Antonio Palmiero

“PERCHÉ CHIUNQUE SI ESALTA SARÀ UMILIATO, E CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO” (Lc 14,11)

Perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato_AntonioPalmiero

PREMESSA

Non è una omelia. Chi mi conosce e mi segue da tempo nei periodici invii che propongo due volte al mese – normalmente a metà e fine – e che pubblico su questa pagina del mio sito, sa che spesso prendo spunto da una frase evangelica per calarla nella nostra realtà quotidiana di laici credenti (o meno) per attualizzarla essendo anch’io un laico (credente, con mille difetti…). Rassicurati su questo, procedo: “Chi mi ama, mi segua” (da uno slogan pubblicitario per i jeans Jesus, lanciato nel 1973, campagna pubblicitaria curata da Oliviero Toscani ed Emanuele Pirella, per la cronaca). 

ANALISI

La frase che titola questo Blog è tratta dal Vangelo di Luca ed è riferita alla parabola (Lc 14, 7-11) in cui Gesù osservava come gli invitati alle nozze sceglievano i primi posti, e stessa frase ribadita nella famosa parabola (Lc 18, 9-14) del fariseo e del pubblicano che salirono al tempio a pregare e lo fecero in modo chiaramente differente l’uno dall’altro.

Ma procediamo con ordine. Riporto per facilità di lettura i due brani evangelici per poi commentarli assieme.

Partiamo dal primo con la parabola descritta dall’evangelista Luca in Lc 14, 7-11:

7 Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: 8 «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11 Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato»”.

APPLICAZIONE

Quale insegnamento pratico! E poi si dice che la Parola del Vangelo non sia attuale o solo relegata a quei tempi…

Ditemi: non vale forse anche oggi? Fatto salvo un comportamento ineducato, che comunque non farà altro che rimarcare quel modo di agire facendo rimediare una magra figura, non è buona regola di vita mettere in pratica quel suggerimento della parabola?

Il tutto potrebbe ridursi ad una regola di buon “galateo” (questo “obsoleto” codice comportamentale…) da applicare nella circostanza, ma è chiaro che l’insegnamento di Gesù va ben oltre un atteggiamento formale. Il Signore vuole richiamarci alla sostanza delle cose di cui, comunque, anche la forma assume la propria rilevanza. Si dice, infatti, che spesso la forma assuma carattere di sostanza e che, a volte, la forma sia più importante della sostanza stessa.

Senza voler entrare nella diatriba circa la maggiore importanza dell’una rispetto all’altra, vorrei richiamare l’attenzione su ciò che, nella parabola, abbia spinto l’invitato sprovveduto ad occupare il primo posto. Non si tratta, ripeto, solo di un fatto di buona educazione, quanto la presunzione di sentirsi il più importante degli invitati per andare a posizionarsi in quel posto da primato.

L’atteggiamento orgoglioso che spinge molti di noi a sentirsi superiori agli altri è alla base di tante conseguenze relazionali nella nostra società e, più estesamente, nel mondo al punto di generare conflitti tra le persone, negli ambienti di lavoro, nelle relazioni professionali e politiche, sino ad arrivare a veri o propri scontri fisici per dimostrare detto diritto al “primato”, anche tra paesi e nazioni con i relativi conflitti di natura commerciale nonché militare!

E mi sembra che gli effetti li stiamo vedendo ai nostri giorni: posizioni di presunta supremazia (magari concessa per volere “divino”…) e desiderio di convertire il mondo alla propria fede, alla propria religione per incarico “divino”, ripeto, stanno portando il mondo ad una terza guerra mondiale, magari con un pizzico di bombe atomiche “tattiche” (che in termini di potenza distruttiva, equivarrebbero a quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki… si veda l’articolo “Operazione Speciale, come confondere Liberazione con Invasione”).

Vorrei aggiungere che qui, più che parlare di umiltà, si possa affermare senza tema di smentita, che ci troviamo di fronte alla esaltazione ma di menti malate… di megalomani che in nome del potere, da una parte, e del dio denaro dall’altra, sono disposti a far esplodere il mondo (come se loro vivessero su Marte…)!

L’insegnamento evangelico, dunque, non è solo uno slogan fine a sé stesso, ma la traduzione concreta di come un certo modo di porsi nasconda realtà interiori che si manifestano poi in quegli atteggiamenti di esibizionistica dimostrazione di una superiorità narcisistica. Con gli effetti talvolta devastanti per tutti gli altri…

Il secondo brano evangelico, nella parabola raccontata sempre da Luca in Lc 18, 9-14, così recita:

9Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti,adulteri, e nemmeno come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

In questa parabola, l’insegnamento che ci viene dato, pur avendo la stessa conclusione, ci porta a toccare e riflettere su un altro aspetto, più intimo dell’essere umano, con un taglio introspettivo: quell’autoreferenzialità con cui ci si sente a posto con la propria coscienza per aver fatto i “compitini” del bravo credente.

Qui si dice:

  • “…Digiuno due volte la settimana…”
  • “… e pago le decime di quanto possiedo.

e prima: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini…” perché loro sono:

  • “… ladri…”
  • “… ingiusti…”
  • “… adùlteri…”

e, ciliegina sulla torta, conclude dicendo che lui non è:

  • “…neppure come questo pubblicano.

“Bravo! 7+” come da battuta comica di Cochi e Renato degli anni’70… solo che qui non fa ridere. Fa, piuttosto, piangere come l’essere umano si confronti con il suo Creatore con la prosopopea di colui che vanta dei meriti (“…Digiuno due volte la settimana…”, “… e pago le decime di quanto possiedo.”), che si pone nella condizione della supponente convinzione di essere perfetto, di quello che fa la spunta morale e si promuove, del tipo: “questo… fatto! quest’altro… fatto! ecc.” praticamente l’elenco della “spesa” con i flags accanto ad ogni voce/merito acquisito/spuntato.

Che presunzione stucchevole! Quale superbia, quale alterigia caratterizzano quelle persone piene di sé, tronfie del proprio status, con gli occhi ricurvi su sé stessi ad incensarsi e lodarsi! Come se il Signore gradisse questa ostentazione di sé, come se volessimo dimostrargli la nostra bravura nel fare, la filosofia dell’agire per assolvere alla Legge in modo da essere tranquilli con la propria coscienza: peccato che per guardare quanto si è bravi, ci dimentichiamo, non vediamo e calpestiamo gli altri! E non credo che il Signore apprezzi questo…

Un proverbio dice: “Chi si loda si imbroda”, ma qui andiamo oltre e forse un altro proverbio popolare, nelle differenti versioni, ma di identico significato, recita così: “La superbia andò alla festa in carrozza, ma tornò a piedi” che rende ancor meglio il concetto.

Quanti boriosi personaggi – anche per una nostra personale eperienza, sul lavoro, nella vita – abbiamo conosciuto che se la “tiravano” perché si sentivano superiori ad altri essendo in una condizione economica più agiata o per incarichi di maggiore visibilità pubblica o in ambito sportivo o artistico, ecc. che nel momento della loro maggior gloria si gonfiavano come palloni e non guardavano in faccia a nessuno per poi “scoppiare” e svanire nel nulla nel momento del tramonto della loro notorietà?

E quante persone, invece, nella loro umiltà, senza vantarsi delle proprie competenze, hanno fatto e fanno girare il mondo del lavoro, spesso senza i dovuti riconoscimenti, né morali né materiali, ma che nel momento in cui vengono a mancare in quella struttura lavorativa, si blocca il sistema e se ne sente l’assenza? Allora i palloni gonfiati svaniscono e quelle persone umili vengono apprezzate e se ne comprende l’effettivo valore (magari poi non gratificato, ma anche questa è un’altra storia…)!

Pensiamo solo a chi presta soccorso in un momento di catastrofe climatica, un alluvione, un terremoto – mentre scrivo se ne è appena verificato uno devastante di magnitudo 7,7 della scala Richter in Myanmar (ex-Birmania) e in Thailandia – o in un incendio: persone non note e non sotto i riflettori, ma che senza il loro umile ma fondamentale lavoro le persone rimarrebbero sepolte sotto le macerie. E non si vantano di aver salvato delle vite umane! Parliamo di Vigili del Fuoco, Agenti di Polizia, Personale della Protezione Civile e tante altre persone, volontari, sconosciuti, appunto.

Ma nel brano evangelico la gravità del “pavoneggiarsi” (non è certo questo l’elemento fondante nella preghiera!) da parte del fariseo è quella di porsi davanti al Creatore con la convinzione di essere giustificato per aver fatto il proprio “dovere”, spiattellandolo ai quattro venti, sentendosi al centro dell’attenzione gratificante della gente, non solo limitandosi a questo, bensì sciorinando – in termini di confronto con gli altri – la sua “virtù” di non commettere quei peccati che gli altri commettono dimenticando che, forse, chi li commette si può essere trovato nella condizione di doverli compiere, fermo restando che se peccati sono, tali rimangono.

Cosa intendo dire? Proviamo a portare qualche esempio pratico che non vuole giustificare il peccato in sé, ripeto, ma chi si trova, per necessità, a commetterlo, vedi qualche povero disgraziato che dovendo sfamare sé stesso e la propria famiglia, ma non avendone i mezzi – ad esempio per mancanza di lavoro – si trova nella necessità di dover rubare rispetto al nostro caro ed integerrimo “fariseo”, magari figlio di papà… O l’adultero che sposandosi con la persona “sbagliata” (ma si scopre a posteriori…) si trova ad essere privato di quell’amore che, mendicante, cerca altrove, a compensazione di quella carenza affettiva (qui vi invito a leggere il mio libro “Perché si tradisce? Chi potrà affermare “Io non lo farò mai”?).

E si potrebbe continuare…

Ma non contento, il fariseo, scocca la frecciata finale nel denigrare l’altro in termini comparativi: “(non sono) …neppure come questo pubblicano”. Direi che non manca nulla alla condanna finale del pubblicano, secondo il fariseo, ma alla sua, secondo Dio Padre…

Un particolare: rammento che la superbia e relativo orgoglio (le due facce della stessa medaglia) giocarono un brutto scherzo ad un certo Lucifero che si esaltò – nota bene: non fu “esaltato”… – e cadde, non dalla citata “carrozza”, ma dal Paradiso trasformandosi in quel Satana rabbioso, invidioso e criminale, ma sconfitto!

Vorrei fare una precisazione sul termine “esaltare”/”esaltato” per liberare il campo da definizioni che l’uso nel tempo ha spesso modificato o, meglio, perso nel suo valore originale.

Dalla Treccani online::

eṡaltare (ant. essaltare) v. tr. [dal lat. exaltare «innalzare», der. di altus «alto»]. – Sollevare in alto;  innalzare a una suprema dignità; nobilitare, onorare, glorificare.

ma anche in senso negativo:

vantarsi, gloriarsi; collocarsi in alto nella scala degli onori; andar superbo.

Nel nostro gergo più popolare, dire ad uno di non “esaltarsi” o di essere un “esaltato”, si intende dire rispettivamente di non “gasarsi” o essere “gasato” e questo termine è molto evocativo dei “palloni gonfiati” su richiamati…

Riporto una frase di Erasmo da Rotterdam che mi è capitata “per caso” mentre stavo per concludere questa riflessione che, in un certo senso anche se non attinente proprio al cento per cento, laicamente, esprime in sintesi quanto ho cercato di presentare ed analizzare in queste righe e che, comunque, dall’orgoglio/superbia prende spunto e origine. Ascoltate:

“Meno talento hanno, più orgoglio, vanità e arroganza mostrano. Ma la stoltezza non cammina mai da sola: trova sempre altri stolti disposti ad applaudirla. Perché in questo mondo, molti preferiscono il rumore della vuota adulazione al peso scomodo della verità”.

P.S.: non so a voi, ma a me la frase di Erasmo da Rotterdam richiama una “marea” di politici e non solo… Scusate, ma anch’io a volte pecco nel “giudicare”.

CONCLUSIONE

Spero di essere riuscito ad evidenziare un argomento, un tema che potrebbe apparirci sin retorico, da “omelia domenicale”, ma che, invece, ha un risvolto pratico incarnato nella nostra quotidianità in misura molto maggiore rispetto a quello che saremmo disposti ad ammettere.

Pensiamo solo alla sua applicazione. Per fare un esempio semplice, ma non per questo banale, pensiamo a quando ammettiamo di aver commesso un errore sul lavoro o, a scuola, un sincero ed umile “ho sbagliato” oppure durante una interrogazione, un esame universitario, ammettiamo il nostro limite con un “non so, non ricordo questa nozione”: quale potrebbero essere le rispettive reazioni?

Chi si umilia dimostra anche l’intelligenza di ammettere di non essere infallibile ma un essere umano (non si dice forse che “sbagliare è umano?” – poi si aggiunge che perseverare sia diabolico, ma è un altro discorso) e il nostro errore viene accolto con maggiore comprensione, e quel docente di fronte all’ammissione del discente ne apprezza la sincerità e riconosce l’onestà e umiltà intellettuale predisponendolo ad una maggiore magnanimità. Sbaglio?

E questo è il pubblicano, siamo noi quando riconosciamo i nostri limiti, i nostri errori e con estrema umiltà chiediamo perdono a Colui che ci ha dato dei doni, dei talenti che non abbiamo saputo utilizzare e far fruttificare come avremmo dovuto. L’importante è, ripeto, ammetterlo, pentirsene e chiedere la Sua misericordia. Il resto è “presunzione di innocenza”…

Con affetto, Vostro Antonio.

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