PREMESSA
Quest’anno l’Avvento ambrosiano avrà inizio l’11 novembre 2024 e durerà 6 settimane, come sempre, a differenza di quello di rito romano che dura normalmente 4 settimane. Siamo dunque prossimi e credo che il tema della confessione o riconciliazione, sia quanto mai attinente e preparatorio a questo periodo che preannuncia la nascita di Gesù, il Salvatore. Ma proprio a tal proposito, i dati statistici ci dicono che ci sono sempre meno cristiani che “amino” recarsi da un sacerdote per questo sacramento.
Da un articolo a cura di Roberto I. Zanini di mercoledì 25 novembre 2015 pubblicato da Avvenire, si legge: “Insomma, quanti sono gli italiani che si confessano? «Quelli che dicono di confessarsi almeno una volta l’anno sono quasi un terzo della popolazione adulta e circa il 40% dei cattolici, con una piccola percentuale che dice di farlo occasionalmente, a distanza di anni» mentre aumentano la frequentazione e il ricorso a psicologi se non, drammaticamente, a cartomanti, “maghi” e fattucchiere vari (sembrerebbe che “Un italiano su cinque si affida a maghi, occultisti o cartomanti” e che “Circa il 20% degli italiani, quasi 12 milioni di persone, si rivolgono ogni anno a maghi, cartomanti, occultisti, guaritori…” e potremmo aggiungere altre statistiche più o meno aggiornate e attendibili).
Ma perché, invece, facciamo così tanta fatica ad entrare in un confessionale? Per di più gratuito… (visto il giro di affari, invece, – miliardario – del mercato dell’occulto…)? Perdonate la provocazione…
Ancora una volta faccio ricorso al mio libro: “DIARIO SPIRITUALE – Non di un eremita, di un mistico o di un Santo, ma di un uomo come te… – ” dove al cap. 6° della Sez. Religiosa, sotto forma di una ipotetica lettera scritta proprio a Gesù, il penitente confessa la propria difficoltà a questa pratica sacramentale. Ascoltiamolo e cerchiamo di capire se viviamo anche noi il disagio… confessato:
<< Caro Gesù,
perché oggi è così difficile accostarsi al sacramento della Riconciliazione? Perché si prova un così forte disagio ad inginocchiarsi di fronte ad un sacerdote, Tuo vicario in terra, per accusare i propri peccati? Perché siamo così pavidi nell’ammettere e confessare le nostre bassezze?
Potrei andare avanti con altri mille perché, ma credo che non troverei mai la risposta risolutiva a tutte queste domande ma, soprattutto, faccio fatica a comprendere come Tu possa riuscire a sopportare questa nostra infedeltà continua che si manifesta sempre con il ricadere continuamente negli stessi errori, nelle stesse debolezze… Ma per nostra fortuna, Tu sei Gesù, il Salvatore, il Padre, il Creatore, ma innanzitutto il Misericordioso!
Chi altri, seppur santo, avrebbe la Tua pazienza con noi? Anche Giobbe, la cui biblica pazienza è proverbiale, riferimento per generazioni, di storica e antica memoria, ad un certo punto non ne poté più nemmeno lui di lottare contro le avversità della vita. Ma Tu sei Tu, o Signore, e come tale, Datore della vita, domini il bene e il male e da quest’ultimo sai trarre ancora il bene e conosci la nostra fallace natura…
Quante volte ci riproponiamo di non ricadere più in questa o quella debolezza eppure, come pere cotte, ci ricadiamo, incapaci di resistere alle tentazioni nelle sue più svariate formulazioni! Tu resistesti 40 giorni e 40 notti, nel deserto, senza cibo: noi facciamo fatica a stare 4 ore senza “cibarci” del peccato! E una volta commesso, piccolo o grande che esso sia, ci sentiamo subito a disagio a rivolgerti la parola, a guardare la Tua immagine, ad entrare in chiesa e in un… confessionale.
Ci sentiamo così “stupidi” per aver fatto la nostra “stupidata” che abbiamo vergogna di doverla ammettere, confessarla, appunto, vinti dall’orgoglio di poter fare a meno di Te nel momento della tentazione, di sentirci più forti della stessa tentazione al peccato… Poveri illusi che crediamo di poter fare a meno del Tuo aiuto soprannaturale, di poter vincere con le nostre sole forze, di umana natura, il diabolico tentatore che, seppur maligno, è pur sempre un essere spirituale e, per definizione, “superiore” non certo a Te, ma senz’altro a noi!
Quando Tu dici che la salvezza è un dono della Tua grazia, capisco cosa vuoi dire: senza la Tua volontà a volerci donare, “regalare” la salvezza eterna, noi abbiamo un bel pretendere di voler dimostrare che ci potremmo salvare grazie ai nostri meriti…
L’atteggiamento “compassionevole” del sacerdote, cioè del “cum – patire” ossia del “patire assieme”, è quello che Tu hai insegnato ai peccatori che a Te si sono rivolti nella loro umana miseria, umili e consapevoli delle loro colpe, ma anche altrettanto confidenti nella Tua capacità di comprendere i motivi, le circostanze e i condizionamenti sociali presenti alla base delle loro nefandezze, non per giustificare il male compiuto, ma per perdonare la creatura che quel male l’aveva commesso.
“Per-donare” da cui “per-dono”, cioè “gratuitamente”: a noi, così pratici negli affari e negli interessi economici, maestri nel “do ut des” (ti do affinché tu mi dia), non ci sembra possibile che Tu, senza pretendere nulla in cambio, ci possa “donare” la salvezza!
Noi ragioniamo, più o meno, così: ma come è possibile che, dopo avere compiuto le cose più scellerate e magari senza far nulla per rimediare, potremmo mai essere assolti e ricevere il “premio” eterno? Ed è qui che entriamo in crisi: offendiamo il Signore, colui che da “Giusto Giudice” deve valutare il nostro operato e, invece di castigarci, Lui ci perdona per la Sua infinita misericordia!
Qui ci vengono un po’ le vertigini, noi che al Suo posto saremmo inflessibili censori, rigidi applicatori della legge… Ma se osserviamo come agiscono, anche qui sulla terra, i nostri magistrati, ci accorgiamo che essi si riservono di interpretare il reato commesso e si arrogano la facoltà di assolvere o condannare e, in questo caso, di decidere a quale pena, in quanto giudicano le motivazioni che hanno indotto il reo a sbagliare: rigidità della legge, flessibilità nell’applicazione.
Ora, perché mai il Sommo Giudice, di infinita superiorità rispetto agli umani magistrati nel saper leggere nel cuore degli uomini le motivazioni che l’hanno indotto a sbagliare, non potrebbe decidere se “assolvere” piuttosto che “condannare” quel “reo-confesso”? Certo, abituati a relegare e dividere le persone in “buone” o “cattive”, “belle” o “brutte”, “forti” o “deboli”, ecc. a seconda dei nostri pregiudizi e delle nostre convinzioni aprioristiche ed inappellabili, ci diventa quasi incomprensibile come si possa agire al di fuori di questi canoni.
Forse, Gesù, ci dimentichiamo che l’amore è quella “regola”, quella “legge” che ha la facoltà di andare contro tutte le regole, contro tutte le leggi e che Ti permette di tener conto del reale pentimento per il male fatto, non per la paura del castigo, dell’Inferno, cioè della pena eterna, ma perché il peccatore si rende conto del “non-senso” (questo è il peccato, l’Inferno) a cui ha sacrificato il Supremo Bene.
Ci siamo accontentati di una caramella rivestita di zucchero ma che cela un contenuto assai amaro, una velenosa droga che ci crea una dipendenza, cioè il piacere di riassaggiare quella caramella che in apparenza, in superficie, risulta essere dolce, ma poi ci lascia ancor più “amareggiati”. E continueremmo così se la Tua Grazia, il Tuo amore, o Dio, non toccasse il nostro cuore facendolo sanguinare per la consapevolezza di quel circolo vizioso nel quale siamo caduti.
Sì, caduti in quella spirale che ci fa sprofondare in maggior misura, senza riuscire da soli a risalire la china, a ripercorrerla in senso opposto, per risorgere alla luce da quel buco nero che finirebbe non solo per attrarci sempre di più, ma, alla fine, per inghiottirci.
Gesù, aiutaci Tu! E Tu ci dai il Tuo aiuto con il dono della riconciliazione, parola che richiama meno il momento della “confessione”, cioè della “accusa”, dell’ammissione dei nostri peccati, ma molto di più quello dell’abbraccio del Padre verso il figliol prodigo (tutti noi), al quale non chiede i dettagli del suo essersi infangato, di come ha dilapidato le sue ricchezze (i doni, i talenti che il Padre ci ha donato), con chi, ecc.; non gli fa il terzo grado, l’interrogatorio, ma dice: “…avevo perso un figlio, l’ho ritrovato! Facciamo festa!”.
Gesù mio, come è distante il nostro concetto di salvezza dal Tuo! Il nostro, così elaborato, ricco di mille riti, regole, precetti… Il Tuo, così semplice che si racchiude in una parola: Amore! Forse che quando un padre perdona un figlio gli fa ripercorrere tutte le tappe dei suoi errori, stigmatizzandoli uno ad uno e infierendo su di lui a sottolineare ulteriormente quanto di negativo abbia commesso? No, questo non è per-dono, ma violenza gratuita, rivalsa sull’altro, vittoria sullo sconfitto, è “uccidere un uomo morto”!
Ed è forse perdono sincero quello del coniuge tradito che per perdonare l’altro gli chiede di confessare ogni dettaglio per trarre un piacere perverso dalla infinita sofferenza dell’umiliato fedifrago, per ricoprirlo di insulti, per umiliarlo ed annullare la personalità e renderlo quindi “schiavo” del suo “perdono”?
“Perdono così? NO GARZIE!!!”
Non è questo il tipo di perdono da Te offerto nel sacramento della Riconciliazione, non è questo il motivo per cui sei morto in croce e risorto… No, non è così che intendevi salvarci, attraverso questa tortura del cuore già ferito dal triste retaggio del peccato originale! Tu, Signore, ci lasci liberi di peccare poiché possiamo fare l’esperienza vivificante del perdono, del Tuo amore che ci rialza, ci restituisce la dignità di creature fatte a Tua immagine e somiglianza. Che belle queste parole che Tu ci lasci in eredità, salendo sul legno della croce: “Dammi i Tuoi peccati perché IO li possa bruciare nel fuoco del Mio Amore!”.
Leggendo questo pensiero di Don Pino Puglisi, che dà piena attuazione al Tuo amore per noi, su questa terra, in continua lotta tra il bene e il male, mi son sentito rincuorare:
“Nessun uomo è lontano dal Signore. Il Signore ama la libertà, non impone il Suo amore. Non forza il cuore di nessuno di noi. Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere. Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà”.
Un’ultima cosa, Gesù: forse è difficile confessarsi perché tra i Tuoi ministri non sempre vediamo e riconosciamo il Tuo volto crocifisso e il Tuo cuore misericordioso, ma forse non è colpa loro, ma la nostra incapacità ad andare oltre i nostri limiti, anche in questo.
E, Ti prego, fa che anche a chi è nell’impossibilità di accostarsi a questo sacramento perché separato convivente, divorziato e/o risposato (1), non abbia mai a venirgli meno il Tuo amore e, per la Tua infinita misericordia, brucia nel braciere del Tuo cuore anche i loro peccati che, altrimenti, potrebbero non venir mai perdonati.
Grazie Gesù! >>.
Con affetto, vostro Antonio
P.S.: colgo l’occasione per rimandarvi ad un approfondimento sul tema della confessione sacramentale, sempre rilevabile nel testo da me redatto – DIARIO SPIRITUALE – al cap. 5 della Sez. “Religiosa”, dove si esamina sotto differenti sfaccettature questo tema.
(1) Vorrei anche riportare come nella Chiesa ci sia stato un cammino per consentire a chi si trovi in una di queste condizioni di poter accedere nuovamente ai sacramenti secondo quanto qui di seguito riportato testualmente: “L’Ufficio diocesano [di Milano n.d.a.] per l’accoglienza dei fedeli separati… informa sulla possibilità per i fedeli in nuova unione di accedere ai sacramenti, alle condizioni previste da Amoris Laetitia”. Per informazioni più approfondite ed eventuale appuntamento scrivere a: