Antonio Palmiero

La solitudine dei Giovani: colmi di Like sui social e soli nella realtà

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La traduzione del termine inglese “like” è, normalmente, “piace” e il verbo “to like” viene tradotto, comunemente, come “piacere”, tralasciando tutte le altre traduzioni, veramente molte, in base al contesto in cui queste due parole vengono utilizzate. 

Ma lo scopo della mia riflessione, evidentemente, non vuole essere una analisi semantica del termine in sé, quanto la sua applicazione e il suo uso sui social, quella emoticon col “pollice su”, così diffusamente utilizzato a segno di una apparente e diffusa socialità.

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Perché apparente? Bene, fermiamoci un attimo ad analizzare, qui sì, la realtà dei giovani d’oggi.

Oh, premetto, non è mia intenzione fare il “predicozzo” su come eravamo noi e come sono attualmente i giovani: credo che il rischio di cadere nella retorica sarebbe molto alto!

No, voglio limitarmi ad una serena constatazione di questa realtà che mi capita di osservare strada facendo, sui mezzi pubblici, nel quotidiano vivere e nei vari luoghi dove i ragazzi si ritrovano. Avete mai fatto caso al loro modo di stare assieme? Al loro modo di comunicare?

La sensazione che emerge prioritariamente è che tra loro ci sia più una somma di persone, una accanto all’altra, ma rigorosamente a sé stanti, che non un assieme rappresentante un “insieme” di amici. 

La solitudine dei Giovani, mi spiego meglio. 

Questi gruppi di ragazzi vivono lo stare tra loro governati da quel meraviglioso ed utilissimo dispositivo che è il “cellulare”.

Non è una battuta e non vuole essere un modo ironico per stigmatizzare questo oggetto frutto dell’evoluzione tecnologica e diventato qualcosa di indispensabile non solo per telefonare (forse una delle sue funzioni usate relativamente, se si confronta con quanti miliardi di WhatsApp vengono inviati quotidianamente nel mondo) ma sempre più per effettuare pagamenti, inviare mail, gestire un conto corrente, comunicare con la Pubblica Amministrazione e essere presente sui vari social: da Facebook a TikTok, ecc.

E allora cosa c’è di male? 

Nulla, se non che, in un mondo sempre più digitalizzato, sia diventato normale parlare “da soli” camminando per strada (una volta ci avrebbero presi per matti…) ed eseguire tutte quelle operazioni a cui accennavo prima, quindi nulla di strano, per carità, ma forse non ci si rende conto come queste abitudini stiano avendo il sopravvento su una reale socialità tra noi, tra persone in carne e ossa: l’uso eccessivo di questo dispositivo ci sottrae ore al nostro tempo libero, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, lasciandoci sempre meno spazio per parlare di persona con l’amico che abbiamo, non in America, ma ad un metro da noi.

La solitudine dei Giovani sottrae tempo reale

Che tristezza vedere due giovani fidanzatini, ma anche più grandicelli, che ad un tavolo in pizzeria, ad una cenetta romantica, non dialogano più di tanto tra loro essendo così impegnati a rispondere ai messaggi sullo smartphone!

E non penso di averli visti solo io… 

Ma abbiamo esordito con il “like”, cosa c’entra tutto questo discorso su esposto?

C’entra, c’entra… perché molti giovani che riscuotono questi attestati di “piacevolezza” di “amicizia” (vedi Facebook…) in realtà, sono sempre più soli, isolati e rinchiusi nelle proprie stanzette, rifiutandosi di uscire di casa per incontrarsi con la propria compagnia di amici.

Un tempo, parlo di una cinquantina di anni fa, i genitori dovevano venire a prenderci all’oratorio, o al campetto di pallone per riportarci a casa, vuoi per fare i compiti, vuoi per cenare… E la punizione maggiore che potevamo ricevere era la drammatica sentenza: “Oggi non vai fuori a giocare!” lapidaria quanto pesante da dover subire.


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La solitudine dei Giovani, esortarli o meno a uscire di casa?

Vi sembra normale o mi sfugge qualcosa?

Questo isolarsi dietro ad una parvenza di socialità, di fatto virtuale, sembra risultare più appagante che non il contatto fisico con un altro essere umano. Ci si sente “grandi” ad avere centinaia, migliaia e più di “like” che non un vero amico…

Il senso di solitudine che si legge negli occhi dei giovani – quando li alzano dallo schermo del cellulare, lì fissi anche quando camminano – li vedi vuoti, persi in una realtà virtuale, appunto, e se per caso domandi loro una informazione, sembra che rientrino in loro da un altro mondo.

A proposito del camminare guardando lo schermo del proprio dispositivo, sempre sui famosi “social” (parola che assume, paradossalmente, di fatto, nel concreto, un significato opposto di “a-social”…) sarebbero esilaranti i video in cui qualcuno, e non rari, vanno a sbattere contro qualche palo o vetrata rimanendo rintronati per qualche decina di secondi, per poi – e qui è meno ilare – riprendere il loro cammino come prima: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” che tradotto significa: “Errare è umano, ma perseverare è diabolico”.

Mi son trovato più di una volta in Piazza Duomo a Milano, di fronte alla bella cattedrale con le sue guglie, con quello stile gotico di elevazione dello spirito e dello sguardo verso l’alto, verso Dio – per chi di fede cattolica – e poi guardare sulla piazza per vedere tante teste chinate verso il basso, spesso di giovani seduti sui graditi, spalle al Duomo, digitare freneticamente con quei pollici che sembrano saette… per la velocità con cui si muovono sulla tastiera dei “telefonini”.

Giovani e la solitudine, per gli adulti è diverso?

Non che la situazione sia diversa per gli adulti, sia chiaro.

Ricordo ancora quell’episodio che mi vide protagonista dove, sempre in quella piazza, tra le tante persone lì presenti, sembrava di essere più in un assembramento che in un luogo comune dove condividere una parola, un’opinione e la presenza di un uomo anziano, solo, con lo sguardo perso tra quella gente alla ricerca di qualcuno che gli rivolgesse la parola. 

Me ne accorsi e con il pretesto di chiedergli una via, di avere una indicazione, non gli parve vero di potermela suggerire, ma al tempo stesso iniziò a raccontarmi la sua vita che per una vedovanza gli trasformò l’esistenza dove la solitudine era la sua vera malattia. Passò forse una mezz’ora o qualcosa di più e nel momento in cui mi congedai, quell’uomo non finiva più di ringraziarmi, nemmeno fosse stato lui a chiedermi quell’indicazione stradale!

Capite la realtà che stiamo vivendo, tutti, giovani e meno giovani?

Ma i giovani, la “digital generation” ancor di più.

Noi vecchi “analogici” un po’ ce la caviamo, anche perché meno abili nell’uso dei social, tendiamo a mantenere vivi i rapporti umani, ma i ragazzi ne sono come “drogati” diventandone dipendenti e soprattutto dipendenti da quelle approvazioni digitali fatte da sconosciuti e che non costano assolutamente nulla e per i quali non è richiesto il minimo impegno se non quello di un “click” dato a qualcuno che non conosciamo minimamente.

Differentemente coltivare una amicizia, costruire un rapporto amicale, costa anche fatica, quella di condividere una opinione differente dalla propria, il mettersi in gioco in una situazione di solidarietà, il rinunciare a qualcosa per l’altro, aiutare l’amico che si trova in difficoltà.

“Ai miei tempi…” ecco l’espressione che non avrei voluto usare, ma che purtroppo mi vedo costretto a citare, noi ragazzi, e anche qualche ragazzina “maschiaccio”, costituivamo le “bande” (ma non di teppisti…) e ci sfidavamo a chi riusciva a conquistare quella collinetta nel parco – cioè chi era più veloce a scalarla – o la “buca” di una cava allestita con i cartoni che rappresentavano ora il castello, ora la capanna del capo tribù indiano, ecc. e via con la fantasia e tanta voglia di giocare.

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Oggi ci troviamo nel paradosso che i giovani si divertano di più a cliccare il loro like che a scorrazzare in un prato con un pallone! E son sempre più soli, isolati e soggetti ai pericoli provenienti dal web, in senso lato. E questo sin dall’età pre-adolescenziale dove il nuovo smartphone troneggia tra le mani dei ragazzini che camminando o seduti, fermi al “muretto”, chattano e scatenano i loro “like”.

Poi i giovani si trovano in difficoltà anche a socializzare nel mondo della scuola, del lavoro, dello sport perché non abituati a relazionarsi materialmente, fisicamente, con gli altri.

La solitudine avviluppa e stritola mentalmente e fisicamente i giovani che, anche dal punto di vista psico-fisico, lamentano precocemente disagi che ai miei tempi… – ahi, ahi, sto ricadendo in queste reminiscenze, ma non vogliatemene – nemmeno si conoscevano se non in soggetti particolari.

La sensazione più immediata che si ha nel parlare con un ragazzo, adolescente o post-adolescente, è un nemmeno tanto nascosto senso di insoddisfazione, non meglio definita, non meglio motivata, ma di certo alla domanda: “Ma tu quanti amici hai”, spesso, la prima risposta che si ottiene è: “Ma su Facebook?”…

E questo dà il senso di solitudine che vivono, questa difficoltà ad avere un amico autentico col quale confidarsi e ciò incomincia, col tempo, a pesare nel dover affrontare la vita da… soli, anche se difficilmente lo ammetteranno.

Solitudine nei Giovani e il rapporto con la famiglia

Ma perché, non esiste la famiglia?

Certo, sullo “Stato di Famiglia” normalmente esiste, nella pratica non so sino a che punto perché, quando i figli sono piccoli e ancora non contagiati dalla tecnologia (al vero sempre più precoci) gli si mette in mano il telefonino per farli giocare con i classici “giochini digitali” perché non “rompano” – poi, più avanti, ci si lamenta che i figli hanno sempre il cellulare in mano… – e divenuti più grandi, a tavola, si mangia col cellulare acceso nel silenzio più assoluto ed assordante interrotto dalla sola richiesta di qualche pietanza.

Nemmeno in famiglia si dialoga come si faceva un tempo, non si socializza neanche tra genitori e figli e tra fratelli: ognuno si fa i fatti propri, si chatta con l’“amico” e buonanotte al secchio.

Sessualità e relazione maschio/femmina: come influisce sulla solitudine dei giovani?

Concludo pensando come anche dal punto di vista del rapporto maschio/femmina, cioè pure nella relazione sessuale, si giunga quasi a preferire il rapporto virtuale a quello reale, di contatto fisico, forse per paura, nei più giovani, nel dover affrontare un eventuale rifiuto ad un normale tentativo di approccio nei confronti dell’altro sesso, cosa superabilissima, in caso di disagio, invece, sconnettendosi dalla situazione con un semplice click.

Non so se sia riuscito a sviluppare appieno questa tematica assai complessa e variegata, che ovviamente vede i suoi distinguo tra i giovani, che non si vogliono criminalizzare in quanto, in realtà, più vittime di loro stessi che carnefici.

Mi farebbe piacere conoscere la vostra opinione in merito, magari proprio da parte di quei giovani che qui ho cercato di disegnare in questo quadro, magari non sempre con le giuste tinte, ma aperto ad un sereno confronto, ad uno scambio di opinioni che sono sempre motivo di crescita, per entrambi.

Con affetto e senza pregiudizi, Antonio

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4 risposte

  1. Ricordo ancora quando, da piccolo, giocavo per strada con tutti i miei amici del tempo, senza organizzarsi con telefoni, chat, like ed sms…

    Una gioia ormai persa nei giovani di oggi!

  2. Concordo pienamente in merito a quello che hai scritto.
    Purtroppo, o per fortuna, siamo in un’epoca digitale. Il giusto sta nel mezzo e come viene trasmessa alle nuove generazioni.
    Nulla è tutto buono o tutto cattivo, ma bisogna imparare a gestirlo.
    Speriamo e confidiamo nelle nuove famiglie che trasmettano il buon senso ai propri figli.

  3. Cara Chiara,
    il punto è proprio questo: saper trovare il giusto equilibrio tra le due realtà.
    Negare il processo di digitalizzazione verso cui la società e il mondo sono ormai orientati sarebbe un errore, Al tempo stesso, però, occorre tener presente che non siamo “microprocessori” ma esseri umani che come tali devono interagire anche fisicamente tra loro.
    E i giovani che si aprono alla vita di relazione, in modo particolare.

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