere quel patrimonio, che comunque prima o poi sarebbe spettato al figlio, ma anche il figlio stesso. “Quando ancora era lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20).

Facciamoci qualche domanda: forse gli chiese con quante prostitute avesse dilapidato i suoi soldi? O se si fosse ubriacato? O quali e quante altre azioni riprovevoli avesse compiuto? No, “…lo vide…”, “…ebbe compassione…”, “… gli corse incontro…”, “…gli si gettò al collo…” e “…lo baciò…”! Quale padre terreno sarebbe così magnanimo? Ma il Padre di questa parabola, è un padre con la “P” maiuscola, è un Padre “speciale”! Oh, mi sembra che questo aggettivo qualificativo l’avevamo già incontrato all’inizio di questa riflessione…
Credo che ora il senso di questo termine incominci a delinearsi un po’ meglio nel suo valore più profondo…
Vedete quanti verbi riassumano il moto dell’animo e del corpo in un crescendo e in una miscellanea alternata di sentimenti ed azioni!Il Padre attende, solo che noi ci rendiamo conto del nostro errore e Lui, nel massimo rispetto della nostra libertà, ci permette di sbagliare, di infangarci (da un porcile non credo si riesca ad uscire molto “puliti”…), ma poi ci vede “Quando ancora era lontano…”, cioè quando abbiamo ancora da percorrere un lungo cammino, Lui non ci aspetta con le braccia incrociate, pronto a condannarci, da Giudice inflessibile, ma vede in noi lo sforzo del cambiamento ancor prima che noi riusciamo ad intravvedere Lui e il Suo perdono.
Non solo. Ma ci corre incontro! Al Signore basta un nulla per far scaturire il Suo amore misericordioso per noi, per la Sua creatura così fragile, così piena di sé, all’inizio, e così debole dopo aver esperimentato il devastante effetto del peccato! Il Signore è un Padre anch’esso “fragile”, un Padre che non riesce a trattenere il suo Amore per noi, quell’amore viscerale che fa rima con “Misericordia”! “E incominciarono a far festa”. Così come in Lc 15,7 si legge: “Io vi dico: <<così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione>>… <<Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte>>” (Lc 15,10).
Mi sembra che la coerenza del Signore sia ancora una volta confermata. Ed è quello che accade ogni qualvolta ognuno di noi riesce, con la Sua grazia, a ritornare sulla giusta via della conversione.
3° PARTE: IL FIGLIO MAGGIORE, IL “BUONO”, IL “BRAVO” E “UBBIDIENTE”
Che fa costui? “Chiamò uno dei servi… domandò… si indignò… e non voleva entrare” (Lc 15, 26-28).

Come mai questa reazione? Leggiamo oltre cosa e come si giustifica nei confronti del Padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15,29).
Emerge evidente il concetto di meritocrazia, ma ancor più il fatto che l’osservanza dei comandi era il passacondotto della salvezza, la osservanza della Legge… (pensiamo che la parabola è rivolta agli scribi e ai farisei, i quali erano bravissimi a ricordare agli altri tutti i precetti da osservare: che poi loro li osservassero veramente, è tutto da dimostrare… Ricordate cosa diceva Gesù in Mt 23,4? “Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”) non la carità cristiana del perdono!
Ancora: emerge come l’uomo si accontenti del “capretto” per far festa e non di essere nella casa del Padre, di godere del Suo amore e che il suo rispettare i comandi non è fatto per amore del Padre, ma per ottenere dei vantaggi, ACQUISIRE DEI MERITI DA “SPENDERE”/“PRETENDERE”, in ultima analisi, per un proprio tornaconto… E l’invidia e il rancore verso il fratello minore, suggella il “bravo” e ubbidiente figlio maggiore: “Ma ora che è tronato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui ammazzi il vitello grasso” (Lc 15,30).
Sembra che non vedesse l’ora per scaricare tutto l’odio accumulato verso il Padre per una presunta disparità di trattamento! Quante volte, anche noi, magari perché non riusciamo ad avere ciò che riteniamo giusto, ci rivoltiamo contro il Padre attribuendogli una ingratitudine verso di noi che andiamo a Messa tutte le domeniche e le feste comandate e prendiamo anche la santa Eucaristia… ma ci dimentichiamo di aiutare nostro fratello che è nella necessità materiale, che si trova in una difficoltà morale!
Quanta ipocrisia, quanta demagogia teologica!
LA RISPOSTA DEL PADRE.
Credo sia meglio ascoltare Lui, perché noi avremmo risposto con qualche parolina poco religiosa e con qualche gesto non proprio fraterno…: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo…” (Lc 15,31).
Nonostante le rimostranze, il Padre lo chiama “Figlio”, non lo redarguisce ricordandogli che lui è il “padre-padrone”, cosa che verrebbe spontanea a noi, ma cerca di fargli comprendere che non sta operando alcuna discriminazione e lo invita a guardare e riflettere sul fatto che lui, suo figlio, si trova già nell’abbondanza “…tutto ciò che è mio è tuo…” e conclude come solo un genitore “speciale” può fare: “…ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
RIFLESSIONE CONCLUSIVA
Dunque, cari lettori, avete raggiunto un “verdetto” unanime su chi sia veramente “speciale”?
Personalmente credo che tale sia solo il Padre nostro che è nei Cieli e nei nostri cuori, sin quando non lo cacciamo fuori… benché, in modo incredibile, Lui sia sempre pronto a rientrarvi, nonostante gli rinfacciamo il “capretto” negato! Aggiungo che, nonostante i nostri vantati meriti, il Signore non ci manda a quel paese facendoci rilevare la nostra pochezza in tutti i sensi, la nostra ripetuta infedeltà, ma, personalizzando le frasi del Vangelo, “…ci vede…”, “…ha compassione…”, “…ci corre incontro…”, “…si getta al collo…” e “…ci bacia…”!

Dio mio, se non sei “speciale” Tu, chi mai potrebbe fregiarsi di questo attributo?
Rimettiamoci alla Sua Divina Misericordia e, come “figli prodighi”, torniamo a Lui con l’umiltà che riconosce le nostre colpe, i nostri limiti e, con le braccia aperte, anticipiamo il Suo abbracciarci buttandogli, ed avendo il coraggio di farlo, noi per primi, le braccia al collo e baciandolo, non col bacio di “Giuda”, ma col bacio del pentimento per averlo offeso con la nostra presunzione di essere a posto perché rispettiamo la Sua (o nostra?) legge! Chiediamogli la capacità di riconoscere le nostre mancanze, di non essere farisei col nostro fratello, di non ergerci a scribi degli altri, ma nella consapevolezza della nostra caducità, domandiamogli perdono per essere salvati, ancora una volta, non per i nostri supposti meriti (“…non ho mai disobbedito a un tuo comando…”) ma per la Sua infinita Misericordia!
E questo spazio rimanente lo lascio a voi/noi…
… per prendere un impegno, piccolo o grande che sia, se abbiamo voglia di migliorare anche se non riusciremo a modificare completamente un nostro limite, lasciando alla Sua grazia il compito di terminare ciò che abbiamo intrapreso (“Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato verso il Cielo e davanti a te” (Lc 15,18))affinché il Padre possa venirci incontro (“Quando ancora era lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro…” Lc 15,20) e dire ancora una volta: “Io vi dico: <<così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione>> (Lc 15,7)e <<Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte>> (Lc 15,10)e che quel “solo peccatore che si converte” si riferisca a noi!
Non è un volermi ripetere, ma un invito a riflettere forti del detto “Repetita iuvant”: proviamo a ripeterci se la nostra condotta è del tutto ineccepibile o presenta ampi margini di miglioramento…
Buona riflessione e… scegliete/amo bene circa il nostro modo di comportarci!
Con affetto, vostro Antonio.