Antonio Palmiero

“Onestà Deontologica e Professionale”: esiste ancora nelle relazioni umane?

ONESTA DEONTOLOGICA E PROFESSIONALE_AntonioPalmiero

PREMESSA

In questo articolo desidero trattare il tema proposto analizzando non solo come questo assunto possa essere, o meglio, dovrebbe essere normalmente alla base dei rapporti di natura commerciale in senso lato, per esempio tra un professionista e un cliente che a lui si rivolge per una consulenza o una mediazione o una trattativa, ma anche nelle relazioni tra semplici persone. Precisato ciò, iniziamo questa analisi etico-sociologica cercando di riflettere, far mente locale, anche su quello che la personale esperienza vissuta ci ha insegnato e può aiutarci a rispondere al quesito in testa al presente blog.

ANALISI TERMINOLOGICA

Iniziamo con alcune definizioni:

dall’Oxford Languages:

Deontologia: L’insieme delle regole morali che disciplinano l’esercizio di una determinata professione.

Da Internet:

Etica: studia e valuta ciò che un particolare individuo sente come moralmente corretto nei confronti della sua professione.

“A differenza dell’etica professionale, che studia e valuta ciò che un particolare individuo sente come moralmente corretto nei confronti della sua professione, la deontologia professionale è in conclusione un codice di condotta, riguardante i diritti, i doveri e le responsabilità…ecc.

Da jobiri.com:

“La differenza principale tra etica personale e etica professionale risiede proprio nel contesto di applicazione. Mentre l’etica personale si riferisce ai valori e ai principi che una persona segue nella sua vita quotidiana, l’etica professionale si concentra sulle aspettative etiche specifiche legate al mondo del lavoro”.

Mi fermo qui con le definizioni.

Ciò che mi interessa sviluppare con voi sono gli effetti che il venir meno a questi valori possono produrre nella nostra società sia in senso lato che individualmente.

APPLICAZIONI

Oggi come oggi viviamo in una società sempre più complessa, più articolata, colma di continui cambiamenti in ogni ambito e settore merceologico, burocratico-amministrativo, commerciale, delle comunicazioni, ecc. ma una cosa non cambia mai: l’essere umano, oggetto e soggetto di relazione con il prossimo.

Il punto è questo: l’uomo è “oggetto” o “soggetto” di questa relazione tra individui? Perché spesso, analizzando i rapporti che si instaurano tra le persone e tra queste e i vari attori della nostra società, sorge qualche perplessità quando ci si accorge della strumentalizzazione da parte di alcuni soggetti verso quelli che vengono considerati “oggetti” e come tali “utilizzati”.

Mi spiego meglio.

Penso che ognuno di noi si sia trovato nella condizione di doversi avvalere di qualche servizio pubblico, entrando in un ufficio amministrativo del proprio comune di residenza o di rivolgersi ad un ente a carattere nazionale, vuoi di persona, vuoi telematicamente.

Non vi è mai parso di essere trattati non proprio e non sempre con i “guanti gialli”? Non sempre come cittadini e quindi possessori di diritti? Val forse la pena sottolineare che quell’impiegato della Pubblica Amministrazione è, in qualche modo, un “nostro dipendente”. In che senso? Nel senso, cioè, che con i nostri contributi, trattenute, tasse e compagnia bella lo paghiamo per svolgere un servizio pubblico e al pubblico, appunto.

Spesso, invece, ci troviamo in una condizione di essere trattati con un senso di insofferenza a fronte di una richiesta, magari ripetuta perché la risposta ricevuta in burocratese non ci è risultata chiara, e, questo chiarimento, quasi dato con sufficienza come per una cortesia concessa in ragione non di un dovere, ma di un piacere… per il buon cuore dell’impiegato dietro lo sportello!

Immaginiamo, poi, se chi veste una divisa, invece di mettersi al servizio del cittadino, per tutelarlo, difenderlo, rendergli giustizia in una lite giudiziaria, assumesse un tono arrogante facendosi forza del ruolo rivestito vessando quel cittadino che a lui si era rivolto.

Pensiamo ancora ad un medico, un infermiere che invece di assistere, prendersi cura di un malato in un pronto soccorso o in un reparto ospedaliero o di una RSA, se ne fregasse beatamente trattando con superficialità chi si trovasse nell’urgenza sanitaria, se non addirittura nell’emergenza, di essere visitato e curato.

Sin qui riferendomi al Pubblico funzionario nelle sue diverse forme e ruoli in senso lato, senza voler mettere all’indice una categoria piuttosto che un’altra, ma semplicemente per riportare esempi di ambiti più comuni dove chi prima, chi poi, si trova o si è trovato a doversi confrontare, senza nulla togliere a chi invece svolge la propria mansione in modo “deontologicamente” corretto.

Ed eccoci al tema. Avete letto le definizioni all’inizio di questo blog?

Bene. È chiaro che il rapporto tra chi svolge una professione in scienza e coscienza (eticità) rispettando le regole imposte dalla professione stessa (deontologia) e chi con quel professionista si trova a confrontarsi cambia radicalmente in ragione a quel moto interiore col quale i due soggetti entrano in relazione tra loro.

Detto in altri termini: se tra le due persone si applica quel comportamento deontologico e professionale nel rispetto sia di un’etica personale che professionale, va da sé che il livello di soddisfazione reciproca sarà massimo. Perché reciproco? Perché anche chi si rivolge al professionista della situazione deve assumere un comportamento etico nei suoi confronti, cioè di rispetto per il ruolo e la figura che riveste nell’espletamento della sua funzione, pubblica o privata che sia.

Anche tra i privati possiamo trovare comportamenti che potrebbero essere difformi da queste condizioni. Pensiamo ad un avvocato disonesto che invece di consigliare il proprio cliente sull’opportunità o meno di procedere ad una causa, lo invitasse a farlo solo per spillargli soldi ben consapevole dell’esito sfavorevole che potrebbe avere. O ad un libero professionista della compravendita (un agente immobiliare, ad es.) che turlupinasse la buona fede e la impreparazione di una giovane coppia che a lui si affida per l’acquisto della loro prima casa, truffandola.

Pensiamo ancora al mondo editoriale e a tutte le figure ivi comprese: dall’autore emergente che desidera pubblicare il suo primo libro e la serie di professionisti, o presunti tali, con i quali si trova ad avere contatto. Dal Correttore di bozze (per un primo esame ed una revisione morfosintattica del manoscritto) all’Editor (per un editing di qualità dell’opera presentata), dal Consulente editoriale (che dovrebbe proporre il tuo libro rivisto e corretto alle varie Case Editrici) alle Case Editrici stesse, ecc.

Immaginiamo cosa accadrebbe (e purtroppo accade…) se queste figure professionali si approfittassero dell’inesperienza dell’entusiasta “scrittore in erba” – che non conosce i meccanismi che sottendono questo mercato – illudendolo di essere il “nuovo astro nascente del firmamento letterario” e facendosi pagare fior di quattrini per la pubblicazione della sua opera letteraria “da premio Bancarella” e “garantendogli” vendite da migliaia di copie…

Un ultimo esempio, ma non certamente meno importante, potrebbe essere quello dell’agire poco “onorevole” dei nostri signori politici dai comportamenti veramente poco etici sia moralmente che materialmente.

Pensiamo anche agli artigiani (idraulici, elettricisti, falegnami, muratori, meccanici, ecc.) che nello stato di necessità ed emergenza di una persona, di una famiglia, se ne approfittassero vista anche la sempre minor presenza e disponibilità di questi professionisti.

E potrei continuare con altri esempi (scuola, mezzi pubblici di trasporto, giornalisti, mondo dello spettacolo ed anche in ambito ecclesiastico) che pure la mia personale esperienza mi ha portato a maturare circa questo tema che stiamo affrontando, non con l’illusione di poterne dirimere e risolvere positivamente le varie realtà accennate, ma con l’intento di far riflettere come questi atteggiamenti possano modificare, in bene o in male, non solo il singolo soggetto, che ne è diventato “oggetto”, ma la società intera nella quale viviamo.

Esagero?

Può darsi, ma proviamo a riflettere un attimo su come un atteggiamento onesto – che risponda a quelle regole che ogni professione, ogni istituzione, pubblica o privata, dovrebbe darsi ma soprattutto rispettare e far rispettare ai propri dirigenti, dipendenti, collaboratori, liberi professionisti, ecc. – potrebbe cambiare in positivo la realtà e la qualità di vita delle e tra le persone.

Questo perché ognuno di noi può essere sia latore di un servizio, di una prestazione nel proprio ambito lavorativo ma, a nostra volta, nella condizione di aver necessità e di usufruire di un servizio per sé stessi.

Il problema sorge quando ognuno cerca di sfruttare la propria posizione per trarre tutti i vantaggi possibili e immaginabili senza, però, doversi sobbarcare gli oneri e i doveri derivanti dal proprio ruolo. Passatemi l’espressione, è come volersi mangiare la polpa della coscia di pollo e far rosicchiare agli altri l’osso…

E a proposito di rispetto, consentitemi una parentesi. Se questo atteggiamento venisse praticato nella relazione tra le persone, dal contesto familiare all’ambito lavorativo (pensiamo a quante violenze e soprusi, in entrambe le realtà, si verificano quotidianamente!) forse non si otterrebbe spontaneamente quel connubio tra etica e deontologia? Permettetemi, per chi vorrà leggere la biografia autentica di una donna che ha vissuto sulla propria pelle proprio la mancanza di quel rispetto, di suggerirvi l’opera letteraria da me redatta dal titolo “Rispetto e Disprezzo” pubblicata su Amazon.

RIFLESSIONI

Ho lavorato per più di quarant’anni in diverse aziende – a chi fosse interessato a conoscere la mia biografia professionale, ho pubblicato il libro “STORIA DI UN UOMO” che parla anche di questi aspetti oltre a suggerimenti pratici per giovani alla ricerca del primo impiego – e di “codici etici” aziendali ne ho letti più di uno. Una considerazione: se quei principi fossero stati applicati al 50% di quello che dichiaravano, l’Italia sarebbe lo Stato più etico al mondo! Lasciamo perdere…

Se, invece, quei principi di correttezza venissero applicati dagli attori in gioco – tutti noi nei diversi ruoli e momenti della vita – ne avremmo convenienza e vivremmo la quotidianità con maggiore serenità e benessere.

Ma allora cosa dobbiamo rispondere alla domanda in testa?

Credo che non esista una risposta univoca, in un senso o nell’altro, perché si possono trovare realtà differenti, in ogni ordine e grado del contesto sociale produttivo, ma è auspicabile che i valori umani, in primis, e professionali di conseguenza, siano improntati al rispetto della persona.

Abbiamo parlato in chiave negativa dei vari professionisti in ambito pubblico, dal dipendente di un ufficio amministrativo, ai sanitari, ai politici, ecc., ma dobbiamo anche riconoscere come, molti di loro, appellandosi a quell’etica personale, in condizioni che talvolta vanno contro disposizioni impartite e/o interessi di parte, agiscano rispettando quell’etica professionale che quando si manifesta apre il cuore a chi ne è “fortunato” fruitore… che ringrazia.

Penso ad un avvocato d’ufficio che nonostante non venga di certo retribuito come un avvocato di parte, prende in mano la causa a lui affidata e lotta per l’assoluzione del suo cliente…

Credo in quell’insegnante che, pur lavorando in una realtà disagiata dove la violenza in classe si percepisce e materializza con aggressioni fisiche, nonostante tutto, continua a svolgere il suo compito per il bene e l’istruzione di quei giovani studenti vittime, a loro volta, di qualche bullo…

Penso a quei ginecologi e all’obiezione di coscienza (1): proprio quella coscienza che impedisce di procedere in un senso contrario alle proprie convinzioni etiche rifiutandosi di praticare un intervento di interruzione delle nascite, quando non dovuto a motivi terapeutici.

Credo in quei missionari che a rischio e a costo della propria vita, per la coerenza con i propri valori morali, per quel codice etico e spirituale inscritto nel proprio cuore, affrontano pericoli quotidiani in aree di guerra, tra popolazioni ridotte alla fame o in zone endemiche.

Credo in quegli idraulici che, alla persona anziana e poco competente, sostituiscono una guarnizione del rubinetto che perde e non l’intero gruppo del lavabo…

E anche qui, al positivo, potrei continuare in nome di quelle regole morali che guidano in primis l’essere umano e poi il professionista deontologicamente onesto anche se, quando c’è coerenza tra le due “figure”, è difficile operare una dicotomia.

CONCLUSIONE

Semanticamente potremmo continuare a discutere e distinguere sui termini introdotti in questo blog e procedere in tal senso ancora oltre, ma il fine dichiarato era quello di analizzare l’impatto che l’inosservanza a queste regole può avere sul consesso sociale.

Non so se sia riuscito nell’intento, ma mi auguro di esser riuscito almeno a far riflettere coloro i quali, ogni giorno, si trovano da un lato o dall’altro dell’ipotetico sportello, nella condizione di elargire un servizio, materiale, psicologico, spirituale e/o di chiederlo, nella speranza che il senso morale e la propria coscienza, alla fine di quella giornata, non abbiano a rimproverarli…

Con affetto, vostro Antonio.

(1) L’obiezione di coscienza è rifiuto di ottemperare a un dovere imposto dall’ordinamento giuridico nel caso in cui si ritengano gli effetti che deriverebbero dall’ottemperanza contrari alle proprie convinzioni etiche, morali o religiose.

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