Antonio Palmiero

La Politica: una riflessione neutrale

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Definizione di Politica

Dal dizionario on-line della Treccani, così leggo:

“Politica: attività pratica relativa all’organizzazione e amministrazione della vita pubblica; arte del governo. Dai diversi ambiti nei quali la vita pubblica si sviluppa derivano le specifiche determinazioni che la p. acquista (internazionale, economica, finanziaria, ecc.)”.

E da un Dizionario di Storia (2011), la seguente definizione:

“Il termine politica deriva dall’aggettivo greco politikòs, a sua volta derivato da polis, città. Nel pensiero greco la riflessione politica incomincia come riflessione sulla giustizia, di origine divina e governante non solo la società ma il cosmo. Troviamo questa nozione già nei poeti (Omero, Esiodo)…”

E ancora, dall’Enciclopedia dei ragazzi (2006), il termine “politica” viene così definito:

“L’aspetto più importante della vita pubblica. Il termine politica deriva dalla parola greca pòlis («città-Stato») e indica l’insieme delle attività che hanno a che fare con la vita pubblica: il potere di alcuni uomini su altri uomini, il governo, i rapporti fra governanti e governati, la condizione dei sudditi o dei cittadini, l’organizzazione dello Stato, le lotte dei partiti, le relazioni e i conflitti tra gli Stati. L’analisi della politica è propria della dottrina dello Stato, della scienza politica e della filosofia politica”

Mi fermo qui.

Politica, il governo della vita pubblica

Molte ed interessanti ulteriori definizioni coronano questo termine che, aldilà di tutte le diciture, ne ha in sé una, la quale, a mio avviso, tutte le racchiude e riassume: “Arte del governo… L’aspetto più importante della vita pubblica” come gestione laicamente intesa, ma al tempo stesso rispettosa anche delle convinzioni religiose che caratterizzano il sentire di quel consesso civile costituito dal popolo.

La trattazione di questo tema, la politica, è amplissimo ma non è, sinceramente, mia intenzione addentrarmi in una analisi storica e filosofica di questo concetto. Quanto piuttosto esprimere la personale opinione che mi sono formato nel tempo, sin da giovane, attorno a questo aspetto fondamentale del vivere civile.

Destra e sinistra, la mia visione della politica

L’argomento è di natura “scivolosa”, cioè è facile esporsi a critiche e al rischio di facili quanto superficiali etichettature, quella più classica di essere classificato di “destra” o di “sinistra”, nel rispetto di una suddivisione dell’emiciclo parlamentare che la tradizione storica voleva identificare in queste due “estremità”: a destra i “fascisti” e a sinistra i “comunisti”.

Oggi questa distinzione non ha più alcun senso considerando le metamorfosi più “partitiche” (spesso) che realmente politiche avvenute negli ultimi decenni. Relativamente alle ideologie del P.C.I. (Partito Comunista Italiano) o dell’M.S.I. – D.N. (Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale) e dei suoi storici Segretari politici, Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, mi sembra siano intervenute tali e tante modificazioni nella attualizzazione concreta di quei valori e ideali politici da far fatica a riconoscerne oggi, 2022, negli attuali Segretari di partito, Enrico Letta (P.D. Partito Democratico) e, penso, Giorgia Meloni (più vicina a quel partito di destra) con Fratelli d’Italia, l’eredità politico-ideologica.

La politica non è “sporca”, ma spesso “sporcata” da chi la utilizza per propri fini.

Tra le altre, il pericolo di confondere “l’ideale politico” con quello “partitico” è assai frequente quanto, talvolta, pericoloso per la strumentalizzazione che i partiti politici possono fare dell’ideale politico, non viceversa…

Oggi come oggi, parlare di destra e sinistra o centro-destra e centro-sinistra, dopo la scomparsa dei principali partiti di un tempo che occupavano in modo classico l’emiciclo del Parlamento con al centro la Democrazia Cristiana di Aldo Moro e un P.C.I. di Enrico Berlinguer, come già ricordato, a sinistra, un M.S.I. – D.N. a destra con Giorgio Almirante, oltre a un P.S.I. (Partito Socialista Italiano, dell’allora Bettino Craxi) che diventava l’ago della bilancia tra D.C. e P.C.I. ( “governando”, di fatto, con una percentuale media oscillante intorno al 15%…), non ha più senso se facciamo un confronto con l’attuale P.D. (Partito Democratico) a cui si è giunti passando attraverso l’Ulivo di Prodi, suo fondatore, ecc. e ad una Forza Italia di Silvio Berlusconi in cui confluì Alleanza Nazionale (di Gianfranco Fini) e l’U.d.C. (Unione di Centro con Pierferdinando Casini dove, a mio avviso, confluirono molti ex- D.C.) e, oggi, una Lega di Matteo Salvini, eredità ed evoluzione della precedente Lega Lombarda di Umberto Bossi.

Politica di oggi e disorientamento

È facile comprendere quale “disorientamento” generino questi cambiamenti, fusioni, divisioni e nuove “alligazioni”, più che alleanze, sempre pronte a sciogliersi per poi ricombinarsi… per l’occasione.

Capisco, inoltre, che chi non ha vissuto quello spaccato di storia, senta come fatti estranei il semplice citare partiti politici che non ha mai conosciuto

Ma la riflessione che ho introdotto ricordando questi aspetti connessi con la politica del tempo, sono il pretesto per affermare due concetti: 

  1. il primo, è che la politica è un pensiero che nasce da una ideologia, cioè da convinzioni su come dovrebbe essere impostata l’organizzazione di uno Stato, una comunità in senso lato; 
  2. il secondo, è che senza la formazione di partiti politici, cioè delle organizzazioni che raggruppano e rappresentano i diversi interessi e modi di pensare delle persone facenti parte di quel consesso sociale, la politica rimane un qualcosa di teorico e demagogico

Tradotto in modo ancor più semplice: la politica è la teoria, i partiti politici sono la pratica, o meglio, la messa in pratica…

Che poi tra il dire e il fare ci passi di mezzo il “mare” è un altro aspetto che viviamo da sempre e che tra le buone intenzioni scritte sulla carta o urlate in piazza (soprattutto nella fase pre-elettorale…) e la loro attuazione concreta ci siano spesso distanze astronomiche, è un altro dato di fatto.

Ed è qui che desidero portarvi a riflettere. 

La politica di un tempo

Quando ero ragazzo, negli anni settanta, c’era un grosso fermento politico tra i miei coetanei, spesso strumentalizzati e manovrati da chi aveva interesse a canalizzare il loro fervore, a volte adolescenziale, a fini elettorali o come grimaldelli per scardinare lo status quo allora esistente, cioè i partiti al governo di allora, con quella voglia di cambiamento che incendiò letteralmente le piazze. 

Dal Movimento Studentesco alle Brigate Rosse, dall’istituzione della Legge Reale al rischio di cadere in un regime militare per far fronte ad una situazione di terrorismo dilagante, il passo sarebbe potuto essere breve ed oggi ci saremmo potuti trovare in una di quelle “Repubbliche Democratiche” stile africano… dove si scriveva “democrazia” ma si leggeva “totalitarismo”. 

Ma tornando a noi, quello che desidero evidenziare è lo scollamento tra la definizione sintetica con la quale ho estratto e riassunto il concetto di “politica” e cioè: “Arte del governo… L’aspetto più importante della vita pubblica” e la pratica quotidiana di chi ci governa. 

Non voglio cadere nel trabocchetto di criticare questo governo o quell’altro, di “destra” o di “sinistra”, quanto piuttosto far riflettere su come in Italia si sia governato in modo disastroso!

Potremmo essere la nazione più ricca al mondo sia in termini economici che culturali, in particolare sotto il profilo storico-artistico, di inestimabile valore, nonché sotto quello turistico, di un paese meraviglioso, il più bello al mondo con tutte le sue bellezze naturalistiche, paesaggistiche concentrate su una superficie assai limitata rispetto a tanti altri Paesi. 

Una orografia variegata, con laghi, fiumi, mari, montagne, colline, pianure e con una biodiversità anche in termini enogastronomici da essere invidiata e “copiata” in tutti i settori alimentari (vedi le imitazioni, spesso fraudolente, dei nostri marchi alimentari…) dove il livello qualitativo del vivere potrebbe essere, se già non lo è, al top e, invece, ci troviamo ad essere sempre il fanalino di coda in tanti settori nonostante i “cervelli” che nei diversi campi scientifici sono una élite a livello mondiale, ma che fuggono dall’Italia, ingrata e irriconoscente verso di loro, per poi fare appelli affinché rientrino in patria…

Patetico! 


Leggi i miei libri!

Li trovi su questa pagina dedicata


La politica, qual è il problema? 

È che siamo mal gestiti, in un paese dove la politica viene tradotta come luogo del potere, mezzo per arrivare ad arricchirsi illecitamente tra connivenze e compromessi non sempre leciti, appunto.

E questo tipo di definizione difficilmente la troverete sui dizionari… 

È vero che la politica è anche l’arte del compromesso, ma dove per tale si deve intendere il meglio possibile, non il “meno peggio”!

Come viene fatta politica oggi

Personaggi di ogni fattispecie, dal passato non proprio trasparente (quanti ministri e amministratori pubblici sono andati a processo e hanno subito condanne!) di frequente si vedono a capo di questo o di quel dicastero, titolari di poltrone con incarichi importanti e strategici per il nostro Paese e incapaci, quando non collusi, di svolgere il proprio incarico nell’interesse e per il bene comune. 

La politica quale arte della pianificazione, della programmazione, della gestione, dell’interesse e del bene comune si traduce in un utilizzo del potere concessole per meri interessi particolaristici di corruzioni e corruttele… 

L’arte trasformata in arte di… guerra, distruttiva degli interessi positivi per diventare una lotta di potere da gestire per interessi economici propri, di favoritismi, di illegalità (leggi “mafie” in tutte le sue forme e aggregazioni): la mafia non potrebbe esistere se non fosse collusa con apparati deviati e poteri occulti dello Stato. 

Ohps, forse sono andato un po’ oltre… ma quando penso a tante scellerataggini realizzate o, meglio, irrealizzate o “completate a metà”, cioè opere pubbliche iniziate con un alto impatto ambientale oltre che economico e sociale e mai concluse (fate un giro su Internet e poi mi direte…) mi viene l’itterizia! 

Esagero? Ditemi voi…

Qui di seguito riporto un estratto dell’articolo a cura di Sacha Biazzo e Carla Falzone che fa sintesi di questa vergognosa realtà:

“In Italia, secondo i dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono 647 le opere pubbliche iniziate, finanziate e mai concluse in tempo per ritardi nei lavori o per non aver superato i collaudi. Secondo uno studio del Codacons, le lungaggini e le modifiche in corso d’opera sono costate circa 4 miliardi di euro pari a 166 euro per ogni famiglia italiana. A oggi, per portare a termine queste infrastrutture servirebbero 1,4 miliardi di euro”.

E prosegue:

“Le opere della vergogna sono autostrade che non portano da nessuna parte, ferrovie senza binari, dighe inutilizzate e lasciate in stato di abbandono…”:

  • “La Sicilia detiene il triste record di infrastrutture incompiute: sono ben 162, la maggior parte non ha raggiunto neanche il 50% del completamento…”
  • “In Calabria troviamo la diga di Gimigliano, un’opera faraonica, la diga più grande d’Europa: dal 1982, anno del primo finanziamento a oggi, nonostante i 47 milioni di euro già spesi, è stata completata soltanto per il 16%.”
  • “In Basilicata troviamo la ferrovia Ferrandina-Matera, iniziata nel 1986 con uno stanziamento da 350 miliardi di vecchie lire. Le ultime stime parlano di un completamento lavori nel 2022, con solo tre anni di ritardo rispetto all’evento che sta portando nella città 700 mila turisti da tutto il mondo…”
  • “In Abruzzo sono 31 le infrastrutture mai completate, 18 solo a Pescara. Nelle Marche i lavori di costruzione di un tratto della pedemontana (il tratto stradale n. 76) sono fermi all’1,27% del totale, ma sono costati già 3 milioni di euro…”
  • “È Roma, però, la capitale dello spreco, dove tra le 45 opere incompiute a livello regionale troviamo l’ormai celebre “Città dello sport” a Tor Vergata, nata per ospitare i mondiali di nuoto del 2009 e progettata dall’architetto Santiago Calatrava. Lo stato di avanzamento dei lavori iniziati nel 2005 è fermo al 16%; la struttura, infatti, non ha mai visto la luce, ma è già costata ai contribuenti ben 134 milioni di euro…”
  • “In Sardegna, la superstrada 127 “Settentrionale Sarda”, la principale via di collegamento nel nord dell’isola, nel tratto Tempio-Sassari è ferma allo 0,32%, dopo anni di lavori…”
  • “Spostandoci a nord ovest, in Piemonte, tra le 9 opere mai finite troviamo l’autostrada Asti-Cuneo, in lavorazione da quasi 30 anni tanto da meritarsi il triste soprannome di “Salerno-Reggio Calabria del Nord”, simbolo che i ritardi italiani uniscono nord e sud senza distinzioni…”

…e fermiamoci qui.

Forse mentre sto scrivendo questa riflessione qualche opera è andata avanti o qualcuna è stata portata a termine: avvisatemi…

Quindi la politica va condannata?

Ma allora la classica affermazione “La politica è una cosa sporca” è un assioma o una frase stereotipata?

È vera o forviante?

Credo, anche alla luce di quanto detto sin qui, che la politica sia una “nobile arte” (questa espressione mi ricollega alla britannica definizione della “boxe”: “La boxe, boxing o pugilato, era conosciuta come nobile arte della difesa nel XVIII secolo, poiché così ebbe a chiamarla per primo il leggendario pugile inglese James Figg”) dove i contendenti (i partiti di differente ispirazione ideologica) si scontrano ma non per il gusto di sopprimere l’altro, ma di far prevalere il migliore, cioè colui che sa assestare il miglior colpo apprezzato e condiviso dalla maggioranza (il consenso popolare), quello del K.O. sulla proposta errata dell’altra compagine. 

Fuor di metafora, la lealtà nel governare le sorti di un paese, il rispetto dell’avversario politico/partitico, devono essere alla base di una nazione che vuol definirsi civile.

La politica, per rispondere in modo diretto, non è “sporca”, ma spesso “sporcata” da chi la utilizza per propri fini: questo è quello che penso, ma mi rendo anche conto che se si vogliono cambiare le cose che non vanno, non basta criticarle dall’esterno, ma buttarsi dentro alla mischia, nel modo più preparato possibile, sapendo incassare i colpi bassi ma anche sferrare quello del Knock Out (K.O.) per mettere fuori combattimento le proposte di legge chiaramente e solamente di parte per interessi che tutto hanno all’infuori dell’interesse comune. 

Occorre però fare attenzione a non diventare dei Don Chisciotte contro i mulini a vento (il risultato è noto…) ma anche a non essere avviluppati dal sistema che si vuol cambiare che, come un buco nero, potrebbe annullare le nostre buone intenzioni e fagocitarci al suo interno.

Dall’altro, se non vogliamo essere puri teorici, dobbiamo tenere in considerazione che se entreremo in un “porcile” (la politica “sporca”) con un bel paio di pantaloni e una T-shirt bianchi, difficilmente ne usciremo immacolati… 

Quindi mi sto contraddicendo? 

NO, ma la realtà che domina lo scenario politico è il compromesso: tu mi dai questo e io ti concedo quest’altro… Tu approvi la mia proposta di legge e io sostengo il finanziamento per quella opera pubblica che mi proponi… E via così…

Ricordate il famoso “compromesso storico” tra DC e PCI?

Forse e comprensibilmente i più giovani non lo conoscono o al massimo ne avranno sentito parlare a scuola se mai siano arrivati a studiare sui libri questo momento veramente storico per l’Italia degli anni settanta (ormai cinquant’anni fa…). 

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Foto di Aldo Moro durante il periodo di prigionia con le Brigate Rosse (16 marzo – 9 maggio 1978) | Wikipedia

Da Wikipedia riporto, per esigenze di sintesi, quanto inerente a questo tema. Così recita:

Compromesso storico è il nome con cui si indica in Italia la tendenza al riavvicinamento tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano osservata negli anni settanta. Questa politica in ogni caso non portò mai il Partito Comunista a partecipare al governo in una grande coalizione ai sensi del cosiddetto consociativismo. La scelta di Berlinguer, fondamentalmente legata alla politica di eurocomunismo, era un esempio di politica reale che non riscontrò i favori dell’area di sinistra del suo partito. L’appoggio al compromesso trovò una sponda nell’area di sinistra della DC che aveva come riferimento il presidente del partito Aldo Moro e il segretario Benigno Zaccagnini, ma non ebbe mai l’avallo dall’ala destra della DC, rappresentata da Giulio Andreotti. Lo stesso Andreotti in un’intervista dichiarò: “secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all’atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comunista.” Un compromesso minimo si raggiunse mediante l’appoggio esterno assicurato dal PCI al governo monocolore DC di Solidarietà Nazionale, costituito da Giulio Andreotti nel 1976. L’incontro comunque problematico fra PCI e DC spingerà l’estrema sinistra a boicottare il PCI e porterà i terroristi delle Brigate Rosse a rapire (e in seguito a uccidere) Aldo Moro proprio nel giorno del primo dibattito sulla fiducia al nuovo governo Andreotti IV (16 marzo 1978)”.

Molto altro si potrebbe e dovrebbe dire su questo modo di governare, ma teniamo conto che, di certo, non è facile governare un Paese sia in termini di politica interna che, a complicare il quadro, di politica estera. Difficile, poi, farlo senza doversi sporcare le mani… E qui il richiamo a un altro momento di quella politica “sporcata” dalle mani di chi aveva inteso quest’ultima come una opportunità di arricchimento suo e dei propri “compari”. Di epoca più recente, l’evento che negli anni ’90 (vent’anni dopo il citato “compromesso storico”) sconvolse la politica italiana fu la tristemente nota “tangentopoli” o anche detta “mani pulite”.

Anche qui, mi avvalgo di Wikipedia per sintetizzare un argomento che caratterizzò per circa venticinque anni la storia politica nazionale. Così riporta:

Mani pulite (comunemente nota anche come tangentopoli) è il nome giornalistico dato ad una serie d’inchieste giudiziarie, condotte in Italia nella prima metà degli anni novanta da parte di varie procure giudiziarie, che rivelarono un sistema fraudolento ovvero corrotto che coinvolgeva in maniera collusa la politica e l’imprenditoria italiana. In un’accezione ristretta, «Mani pulite» fa riferimento al fascicolo aperto alla Procura di Milano nel 1991 da Antonio Di Pietro, mentre in un’accezione allargata fa riferimento alle indagini condotte anche da altre procure italiane negli anni novanta, che vertevano appunto sulla collusione fra politica e imprenditoria: si parlò infatti anche di «Mani pulite napoletana» per le indagini contro Francesco De Lorenzo, Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino e di «Mani pulite romana» per le indagini su Giorgio Moschetti, ecc. L’impatto mediatico e il clima di sdegno dell’opinione pubblica che ne seguirono furono tali da decretare il crollo della cosiddetta Prima Repubblica e l’inizio della Seconda Repubblica in quanto partiti storici della Repubblica Italiana come la DC e il PSI si sciolsero venendo sostituiti in Parlamento, nelle successive elezioni, da partiti di nuova formazione o che prima erano sempre stati minoritari e comunque all’opposizione; anche senza un formale cambiamento di regime, si ebbe un profondo mutamento del sistema partitico e un ricambio di parte dei suoi esponenti nazionali

Dunque?

La politica è fatta di uomini

Dunque la politica è fatta dagli uomini e se questi sono “sporchi dentro”, corrotti e senza valori cristiani (intesi in senso lato) di certo non potranno preoccuparsi del bene comune e cercheranno solo i propri interessi economici e di potere.

Se, viceversa, saranno persone dai sani principi morali, pur nei limiti della umana natura, cercheranno di fare il meglio possibile. Poi riuscire ad accontentare tutti sarà impossibile (lo vediamo nelle nostre famiglie, con uno o due figli, come sia difficile riuscire in questo intento…), ma almeno ci sarà stata la buona volontà di farlo, la buona intenzione e relativa buona fede nell’agire.

Da qui l’importanza fondamentale, già richiamata, di eleggere le persone con le giuste caratteristiche morali, oltre che professionali.

Gli italiani vengono definiti un popolo dalla enorme creatività, capaci di adattarsi a mille situazioni e di riuscire ad emergere soprattutto… fuori dalla madre patria! Già ho accennato ai “cervelli” in fuga dal nostro Paese perché qui, per burocrazia e corruzioni varie, non riescono nemmeno a vincere un concorso per “commessi”… in un ente pubblico! Poi vanno all’estero e diventano famosi scienziati, eccellenze nei propri campi di studio con scoperte di impatto economico a livello mondiale, che, successivamente, ci andiamo a riprendere, quando ci riusciamo, a caro prezzo. 

Miopia, mancata lungimiranza?

No, cecità assoluta colpevole dell’arroganza del potere che mira, in mano alle persone sbagliate, a diventare tirannia, magari non “militare”, ma pur sempre di natura oligarchica. Quando la forbice tra chi sta sempre meglio e chi sempre peggio, si allarga, significa che qualcosa non funziona. 

Un sempre valido proverbio recita così: “Il pesce puzza dalla testa”! O sbaglio?

In una azienda le decisioni vengono prese dal vertice, dal C.d.A. dall’A.D., ecc. La manovalanza, a scendere in senso gerarchico, cerca di mettere in pratica le direttive ricevute. Ma se queste direttive sono sbagliate o semplicemente teoriche, inapplicabili sul mercato, quella azienda è destinata a fallire. 

Le colpe, però, vengono riversate sulla forza lavoro che non è stata in grado di attuarle… Normale, no? Guardiamo a come la politica malata riesca a riciclare A.D. (Amministratori Delegati) o Direttori Generali, Manager, che dopo fallimentari gestioni delle varie aziende pubbliche o a partecipazione statale, a loro affidate e da loro dipendenti, invece di licenziarli con ignominia e senza dar loro un soldo, vengono riposizionati su altre blasonate poltrone di altrettante aziende più o meno in crisi, col compito di risanarle e rilanciarle. Risultato? Passano da fallimenti in fallimenti con liquidazioni, a fine mandato, da mille e una notte! 

E sono soldi pubblici, cioè soldi che l’italiano medio, l’operaio, ha pagato di tasca propria ai quali, se fosse stato chiesto loro come avrebbero potuto risolvere i problemi della propria azienda in crisi, di certo, non avrebbero fatto peggio di quei Manager con la differenza, però, che loro, i dipendenti, sarebbero costati qualche mille euro al mese, non i milioni di buona uscita dei famosi A.D.! 

Questa è la politica come la intendono i politici che eleggiamo (ultimamente, nemmeno più… ma ora abbiamo una possibilità) e che praticano l’arte della demagogia, riempiendo di parole e di promesse gli spazi dei mass media. La politica dell’annuncio a cui assistiamo quotidianamente, senza più il pudore di mantenere fede alle promesse fatte di elargire soldi a destra e a manca, cose e soldi che poi non arrivano mai a destinazione o nella misura promessa per colpa di questo o di quello, ma mai loro in prima persona! 

Nel periodo di pandemia (2020) da Coronavirus COVID-19, i miliardi di euro annunciati dall’allora Premier – Giuseppe Conte, Cinque Stelle – parlando con persone delle diverse categorie, dalle P. Iva, alle P.M.I. (Piccole Medie Imprese) ai dipendenti, dei tanti soldi promessi, molti non li hanno mai visti, “manco 1 euro!”… nemmeno ora! Ma questo è solo un esempio di come tra il dire e il… dare ci sia in mezzo l’oceano, altro che il mare! 

L’ho già scritto in altre riflessioni, ma se Alcide De Gasperi – Presidente del Consiglio dal 1945 al 1953 per otto governi successivi – diceva che la differenza tra uno statista e un politico sta nel fatto che il primo pensa alle future generazioni, il secondo alle prossime elezioni, un motivo ci doveva pur essere. Non credete? 

Perché già ai suoi tempi, evidentemente, il vizietto di comandare con lo sguardo all’“ora pro nobis”, cioè all’agire per il proprio tornaconto, e al “predicare bene e razzolare male” era già presente, forse in modo più episodico, meno evidente, mentre oggi sembra diventata la regola e nemmeno più ce ne si vergogna. Una volta, a giustificazione del malaffare politico, colti con le mani nella “marmellata”, i politici scoperti affermavano candidamente che avevano sì rubato, ma per gli interessi del partito di appartenenza. 

La differenza con i politici di oggi

Che questi ultimi rubano per sé stessi!

Sempre di “ruberie” si tratta, ma almeno una volta erano “eticamente” più giustificate… 

Del resto, non me ne vogliano nemmeno le opposizioni e coloro che, con le prossime elezioni, potrebbero diventarlo, se il compito istituzionale di questa componente della nostra democrazia dovrebbe essere quella di controllo, stimolo e correzione dell’operato del Governo, vediamo invece, con rassegnata tristezza, lo spettacolo del “gioco della torre”: sport nazionale (ma non solo…) che vede impegnati gli attori a buttar giù dalla “torre” di comando chi vi è sopra, indipendentemente che governino bene o meno, per essere a loro volta, dopo aver conquistato la vetta, oggetto dello stesso meccanismo. 

E noi cittadini?

Guardiamo… Perché la politica delegata ma non seguita, porta come effetto la conseguenza di essere governati da persone alle quali abbiamo dato facoltà di… “uccidere” democrazia, diritti e doveri! Comprendo che singolarmente ci sentiamo impotenti di fronte a tante scempiaggini a cui assistiamo e spesso, vinti dai tanti problemi quotidiani che dobbiamo affrontare, non abbiamo la forza e nemmeno la voglia di interessarci della cosa pubblica, vittime di una logica del tipo “Pago (le tasse)? Pretendo!” senza tener conto che non funziona così, anche se dovrebbe e tutti ce lo auspicheremmo, ma così è e le conseguenze di questo modo di pensare ed agire, o meglio, non agire, lo scontiamo poi sulla nostra pelle o nelle nostre tasche…

Uno dei cancri che affligge il “sistema Italia” è la burocrazia, questo muro di pongo, non di gomma, che si lascia colpire ma non risponde: affondi il “colpo” (per una giusta protesta, con un ricorso amministrativo, una causa legale a tutela dei tuoi diritti, ecc.) e nessuno risponde o, meglio, la P.A. (Pubblica Amministrazione) risponde con i propri tempi biblici. 

E una causa può vedere il suo termine anche dopo trent’anni e più, dipende…

Questa giustizia è, di fatto, una mancanza di giustizia perché una sentenza emessa trent’anni dopo è un non senso in termini. Poi ci potremo domandare il perché di tanta lentezza, se dovuto ad un sotto organico della macchina della giustizia, ad una inefficienza degli addetti a questi uffici, ad un codice civile e/o penale superato, ad un sistema ancora analogico e non completamente digitalizzato, ecc., ecc. ma di fatto chi dovesse avere a che fare con questo sistema giudiziario, deve essere soggetto a questa “violenza” amministrativa che è alla base di tanti risvolti di sofferenza sociale ed anche criminale (una causa civile portata avanti per tutti questi anni, rischia di sfociare nel penale: la tentazione di farsi giustizia da sé diventa forte…). 

La mancata certezza della pena per chi è giudicato colpevole; meccanismi legislativi di riduzione delle pene previste; sentenze con effetto retroattivo; farraginosità nei tre gradi di giudizio nei quali uno sovverte completamente il giudizio precedente, ecc. portano ad una mancanza di fiducia nel sistema giudiziario unitamente, come già detto, ai tempi biblici di una giustizia che diventa “ingiustizia”!

Cosa dovrebbe fare la politica 

La politica dovrebbe fare gli interessi dei cittadini, cioè creare un sistema che cerchi di portare legalità nei rapporti, quindi esercitare quella giustizia atta a regolare i rapporti tra i cittadini quando questi vengono meno alle norme previste in ambito civile, amministrativo, fiscale, penale, ecc.

Ma quando questi principi di rispetto dei diritti vengono meno, asserviti al potere partitico e alla connivenza tra legalità e delinquenza comune, organizzata, mafiosa, stragista, terroristica, ecc. allora si capisce che la politica, nella sua essenza o quantomeno nella sua materializzazione operativa, è fallita. 

È così che la democrazia (che ricordo dal greco: democratia composto di demos popolo e cratos potere, significhi “governo del popolo” cioè “forma di governo basata sulla partecipazione di cittadini uguali, in cui il potere è esercitato dallo stesso popolo per mezzo di rappresentati liberamente eletti”) sfocia in demagogia (termine di origine greca composto di demos, “popolo“, e aghein, “trascinare” che indica un comportamento politico che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici o per aumentare il proprio consenso popolare o per il raggiungimento/conservazione del potere stesso) e da qui in anarchia (dal greco antico: ἀναρχία, ἀν, assenza + ἀρχή, governo o principio) dottrina sociale e politica che propugna l’abolizione dell’autorità costituita e accentrata, nonché di ogni forma di costrizione esterna o, detto in altri termini, l’anarchia  è l’assenza di ordine, governo, autorità, che genera confusione, disordine caotico nella società stessa e, ancor più esplicitamente, l’anarchia è basata sull’ideale libertario di un ordine fondato sull’autonomia e la libertà degli individui, contrapposto a ogni forma di potere costituito, compreso quello statale). 

Poi si può essere più o meno d’accordo con questa considerazione, come del resto lo furono su posizioni opposte e in epoche diverse due personaggi del XX secolo:

“Una buona dittatura è comunque meglio di una cattiva democrazia” affermato dal noto professore di biochimica, divulgatore scientifico, che è stato il più famoso e forse il più geniale autore di fantascienza del XX secolo, Isaac Asimov. O, in modo diametralmente opposto, il nostro ex-Presidente della Repubblica Sandro Pertini che affermò: “Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie” nel messaggio di fine anno agli Italiani pronunciato nel 1979.

Dunque? Chi ha ragione?

Difficile a dirsi perché la verità è sempre nel mezzo… 

Mi viene da esprimere questo esempio. 

In un condominio, si desidererebbe avere un amministratore che ci facesse stare caldi d’inverno e freschi d’estate. Quale amministratore scegliereste tra queste due tipologie: quello onesto che non lucra nessuna “tangente” per sé ma che risulta inefficiente nella gestione facendo stare freddi d’inverno e caldi d’estate o quello disonesto che lucra per sé ogni possibile compenso “extra” ma che soddisfa l’esigenza desiderata dai condòmini? Diventa difficile, ponendosi di fronte a queste due tipologie estreme, dare una risposta perché, nel primo caso, ci si lamenterebbe del risultato, nel secondo caso dell’alto costo da sostenere. L’ideale sarebbe un amministratore onesto ed efficiente, ma nella realtà ci si accontenterebbe di una via di mezzo, di un compromesso (la politica…) che ad un costo non eccessivo garantisse una vivibilità soddisfacente. 

Fuor di metafora: una politica gestita da un governo che non sia in grado di attendere con efficienza al proprio mandato è criticabile al pari di quello che affamasse di tasse il popolo per fornirgli quel livello di efficienza minimo necessario per garantire un benessere generale. Nel mezzo la virtù… 

Ma allora non c’è soluzione?

Non è possibile avere una politica sana che, pur negli umani limiti, riesca a dare ai cittadini quel giusto equilibrio tra diritti e doveri, tra servizi resi e costi necessari per fornirli?

Possibile non si trovino uomini in grado di prendersi carico di tali impegni con amore e competenza? 

Politica e valore morale

Qui tocchiamo un altro aspetto della politica, o meglio di chi è chiamato a far politica, che ribadisco: i valori morali delle persone da noi elette.

Vedete, se è importante che i deputati, senatori ministri, Presidente del Consiglio, ecc. siano persone competenti, validi professionisti che possano mettere al servizio della nazione la loro professionalità.

È altrettanto importante, anzi ancor di più, che siano soggetti moralmente corretti, che abbiano sani valori umani e spirituali perché la incorruttibilità negli appalti, l’onestà nell’agire, il rispetto delle leggi da loro stessi approvate nel Parlamento è garanzia di una società che limiterà le ingiustizie e favorirà il progresso sociale in tutte le sue forme. 

Questo è un punto a me caro e su cui istintivamente sono portato a tornare.

Del resto è inutile faticare tutto il giorno per mettere acqua in un serbatoio se poi quest’ultimo presenta un foro sul fondo… Fatica e risorse sprecate: se poi questo foro è anche grande, vanificherà il nostro impegno, il nostro lavoro in tempi ancor più rapidi. Una sana politica, prima di pensare a riempire le casse dello Stato, dovrebbe cercare di ridurre le spese inutili che un malgoverno genera e non sana. 

E quando parliamo di “buchi”, ci rendiamo conto di come sia un termine ricorrente e d’uso comune nella nostra politica nazionale: “buchi di bilancio”; “buchi dell’INPS”; “buchi nella Sanità”; buchi, “voragini” del “debito pubblico italiano”… e via di questo passo.

Ma se questi debiti (i “buchi”) fossero stati prodotti per ridistribuire i soldi pubblici (tasse, tributi e contributi…) al fine di migliorare le condizioni generali del Paese, allora sarebbero meglio accettati, compresi, giustificati e si lavorerebbe tutti per cercare di risanare al meglio quel serbatoio a cui accennavo prima, più comunemente detto “barile” o anche “pozzo” (peccato che al primo termine venga aggiunta l’espressione: “Si son mangiati anche il fondo del barile” e al secondo addirittura “Pozzo senza fondo”…) per ridurre il più possibile quelle perdite (vedi tra le altre anche quelle del sistema idrico nazionale…!). 

Ma quando ci si trova difronte alle tante sottrazioni indebite o allo sperpero (vedi sopra un esempio, quello delle opere pubbliche incompiute, ma pagate) allora subentra un fattore assai pericoloso: quello che ognuno pensi a sé stesso, pensi a far quadrare i propri conti familiari e, se riesce, a evadere quanto più possibile “giustificato”, moralmente, dal fatto che dare i suoi soldi a quei politici che poi se li “mangiano”, senza aver fatto alcuna fatica, allora è meglio che se li mangi chi li ha prodotti con il sudore della propria fronte…

Sbagliato?

Beh a rigor di logica, no.

Il rischio è, però, che così facendo, salti lo Stato e quella società dei servizi in cui, volenti o nolenti, ci ritroviamo a dover vivere, noi e i nostri figli.

La politica riguarda ciascuno di noi

Allora cosa fare?

Cercare di interessarci di più della cosa/casa pubblica e lottare con i mezzi democratici a nostra disposizione (elezioni in primis, manifestazioni non violente, petizioni, ecc.) per manifestare il nostro dissenso, segnalare sprechi e abusi e proporre soluzioni correttive ai tanti comportamenti sbagliati. 

Vogliamo un esempio per tutti, in positivo, dove il potere politico, quando sollecitato e pressato da un evento eclatante mette da parte gli interessi particolaristici e lascia fare ciò che va fatto senza soffocare con la burocrazia (il famoso e richiamato “cancro” del sistema-Italia) le opere necessarie?

Il grande ma altrettanto triste ponte di Genova sul torrente Polcevera che percorre la città, scorrendo nell’omonima valle: l’ex-Morandi (esempio di quella politica marcia… crollato per inadempienze, corruttele e immoralità di chi vi doveva attendere alla sua manutenzione) e il nuovo ponte San Giorgio, manifestazione concreta della volontà di rinascita di una politica sana, attenta alla popolazione. 

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Foto di Davide Papalini – Opera propria

Così come “In Calabria troviamo la diga di Gimigliano, un’opera faraonica, la diga più grande d’Europa: dal 1982, anno del primo finanziamento a oggi, nonostante i 47 milioni di euro già spesi, è stata completata soltanto per il 16%”, a Genova sono occorsi 15 mesi per realizzare un viadotto di 1.067 metri, un’opera tecnologicamente avanzata in un misto tra acciaio e calcestruzzo e sistemi elettronici di controllo,  all’avanguardia anche dal punto di vista energetico (con installazione di pannelli solari per l’autosufficienza energetica) realizzata con straordinaria velocità per un importo di 200 milioni di euro destinato a durare svariati decenni. 

E con l’auspicio che alla secolarizzazione, alla decadenza spirituale e materiale si vada sostituendo una coscienza della “cosa pubblica” e della sua gestione, cioè la politica sana onesta e trasparente, concludo con la speranza che le nuove generazioni, sfruttando il progresso tecnologico, una maggiore sensibilità ecologica, una migliore consapevolezza che da una corretta gestione delle risorse morali e materiali si potrà garantire un futuro migliore per sé stessi e per i discendenti che erediteranno questa terra, l’unica e irripetibile, possano realizzare un mondo più a portata d’uomo, più giusto, dove i diritti e i doveri siano equamente distribuiti nell’interesse di tutti e non egoisticamente ripartiti tra chi gode solo dei diritti e relativi vantaggi e chi sia obbligato a rispettare i soli doveri senza poter godere di alcun beneficio da ciò derivante.

Che dagli errori del passato, anche recente, anche contemporaneo, si riesca a invertire questa diabolica tendenza che non solo non ci potrà offrire una prospettiva futura migliore, ma che sarà alla base della nostra autodistruzione civile, materiale e morale: che Dio illumini le menti e la coscienza di coloro che avranno in mano la responsabilità della politica, da quella locale a quella mondiale!

…e di quelli che andranno a votare.

Meditiamo tutti, o gente!

Con affetto, Antonio

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