Antonio Palmiero

REGOLE per crescere i figli: necessarie o obsolete?

R.E.G.O.L.E. per crescere i figli necessarie o obsolete_AntonioPalmiero

Il tema che vorrei affrontare parte da una parola “R.E.G.O.L.E”, che qui ho volutamente “punteggiato” rendendolo un acronimo, dove, alle singole lettere – per fare un gioco che sarebbe bellissimo poter realizzare nella educazione dei figli – ho fatto seguire un “valore” formativo.

Facciamo subito una premessa: chi scrive, il sottoscritto, non è un educatore di nido d’infanzia, né un insegnante della scuola dell’infanzia o un pedagogista o, ancora, uno psicologo e/o psicoterapeuta dell’età evolutiva né tantomeno uno psichiatra, ma un genitore… sì, anche se ormai i miei figli sono adulti e, come si diceva una volta, “vaccinati” (non me ne vogliano i “no-vax”…).

Una bella famiglia serena

Il termine “REGOLE”, già nella sua comune accezione, non è così gradito soprattutto da parte di coloro alle quali si devono attenere o che le devono rispettare – non parliamo se costoro, poi, sono i figli, appunto, qualsiasi sia la loro età, benchè insegnarle non sia compito meno facile, soprattutto oggi!

Ma consentitemi, prima di introdurci in una riflessione più approfondita, ripeto, di giocare con le iniziali della parola R.E.G.O.L.E.:

Rispetto

Empatia

Gratitudine

Osservazione

Lealtà

Efficacia

Credo, e sfido chiunque a smentirmi, che ognuna di queste paroline, meriterebbe un blog a sé. Ma entriamo nel merito di ognuna di loro, dei valori che sintetizzano e che, tra le tante combinazioni possibili, ho scelto per parlare di un argomento ostico, non da specialista della materia, ma come un “ex”-genitore (in realtà, per i figli, lo si rimane vita natural durante) che di fronte ai tanti comportamenti osservati (vedete che già emerge uno di quei termini?) nei giovani, sin dall’età “0-…” in poi (non vorrei fare pubblicità ad un noto marchio dell’abbigliamento…) ho potuto riscontrare nelle normali situazioni del quotidiano.

Per mio stile redazionale, partirò dalla definizione presa dal dizionario online: “Oxford Languages” e dalla “Treccani” online, per ogni singolo termine ma, per la vastità che ogni argomento comporterebbe, mi limiterò a esprimere brevi concetti che possano, al di fuori di ogni retorica, dare uno spunto di approfondimento che ogni lettore/genitore potrà poi sviluppare.

Bene, precisato quanto sopra, procediamo con ordine.

Rispetto

Oxford Languages

  1. Riconoscimento di una superiorità morale o sociale manifestato attraverso il proprio atteggiamento o comportamento: nutrire, provare r. per qualcuno; il r. verso i genitori; salutare con r.; r. per le istituzioni.
  2. Disposizione ad astenersi da atti offensivi o lesivi, implicita nel riconoscimento di un diritto. “il r. per i propri simili”

Treccani online

rispètto (ant. respètto) s. m. [lat. respĕctus –us «il guardare all’indietro; stima, rispetto»].

1. a. Sentimento e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso affettuosa, verso una persona: rverso o per i genitorii superiorile persone anziane (anche, meno com., ai genitori, ecc.);

2. a. Sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli: rper la persona umanaper tutti gli esseri umanirdi o per sé stesso, il comportarsi in modo da non offendere il proprio onore, la propria dignità e personalità;

Rispetto

Mi sembra di poter dire che la definizione data da entrambi i dizionari concordino sul fatto che il rispetto sia un sentimento, una disposizione ad astenersi da atti offensivi e riconoscere i diritti verso le altre persone, in senso lato, e, come riportato negli esempi e da me graficamente sottolineati, “verso o per i genitori”.

E qui inizia il primo passo del bimbo che nasce e cresce nell’ambito della famiglia dove esiste un padre e una madre (mi si permetta di evitare di dover parlare, almeno in questa sede, delle famiglie omogenitoriali, cioè quelle costituite da coppie omosessuali, maschili o femminili, per intenderci, le cosiddette famiglie “arcobaleno”).

Sarà compito loro iniziare a indicare al nascituro, sin dai primi mesi di vita, cosa va fatto e cosa no. Potrà sembrare ridicolo, ma sin dai primi mesi, e da lì a crescere, i bambini hanno la facoltà di apprendere ciò che gli viene detto o fatto vedere e, imitando quei gesti elementari e ripetendo quelle parole/frasi che i genitori esprimono di volta in volta e che poi caratterizzeranno il suo apprendimento, diventano grandi.

Ma sin dai primi momenti e via via, ripeto, vanno dati quei “Sì!” e quei “No!” che successivamente verranno meglio spiegati e motivati ma, in funzione dell’età, comunque impartiti. Questo per stabilire e trasmettere ai figli limiti e condizioni che serviranno loro un domani per essere meglio accolti nel contesto sociale: dal nido d’infanzia al… mondo del lavoro. Imparare come si deve agire nella società, quali regole vadano rispettate, ecc. è la traduzione concreta di quel rispetto che deve nascere in famiglia e trasferito verso le altre persone comprese le relative Istituzioni.

Permettetemi un esempio banale ma che dovrebbe dare il senso di come l’acquisire questa capacità di rispettare le regole (si chiama anche “buona educazione”) – o il non rispettarle – possa avere anche conseguenze gravi nella società. Il rispondere offensivamente, mandando a quel paese un agente di polizia, per esempio, corrisponde a commettere il reato di oltraggio a pubblico ufficiale violando l’art. 341 bis c.p. che prevede da 6 mesi a 3 anni di reclusione. Poche parole…

Empatia

Oxford Languages

  1. In psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva.
  2. Nella critica d’arte e nella pubblicità, la capacità di coinvolgere emotivamente il fruitore con un messaggio in cui lo stesso è portato a immedesimarsi.

Treccani online

Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. 

Empatia

Mi sembra di poter dire che il porsi nei panni degli altri sia il punto in comune delle due definizioni. Cosa non da poco perché questo implica l’avere la dovuta sensibilità verso il nostro prossimo, concetto che nella nostra tecnologica società, mi sembra stia diventando, se già non lo sia, un “optional” visto l’egoismo che regola i rapporti umani impostati più sul “do ut des” che non sul senso di solidarietà disinteressata.

La empatia, quindi, non è scontata e se è vero come è vero che percepire lo stato di necessità dell’altro, morale o materiale, sia una dote più spiccata in alcuni, meno in altri, sino a non trovarne tracia in molti, è anche vero che va fatta crescere nell’animo di un bambino, come una “sensibilizzazione” all’altro – non nel senso “allergico” – facendo rilevare nelle varie situazioni lo stato di bisogno e/o di conforto di cui necessita in quel preciso momento.

Ma se un bimbo cresce con l’arroganza dell’egoismo, col classico “E’ mio!!!” e non viene corretto in quell’atteggiamento istintivo – classico della “razza” “uomo”, e qui non c’entra nulla l’etnia… – è chiaro che la legge del più forte a mo’ di jungla, consoliderà il comportamento futuro del bimbo/adolescente/adulto… “selvaggio”.

Non meravigliamoci, poi, se ci si lamenta in famiglia che i figli non aiutano in casa i genitori e non capiscono nulla della fatica che sopportano per crescerli: se non glielo si spiega, non si parla con loro, a meno che non siano dotati per Grazia di quel dono, non lo comprenderanno mai da soli. D’accordo?

Occorre, quindi, educare alla sensibilità, all’altro, a immedesimarsi nella situazione altrui per poter aiutare chi ne ha bisogno. Allora il bambino crescerà con la consapevolezza di non essere l’unico “animale” esistente sulla faccia della terra al quale tutto è dovuto e che nulla da lui può essere preteso.

Gratitudine

Oxford Languages

  1. Sentimento di affettuosa riconoscenza per un beneficio o un favore ricevuto e di sincera completa disponibilità a contraccambiarlo.

Treccani online

gratitùdine s. f. [dal lat. tardo gratitudo –dĭnis, der. di gratus «grato, riconoscente»]. – Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare (è sinon. di riconoscenza, ma può indicare un sentimento più intimo e cordiale).

Gratitudine

Anche qui il termine che accomuna entrambe le definizioni è la parolina “magica”, quanto rara: “riconoscenza”… Un tempo si diceva che la riconoscenza fosse un fiore raro, ma a me sembra sia diventato introvabile! Oggi si dà tutto per scontato e i figli, in particolare, anche per “dovuto”.

Anche qui, se siete d’accordo, insegnare la “regola aurea” di dire “grazie” ad una persona che ti ha fatto una cortesia mi sembrerebbe il minimo. Perché uso il condizionale? Perché, provate a far notare il gesto di cortesia fatto su un mezzo pubblico, consistente nell’aver ceduto il posto ad una persona più anziana, o l’aver dato la precedenza ad uno sportello di un ufficio pubblico a qualcuno in età lavorativa che ha fretta o ad una cassa di un supermercato ad un giovane… cosa riceverete di ritorno? Nel migliore dei casi un “grazie” sottovoce o un cenno del capo; nella normalità – oggigiorno – nulla; nel caso peggiore, anche un atteggiamento di arrogante “furbizia”…

Ma se il genitore “all’antica” iniziasse, sin da quando i propri figli sono ancora piccoli, ad insegnare l’educazione, cioè quell’insieme di norme comportamentali, al figlioletto, questi assimilerebbe quel modus operandi che si porterà avanti vita natural durante. O no?

Osservazione

Oxford Languages

  1. Attenzione intesa all’ottenimento di una visione completa e dettagliata o alla formulazione di un giudizio, motivata per lo più da ragioni tecniche o scientifiche o anche da una notevole capacità intuitiva (spirito di o.) “strumenti d’o”
  • Considerazione motivata da un atteggiamento o da un preciso intento critico, d’intonazione dal polemico al conviviale al didascalico: le “Osservazioni sulla tortura” di Pietro Verri; un’o. opportuna, sensata, stupida.

Treccani online

osservazióne s. f. [dal lat. observatio –onis]. – L’atto di osservare, sia per notare semplicemente (con o senza determinati fini) ciò che si può percepire con l’occhio, talora con l’aiuto di strumenti ottici, sia applicando la mente per formulare considerazioni su ciò che si vede, sia infine sottoponendo qualche cosa ad esame, a riflessione, a indagine di varia natura. Con prevalente riferimento all’attività della mente, la capacità di cogliere e ritenere non solo gli aspetti esteriori delle cose ma anche il carattere delle persone, la realtà di una situazione e, in genere, quanto nelle cose, nelle parole, in un’opera, è degno di esser notato e di diventare materia di considerazione. 

Osservazione

Questo termine, di per sé, abbraccia un ampio numero di significati in base ai diversi ambiti, da quello psicologico a quello scientifico, in cui viene impiegato, come emerge dalle definizioni riportate sui due dizionari ai quali sto facendo riferimento.

Relativamente all’area di nostro interesse, quello del bambino, direi che l’osservazione è il primo atteggiamento che quest’ultimo esprime ancor prima di iniziare a parlare e/o camminare. E per par conditio, è quel comportamento che il genitore attua per controllare e capire le esigenze esplicite ed implicite che il bimbo esprime.

Ha dunque un valore ambivalente, cioè nei due sensi: del bambino verso il mondo (rappresentato all’inizio dall’ambiente che lo circonda e, normalmente, dal papà e dalla mamma nonchè dai familiari più stretti) e viceversa dai genitori verso di lui.

Da questo derivano una serie di indicazioni che permetteranno ai genitori di correggere, crescendo, un modo di fare del bambino sempre in ottica educazionale al fine di migliorare la sua capacità di muoversi all’interno delle relazioni con chi e cosa lo circonda.

Va da sé che se questa funzione osservazionale viene meno o non viene affatto esercitata il piccolo crescerà con tutti gli “errori” comportamentali che lo esporranno a rischi anche per la sua salute ed incolumità. Un esempio concreto? Immaginate un bimbo che, gattonando, vada ad infilare le dita bagnate nella presa della corrente elettrica o mettesse le mani vicino ad una pentola di acqua bollente o, ancora, introducesse in bocca un oggetto di piccole dimensioni o, in ultimo, ma non ultimo, maneggiasse un coltello…

I Pronto Soccorso degli ospedali sono periodicamente visitati da genitori “distratti” o “disattenti” che poco osservano i propri pargoli o, peggio, osservandoli in comportamenti rischiosi, non intervengono. Non si sta parlando dell’accidentale caduta e/o sbucciatura di un ginocchio… ma di cose ben più pericolose che se non prevenute e fatte comprendere – ovviamente nei modi e nei termini dell’età del figlio – potranno essere motivo di grandi apprensioni e inevitabili conseguenze.

Lealtà

Oxford Languages

  1. Onestà dichiarata e ammirevole, costantemente associata a franchezza o a sincerità.

Treccani online

lealtà s. f. [der. di leale]. – L’essere leale, sincerità, franchezza: voglio dirti con lil mio pensiero; comportamento leale: riconoscere la ldi un avversario; atteggiamento di correttezza e dirittura morale, attaccamento al dovere e rispetto della propria dignità, nel mantenimento degli impegni assunti, nei rapporti con determinate persone, nella fedeltà alle istituzioni e a chi le rappresenta: ld’animoosservare con lgli obblighi del proprio statodella professioneservire con lil proprio paese. Con sign. più strettamente politico: lcostituzionalelverso gli alleati o le alleanzelagli impegni internazionali, e sim.

Lealtà

Parola dalla definizione breve che vede, nei due dizionari, comunanza esplicativa nei due termini “franchezza” “sincerità” nonché, concettualmente, in “onestà”.

Dicevo, “breve” nella spiegazione di cosa sia la lealtà, ma di una valenza talmente importante che meriterebbe un discorso a parte molto ampio, soprattutto oggi, in un mondo dove molte, troppe persone, questo termine l’hanno spesso derubricato dal proprio modo di comportarsi.

Essere leali spesso viene associato all’essere “ingenui” se non del tutto “stupidi”… La menzogna, la ipocrisia, la falsità, la “pia” bugia sono tra loro sinonimi di una nuova filosofia di vita con il risultato comune di non fidarsi più della parola altrui. Elemento di divisione, la menzogna, che in Satana, il diavolo (“colui che divide”), è l’elemento costitutivo.

Nel Vangelo di Giovanni, si legge come Gesù si rivolse ai sacerdoti, agli scribi e farisei del suo tempo: “Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio, e non si è attenuto alla verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna (Gv 8,44).

Perdonate la deroga religiosa, ma credo che se nella propria filosofia di vita i genitori non hanno in sé questo spirito di lealtà, difficilmente riusciranno a trasmetterla ai loro figli. E i danni che nella società si generano, a tutti i livelli, per il comportamento sleale nei confronti degli altri, è sotto i nostri occhi, primo fra tutti, la perdita di fiducia, l’insinuazione del dubbio e la relativa disgregazione dei rapporti umani e nelle istituzioni.

Non si dice forse, “non aver fiducia nella Giustizia, nella legge”, oppure “in questa o quella struttura laica o religiosa”? Vedete come una parola così semplice, breve, comporti un grado di responsabilità e un impatto devastante laddove venga meno? E si inizia in famiglia comportandosi verso i figli, e viceversa, in modo onesto, sincero, trasmettendo questo valore con i fatti, con coerenza tra quello che si dice e poi si fa.

Efficacia

Oxford Languages

  1. Capacità di produrre l’effetto e i risultati voluti o sperati: l’e. di un provvedimento; un rimedio di scarsa e.; part., in diritto, attitudine di un fatto, di un atto o di un negozio giuridico a produrre gli effetti collegati al suo compimento.

Treccani online

efficàcia s. f. [dal lat. efficacia, der. di effĭcax –acis: v. efficace]. – 1. Capacità di produrre pienamente l’effetto voluto, e l’ottenimento stesso dell’effetto: l’edi un rimediodi un farmacodi una punizionedi un provvedimento. In partic., edi un atto o negozio giuridico, la sua capacità di produrre gli effetti per cui viene compiuto, e anche il concreto prodursi di tali effetti. 

Efficacia

In una società efficientistica (più che efficiente…) l’efficacia delle soluzioni adottate per risolvere i problemi comuni non sempre è così evidente e non sempre dà i risultati sperati/attesi. Talvolta sembrerebbe che gli sforzi prodotti, la fatica compiuta, l’impegno profuso non premino chi vi ha messo anima e cuore per raggiungere quel determinato obiettivo. Se pensiamo al tempo speso nella educazione di un figlio e i risultati che si ottengono, beh il sentimento della delusione spesso caratterizza il nostro stato d’animo.

E parlo in buona fede, cioè mi rivolgo a quei genitori che in tutta buona volontà si impegnano nel crescere i figli secondo le famose regole… Ma come, direte voi, ci hai parlato dell’importanza e, implicitamente, del successo che il loro insegnamento, prima, ed applicazione, dopo, avrebbero comportato ed ora ci fai presagire che non sempre è così?

In un certo senso sì, ma mi spiego meglio. Capita che, come in tutte le cose, occorra equilibrio, cioè spesso si passa da un estremo all’altro vanificando il buon proposito di fare le cose per bene. Cosa voglio dire? Che da un lato può esserci un’assenza pressochè totale di regole (“…ma sì è piccolo, lascialo fare… quando crescerà capirà da solo ciò che si può fare e cosa no…”) e dall’altro un eccesso di indicazioni normative che confondono, inibiscono e hanno per effetto una reazione, una ribellione a tutte quelle regole.

E allora? Bisogna applicare una sola regola: quella del buon senso (merce rara….!!!). Farò un esempio. Avete presente le bottiglie del vino da 1 litro e le damigiane da 50 litri? Immaginate di dovervi travasare il vino prelevandolo da una botte. Per questa operazione vi avvarrete di un imbuto.

Seguitemi nella metafora. Se travasiamo il vino (le regole) dalla botte (il genitore) nella bottiglia da 1 litro (un bambino piccolo) avvalendoci di un imbuto da damigiana (il mezzo per trasferire le regole) rischiamo che la maggior parte del vino (le regole, appunto) verrà versato fuori dalla bottiglia col collo più stretto (la capacità del bambino di recepire) dell’imbuto con il risultato scontato che ben poco verrà trattenuto dal piccolo.

Vale il concetto opposto e cioè che se si usasse un imbuto più piccolo (minor numero di regole) per riempire la damigiana (il figlio cresciuto) il risultato sarebbe altrettanto scadente e inefficace.

Fuor di metafora, dobbiamo imparare a dosare le regole, per qualità e quantità, dandoci un limite in base alla età dei figli: bimbi piccoli = poche regole, ma buone; adolescenti, più regole ma… altrettanto buone! Il resto è fatica sprecata e poco efficace…

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Bene. E adesso che abbiamo detto tutte queste cose, le “R.E.G.O.L.E.” per crescere i figli son necessarie o obsolete?

Penso che la risposta dovrebbe scaturire spontanea se si è riflettuto e mentalmente applicato quanto su descritto ripercorrendo nella propria mente di genitori quali siano stati i risultati ottenuti circa i propri figli, con onestà, ammettendo gli errori – e chi non ne ha fatti? – nell’educazione (parola che racchiude e sintetizza il senso dell’acronimo) loro impartita, sperando sia stata “buona”.

Un suggerimento che mi sento di rendere comune, è quello di non commettere l’errore di asserire che i figli crescano “da soli” senza alcun insegnamento. E’ un concetto che potrebbe apparire superfluo, quasi scontato ma che, in realtà, stante il comportamento di tanti bambini, prima, ragazzi e adolescenti, poi, lascia veramente perplessi. E, purtroppo, anche i fatti di cronaca una riflessione la impongono.

Quando sono nei primi anni di vita, si delegano alle baby-sitter (laddove entrambi i genitori lavorino e non abbiano suoceri/nonni disponibili). Quindi, per chi può, all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia; poi alle scuole primarie e secondarie e, laddove esistenti, agli oratori delle parrocchie dopodichè… il vuoto. Peccato che i figli a quell’età non abbiano già trent’anni… Ma perché, le istituzioni o le figure citate non vanno bene per la crescita e l’educazione dei figli?

No, non dico questo, ma i genitori e la famiglia devono essere sempre il punto di riferimento e guida, punto di confronto e verifica nonché di intervento laddove subentrino storture formative. Una per tutte, la filosofia del “gender fluid”! Poi ognuno decida cosa gli vada bene o meno, ma successivamente non vada a scaricare sulla “società” le colpe della propria assenza educativa.

Come dicevo all’inizio, non sono un esperto socio-psicologo-pedagogista, ma genitore sì.

Se lo riterrete opportuno, mi permetto di suggerirvi la lettura del mio libro “Maledetta adolescenza, beata gioventù – Coraggiosa testimonianza di un genitore, una autobiografia nella quale mi rileggo, esaminando le fasi della mia crescita negli anni ’60/’70, attraversando quelle fasi dello sviluppo e i relativi problemi connessi. Questo libro lo scrissi sui quarant’anni e l’ho pubblicato solo ora, a distanza di circa 20 anni, per verificare se le tesi lì redatte tenessero la prova del tempo… e dei cambiamenti della società.

Non sta a me dare la risposta in un senso o nell’altro, ma posso solo dire che i giovani, checchè se ne dica o si pensi, sono sempre gli stessi: sta poi ai modelli educazionali che i loro genitori adottano a fare la differenza e, se proprio vogliamo dirla tutta, chi è veramente cambiato o differente rispetto al passato, sono i… genitori.

Daniel Marcelli, pedopsichiatra, professore alla facoltà di Medicina dell’Università di Poitiers, Francia, tra gli altri, ha scritto un libro il cui titolo riassume in poche parole – a mio parere – quanto accade laddove i genitori non abbiano la capacità o si rifiutino di educare il proprio pargolo: “Il bambino sovrano – Un nuovo capo in famiglia?” edito da Raffaello Cortina Editore.

Concludo con una considerazione personale: oggi come oggi, i genitori hanno delegato la loro responsabilità genitoriale ad altri, come su detto, giustificandolo per una mancanza di tempo, una stanchezza post lavorativa, una fatica che non si sentono di voler sopportare e per quelle rinunzie (perché i figli, soprattutto da piccoli, le impongono) che non vogliono accettare.

Liberi tutti di scegliere cosa fare della propria e altrui – dei figli – vita. L’unica cosa è, però, poi, quando questi ultimi si impongono in casa (a 3-4 anni?) – “Il bambino sovrano”- non ci si lamenti che la vita in famiglia è diventata impossibile e che non si sa più come gestirli… Chissà a 15 anni…

Che poi in una famiglia dove quei principi e quelle regole descritte vengono applicati e i risultati non dovessero essere sufficientemente accettabili, beh, ogni situazione avrà anche la sua spiegazione, ma di certo le percentuali di insuccesso, sono convinto, saranno nettamente inferiori rispetto a quelle realtà dove questi valori vengono totalmente ignorati.

Un’ultima cosa desidero riferirla, non me ne vogliano i genitori di allora. Da giovane padre, assunsi l’incarico di Catechista. Non fu una esperienza esaltante, non certo per la finalità (preparare i bambini alla 1° Comunione e alla Cresima), ma per il livello – già allora, circa una trentina di anni fa – di maleducazione che mi trovai a dover gestire.

Ricordo che definire un bambino “maleducato”, in realtà non è una offesa rivolta al bambino, quanto a chi quella “educazione” l’ha “mal” insegnata, alias, i genitori.

Rammento una mia sollecitazione che, probabilmente, non fu presa molto bene ma così fu. Chiesi, infatti, a detti genitori un aiuto: io da Catechista avrei insegnato ai loro figli l’educazione religiosa. A loro chiesi semplicemente di insegnare… l’educazione!

Buona educazione a tutti.

Con affetto, Antonio.

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2 risposte

  1. Caro Antonio, un altro impegnativo argomento .
    Il compito di crescere i figli penso sia il più difficile impegno di un genitore.
    Sarebbe forse utile fare prima un “corso di formazione” che ci aiuti come meglio affrontare questa esperienza.
    Si teme di sbagliare imponendo regole troppo severe o sbagliare comunque nell’adottare una linea di condotta meno rigida.
    L’importante, a mio parere, è sentirsi consapevoli di avere fatto il meglio per lo sviluppo dei propri figli , poi è naturale che fattori come le amicizie, esperienze di vita, traguardi magari non raggiunti, improvvise situazioni famigliari etc. etc., rischino non di abbattere, ma contribuiscano a rivedere/sostituire magari qualche regola diventata nell’arco del tempo tempo “fuori moda” .

  2. Cara Mariagrazia, è sempre un piacere risponderti. Sì, è vero quanto affermi circa l’impegnativo e non facile compito che un genitore deve assolvere per educare i propri figli e nessuno ti insegna come si debba agire nelle tante circostanze della loro crescita. Di certo diamo per scontata la buona fede che mamma e papà mettono cercando di fare del proprio meglio e che quindi gli eventuali errori commessi siano da attribuirsi anche alla maggiore o minore esperienza in tal senso e in tale ruolo. Il punto non è questo nè quello dell’essere troppo rigidi o meno, quanto piuttosto nella deresponsabilizzazione che chi mette al mondo i figli non può permettersi. Noi educhiamo i nostri ragazzi in scienza e coscienza cercando, questo sì, di responsabilizzarli a loro volta i quali, poi, maturando, saranno in grado loro stessi di prendere coscienza su ciò che va fatto e su quello che non si deve fare. Se noi, però, non glielo trasferiamo, loro cresceranno come piccoli “selvaggi” nella jungla della vita e di fronte ai problemi/pericoli, agiranno d’istinto. Passami la similitudine: l’educazione, l’insegnamento dei valori, è un po’ come la pubblicità nel senso che, quanto trasmesso loro, andrà ad archiviarsi nel loro cervello e, nel momento dell’in put, dello stimolo esterno, della decisione da prendere, verrà ripescato ed utilizzato al meglio – così si spera. Perchè il paragone col messaggio pubblicitario? Perchè i figli sembra non ci ascoltino, così come sembra che anche noi facciamo con la pubblicità, ma al momento in cui dobbiamo operare una scelta nell’acquistare un oggetto, automaticamente la nostra mente verrà sollecitata e stimolata dall’immagine più forte e presente nel nostro “archivio” cerebrale. Lo stesso accade con i ragazzi i quali, nel momento del bisogno, lo interrogheranno per trovare risposta a quella situazione. Ma se noi non abbiamo seminato nulla, loro nulla troveranno come aiuto ed agiranno, ripeto, d’istinto. E se quei principi sono ben radicati in loro, stai tranquilla, che sarà ben difficile che altri valori li sostituiscano così d’emblée, cioè con facilità, al primo colpo… Con affetto, Antonio

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