“Sempre con questi temi… che barba!” mi sembrerebbe la spontanea reazione dei giovani adolescenti (ma non solo, ahimè…!) alla domanda se siano abituati o meno a dire “Grazie” quando ricevono qualcosa, un regalo, un favore, una cortesia o semplicemente quando una persona più adulta, se non proprio un coetaneo, cede il passo o il posto in una fila al supermercato, o presso un ufficio pubblico, oppure compie un gesto gentile nei loro riguardi.
Credo che questo segno di educazione stia andando – se non è già andato… – in disuso assieme al “compagno” “scusa”, cioè il chiedere scusa per un gesto inopportuno o per una parola poco nobile espressa in pubblico o, ancora, per aver urtato con la spalla o schiacciato inavvertitamente il piede ad una persona, magari su una metropolitana un po’ affollata di passeggeri: oggi, dai fatti di cronaca nera recente, è più facile che ti sparino, piuttosto che scusarsi!
Vi ricordate, parlo a coloro che hanno i cosiddetti “capelli bianchi”, quando da bambini le nostre mamme all’atto in cui ricevevamo una caramella, da qualche nonnina o persona nota, in loro presenza, cosa ci dicevano? La nostra mamma ci esortava con una semplice domanda: “Come si dice?” e noi eravamo stati educati a rispondere: “Grazie!”. O rammento male? Oggi, passatemi la battuta, i bimbi risponderebbero: “Me dai un’altra?”. Sorridiamo…
Ma non vorrei farmi prendere la mano da questo facile terreno di discussione per non svilire una parola “grazie” che trae origine dal greco “charis” e che assume una valenza dal valore inestimabile per chi crede.
Quale? Perché? Perché costituisce la parte centrale della parola “eucaristia” che in greco si scrive “eucharistia” termine che significa: “rendimento di grazie”, parola con la quale si indica generalmente la S. Messa. Si dice infatti che “celebriamo e/o partecipiamo alla S. Eucaristia” riferendosi e facendo memoria del mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Ma quale sarebbe la valenza e l’importanza che si dovrebbe attribuire, oltre all’aspetto e al significato strettamente teologico, a quella buona usanza di dire “grazie”? Solo un formale gesto di buona educazione, una consuetudine acquisita in una società civile frutto della propria cultura e/o delle tradizioni tramandate di generazione in generazione?
Ebbene, penso che se nella celebrazione della funzione liturgica il ringraziare il Signore, in primis, per aver dato la Sua vita per la nostra redenzione e salvezza sia un sentire grato, ancor prima che un dovere cristiano, noi dovremmo ringraziare al pari i nostri genitori per aver ricevuto da loro il dono della vita (spesso così poco rispettato sin dalla sua nascita, o meglio, “non nascita” – leggi “aborto” o interruzione volontaria della gravidanza) pure per chi non è di fede cristiana.
Oggi, invece, quel dono ricevuto sembra avere un valore sempre meno apprezzato e sempre più calpestato: si ammazza per un paio di cuffiette per cellulare; si susseguono femminicidi e/o omicidi per futili motivi svilendo, così, il senso e il valore della vita a poco più di una “cosa da usare”!
Esseri umani trasformati in merce di scambio, ridotti in schiavitù (vedi migranti donne, ingannate con la prospettiva di una vita migliore e fatte prostituire una volta arrivate a destinazione nei cosiddetti paesi “civili”…); bambini “commercializzati” per il mercato pedo-pornografico; tratta di esseri umani e dei loro organi espiantati per venderli in un drammatico mercato nero di “carne umana” fatta a pezzi…, ecc.
Alla luce di quanto appena scritto, di cosa dovremmo ringraziare e chi?
Comprendo come sia difficile poter esprimere questo concetto di riconoscenza nel momento in cui si vivono le realtà su accennate, incolpevolmente e vittime piuttosto di questa triste realtà. Ma quel ringraziamento al quale accennavo, in esordio, di natura liturgica verso il nostro Creatore, deve essere “esportato” anche al di fuori del contesto ritualistico per essere incarnato nella quotidianità, in ogni circostanza della comune esistenza.
Pensate solo a quanto sia diffusa la pratica del ringraziamento negli indigeni dell’Amazzonia verso la madre terra per il sostentamento che traggono da essa, dalla loro foresta dove si sentono grati per la semplice verdura che dalla coltivazione della terra ricevono, oltre a tutto il resto (farmaci ricavati dalle erbe, ecc.) e come sia tipico delle popolazioni più rurali, contadine, che dalla connessione col proprio suolo hanno sempre tratto il loro nutrimento.
Essere grati per i doni della Terra… in senso lato, ma al tempo stesso per chi quella Terra ce l’ha donata e che noi, purtroppo, stiamo maltrattando in tutti i modi, lamentandoci poi, tacciando di “ingratitudine”, quella “reazione” che la stessa Terra sta rivolgendo verso di noi, verso la nostra scelleratezza, più come un grido di aiuto che come un urlo terrorizzante nei nostri confronti.
Anche nella malattia dell’uomo, nel dolore morale e fisico, nelle ingiustizie più o meno grandi, più o meno reiterate… ebbene anche in questi casi, spesso per noi incomprensibili razionalmente, da cristiani, dovremmo avere un monito di gratitudine verso il Padre eterno che se consente tutto ciò, conoscendo solo Lui il disegno di salvezza per la Sua creatura, permette che ciò possa accadere, paradossalmente, per il nostro bene (magari per correggerci?).
Un tempo si diceva che il Signore dà la piaga e l’unguento. Circa la “piaga”, ne siamo più che consapevoli provandola sulla nostra pelle, ma relativamente all’“unguento”? Può sembrare anacronistico in una realtà scristianizzata come la nostra, sin assurdo pensarlo, quasi “provocatorio”, ma la vera cura, il vero sostentamento è la preghiera di ringraziamento.
Ma di cosa dovremmo ringraziare? Delle tante disgrazie che ci capitano e ci affliggono?
Non sono né masochista né stoico: il male fa male e il dolore lo si sente, ma senza quella preghiera di ringraziamento che si traduce in abbandono e fiducia nel Signore, non c’è consolazione, capacità di risollevarci, di combattere contro le vicissitudini della vita.
Riporto dal foglietto della liturgia de “La Domenica” a firma di don Giuseppe Militello la seguente riflessione:
“La preghiera di ringraziamento, dunque, ci educa, ci trasforma, è antidoto al rischio di ripiegarci su noi stessi, è balsamo sulle nostre ferite, è consolazione che ci libera dal pessimismo, è stimolo a trovare sempre motivi di speranza”.
Il ringraziare porta con sé anche il “sinonimo” termine “riconoscenza”… Perché? Perché pur non essendo letteralmente un sinonimo, alla stessa stregua a questo lo si assimila in quanto chi è grato per un favore, per un dono, per una attenzione ricevuta nei propri riguardi, spontaneamente e simultaneamente manifesta un sentimento di riconoscenza nei confronti dell’altra persona.
Anche Papa Francesco individua in questa parola “grazie” una delle tre alla base di un matrimonio duraturo e felice: “Per favore”, “scusa” e “grazie”, appunto, ma potremmo estenderle anche in ambito di una convivenza tra le persone, le popolazioni e le nazioni.
Attenzione, però. Che questo sentire sia spontaneo e non dovuto quale “obbligo di riconoscenza”: perderebbe la sua valenza pura e nobile. La gratitudine, invece, è tale indipendentemente dal dovere di ricambiare perché è gratuita, disinteressata. Si è grati quale manifestazione della propria sensibilità indipendentemente dal riconoscimento altrui che potrebbe anche non pervenire.
Concludendo, credo che se tornassimo a rivalutare l’importanza di ringraziare le persone, non come gesto formale, da galateo, da buone maniere, ma come manifestazione spontanea di apprezzamento per quello che abbiamo ricevuto o che ci ha visto oggetto di una cortesia, vedremmo scaturire negli altri un sorriso spontaneo creando una disponibilità d’animo a rendersi pronti per offrire nuovamente il proprio aiuto e ciò renderebbe il mondo più bello, più solidale e più vivibile.
E la sua assenza nei rapporti umani? Credo non occorra un sociologo per vederne già gli effetti nella nostra (e non solo…) società dove sembra che alla parola “grazie” si siano sostituite l’arroganza delle offese, degli insulti, degli improperi se non l’uso delle mani quando non delle armi!
È questo il mondo che vogliamo?
Grazie, per avermi letto.
Con affetto e gratitudine, Vostro Antonio.