Parlare oggi di “Provvidenza” sembra essere più un esercizio letterario che una realtà concreta in cui credere e a cui affidarsi.
DEFINIZIONI
Volendo entrare subito nel tema, non possiamo eludere la sua definizione che il dizionario online Oxford Languages ci riporta: “L’azione costante esercitata da Dio sul mondo creato, spec. in quanto esplicazione di un’infinita saggezza” assieme al suo verbo “PROVVEDERE”, con una dicitura che direi “operativa”: “Far fronte a un bisogno, trovando i mezzi necessari o adottando le misure opportune”.
Apparentemente, queste due descrizioni, sembrerebbero un po’ in antitesi tra loro: da un lato l’azione del Soprannaturale, dall’altro quello che invita a trovare mezzi e modalità per soddisfare un bisogno.
A completamento semantico della parola, l’enciclopedia online Wikipedia definisce la Provvidenza in questi termini: “La Divina Provvidenza, o semplicemente Provvidenza, è il termine teologico religioso che indica la sovranità, la sovrintendenza o l’insieme delle azioni operate da Dio in soccorso degli uomini, per aiutarli a realizzare il loro destino” che sembrerebbe deporre maggiormente per un intervento del Padre eterno a risoluzione delle esigenze umane.
DOMANDE
Quindi? È una umana realtà dipendente dalle nostre capacità o un qualcosa che ci viene dato dall’Alto?

Semplice la domanda, un po’ meno la risposta che presenta una certa complessità se l’argomento non lo si vuol liquidare superficialmente.

Quanti di noi nella propria esistenza non hanno mai invocato la Provvidenza in termini di un aiuto concreto nell’impossibilità di far fronte ad un impegno economico, a uno stato di salute compromesso, di una situazione familiare difficile? E quante volte, almeno per chi crede, non abbiamo espresso il detto: “Dio vede e provvede”?
Come facilmente intuibile, chi più chi meno, tutti ci siamo trovati nella condizione di dover risolvere qualche problema anche oggettivamente “irrisolvibile”, umanamente parlando, e spesso ci siamo trovati a dire: “Qui ci vorrebbe un miracolo”, anche laicamente parlando.
Il punto è che talvolta si fraintendono anche gli insegnamenti che ci vengono trasmessi o che abbiamo appreso ma non compreso. Cosa voglio dire con questo gioco di parole? Semplicemente che l’appellarci alla Provvidenza (alla quale associo, per me che sono di fede cattolica, l’aggettivo “Divina”) non significa alzare gli occhi al cielo, invocare l’aiuto desiderato, scuotere la testa e sdraiarsi sul divano per attendere che la “grazia” ci cada in braccio.

Significa piuttosto che, dopo aver rivolto la nostra supplica a Chi riteniamo l’Onnipotente, ci impegniamo con le nostre abilità, con quei doni che il Signore ci ha concesso, per cercare di superare quell’ostacolo. Il proverbio non dice anche: “Aiutati che il Ciel ti aiuta”? Però, aiutati…
Molte persone, pur di dichiarata fede cristiano cattolica, confondono ed associano alla Provvidenza l’equivalente della “fortuna”: dal sacro al profano, il passo è breve! E le conseguenze sono, normalmente, di duplice natura: o l’imprecazione verso il Divino perché non abbiamo ottenuto l’aiuto preteso (“brutto” verbo) o l’appellarsi alla sfortuna.
E se invece siamo riusciti a superare quella difficoltà per la quale eravamo preoccupati e per la quale non riuscivamo a trovare una via di uscita? Anche qui gli atteggiamenti sono duplici: o, coerentemente alle nostre convinzioni di fede, ringraziamo Iddio oppure ci prendiamo il merito in assoluto ritendo di essere stati noi gli unici artefici della soluzione.
RISPOSTE
Dunque? Dov’è la risposta giusta?
Credo che come in tutte le cose di umana natura, la risposta corretta sia nel mezzo. In che senso? Nel senso che dipende da come noi ci poniamo nei confronti del Soprannaturale. Se siamo persone credenti, autentiche – non perfette – attribuiremo al Signore il merito di averci aiutati, se invece non crediamo, attribuiremo a noi stessi e solo alle nostre capacità l’esser riusciti a risolvere quella situazione.
Ma allora, chi ha ragione? In definitiva, nella pratica, siamo noi ad agire in un modo piuttosto che in un altro per raggiungere il risultato sperato, non uno “Spirito” invisibile.
Comprendo come sia difficile riuscire a trasmettere questo concetto, come dicevo in esordio, apparentemente semplice e quasi scontato. Nella nostra realtà, nella quale il sacro è sempre più “mondanizzato”, fuori moda e ancor meno considerato, quando non deriso, è difficile spiegare come l’intervento del disegno di Dio nella vita di ognuno di noi agisca per il nostro bene affinché la Sua creatura possa realizzarsi su questa terra per godere della gioia paradisiaca, nell’altra vita.
Ed è altrettanto complesso riuscire a spiegare, se non a convincere, che probabilmente quella intuizione necessaria a risolvere quel problema non è arrivata in quel preciso momento per “caso”, ma che Qualcuno, a seguito del nostro sforzo, portato avanti con onesto impegno e determinazione, ad un certo punto ce l’ha “inviata” inaspettatamente. Quanti sarebbero disposti ad ammetterlo? Molto pochi, penso, perché l’orgoglio del risultato raggiunto ci impedisce di condividerlo con Chi ha contribuito a realizzarlo, nel silenzio magari di una altrettanta silenziosa preghiera a Lui rivolta in una determinata circostanza, probabilmente di sconforto, di sofferenza se non di disperazione (pensiamo ad una malattia grave di un nostro congiunto…).
INTERVENTO DEL SOPRANNATURALE O UMANE CAPACITA’?
Ma riconoscere un intervento soprannaturale si fa fatica, soprattutto per un non credente convinto, il quale, laddove dovesse beneficiare di questa grazia, si vedrebbe “costretto” a rivedere la propria posizione nei confronti del sacro. E non è facile: l’orgoglio difficilmente permette l’ammissione dei nostri limiti, dell’ammettere un errore, dall’accettare una posizione differente dalla nostra!
Ma allora l’essere umano non ha alcun merito circa la sua capacità di “problem solver”? No, non ho detto questo anche perché se così fosse, significherebbe non essere liberi di agire e che quindi tutto è stato predefinito/predestinato nella nostra vita e non è così. Quello che vado affermando è che di fronte a situazioni che superano le nostre capacità intellettive, le nostre forze, risorse, disponibilità economiche, ecc. l’invocare la Divina Provvidenza con l’umiltà della creatura verso il Creatore, se secondo la Sua volontà e per il nostro bene, Lo vedrà artefice di quell’aiuto richiesto e vincente.
Ma occorre crederci e non dubitare, non escludendo, ovviamente, il nostro impegno, ma affidando a Lui l’esito finale, il risultato. Quante volte ci è capitato che situazioni oggettivamente senza possibilità di successo, sul lavoro, nel quotidiano, ad un certo momento si sono risolte a nostro favore dopo aver chiesto, con tutta la fede in nostro possesso, una grazia, un aiuto, sin un miracolo?

“Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37) disse l’Arcangelo Gabriele a Maria all’atto dell’annunciazione. Ma la condizione per ottenere una grazia è, ancora una volta, la fede in Lui, fede che il Signore spesso mette alla prova non concedendoci immediatamente ciò che chiediamo (messo che sia per il bene e la salvezza della nostra anima e non per la sua dannazione) ma osservando come noi ci rivolgiamo a Lui: con umiltà o arroganza? Con la consapevolezza della Sua Onnipotenza o mettendola in dubbio se non otteniamo subito risposta (e quella che vogliamo sentire noi…)?
FEDE, FORTISSIMAMENTE FEDE…
Nella Bibbia si racconta l’episodio del sacrificio di Isacco da parte del padre Abramo. Le cose andarono così (da Wikipedia): “Secondo il racconto biblico, al primo patriarca biblico Abramo (ebraico: אַבְרָהָם, Avraham, “Padre di molti/dei popoli”; in arabo ابراهيم?, Ibrāhīm), figlio di Tiriḫ e discendente di Šem, venne fatta da Dio la promessa che la sua progenie sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo (Genesi 15,1-6[2]),nonostante lui fosse molto vecchio e sua moglie Sara (ebraico: שָׂרָה) vecchia e sterile. Secondo la cronologia biblica, Abramo aveva 100 anni[3] e Sara 90 quando Dio strinse con Abramo quel patto. Un patto tramite il quale dal seme di Abramo si sarebbe giunti al Messia e tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette (Genesi 17,2-8[4]), (Genesi 17,19[5]), (Genesi 22,15-18[6]). Abramo, uomo giusto e devoto, fino a quella promessa era stato al centro di avvenimenti che avevano rafforzato la sua fede incondizionata verso Dio. Aveva visto come il Dio della Bibbia aveva liberato e protetto le persone giuste e fedeli liberandole da oppressori pagani, non ultima la liberazione e la salvezza per suo nipote Lot e le sue figlie da Sodoma e Gomorra.
La fede si contrapponeva ai fatti, come poteva Sara generare un figlio ad Abramo visto che era non solo avanti negli anni, ma sterile? Quando uno degli angeli disse ad Abramo che dopo non molto tempo Sara avrebbe avuto un figlio, Sara rise. (Genesi 18,9-13[7]) Ma c’era forse qualcosa di troppo straordinario per Dio? (Genesi 18,14[8]).
Infatti, mesi dopo, il racconto biblico asserisce che Dio rivolse la sua attenzione a Sara proprio come aveva detto, e Dio fece ora a Sara proprio come aveva parlato. E Sara rimase incinta e partorì quindi un figlio ad Abramo nella vecchiaia di lui, al tempo fissato di cui Dio gli aveva parlato [……] e gli mise nome Isacco (Genesi 21,1-3[9]). Isacco quindi crebbe con le amorevoli cure dei due genitori che avevano visto la miracolosa potenza di Dio manifestarsi su di loro con un figlio che sarebbe stato, secondo le Scritture, addirittura il precursore dello stesso Messia”.
Consentitemi, ora, di riportare qui di seguito, integralmente – per facilitarvi la lettura – il brano biblico (Genesi 22, 1-18) relativo al sacrificio di Isacco:
1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». 6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. 7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». 8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt’e due insieme; 9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12 L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio».

13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede». 15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
CONCLUSIONI
Come avrete rilevato il verbo “provvedere” è riportato tre volte e, della massima significatività, la richiesta di Dio che razionalmente sarebbe connotabile come “folle”, sin “criminale” è in realtà quella famosa prova a cui ci richiama (per noi, allora, Abramo) per sondare quanto siamo disposti a credere in Lui.

E credo che i versetti dal 16 al 18 sintetizzino la pedagogia divina che munifica infinitamente quell’atto di fede in Lui.
E forse che il Signore non dovrebbe fare lo stesso con noi? Ma dobbiamo credere in questo, altrimenti la Provvidenza rimarrà qualcosa alla quale ci rivolgeremo più per “prassi” che per reale convinzione, con l’esito scontato di non essere esauditi.
Vorrei concludere questo argomento con una personale testimonianza circa l’intervento del Divino nella mia esistenza, personale e professionale, ma per fare questo ho scritto un libro che riporta fedelmente quanto accadutomi nelle varie circostanze della mia vita.
Se lo desiderate e volete saperne di più relativamente a come la Provvidenza si sia manifestata nella mia realtà di uomo, leggete il libro che si intitola: <<Solo casualità o “Progetto”? – Accadimenti particolari di una comune esistenza>> testo che potrete trovare sul mio sito antoniopalmiero.it nella pagina “I miei libri”.
Buona lettura.
Con affetto, vostro Antonio.