Spesso, parlando con i miei figli, avendo loro una trentina di anni meno di me, cerco di capire in quale realtà essi vivano, sia in ambito professionale che a livello di relazioni sociali.
Uhm… non è facile riuscire, per chi ha questa differenza di età, ad entrare in sintonia con la loro e le altre generazioni ancor più giovani ma non per preconcette ed aprioristiche preclusioni nei loro confronti, quanto piuttosto perché mi sembra, talvolta, di essermi perso qualcosa nel corso di questi anni o, come si dice, di vivere su un altro pianeta…
Eppure sono una persona molto attenta ai mutamenti della società, pur non essendo un sociologo di professione – a tal proposito vi invito, a conferma di ciò, a leggere il mio articolo del 20 settembre 2022 pubblicato su questo Blog dal titolo “I miei ultimi 50 anni – Fatti e persone che hanno condizionato la nostra vita negli ultimi 50 anni (1970-2020) – ma noto veramente uno scollamento tra la mia forma mentis e quella dei miei giovani interlocutori che, in un certo senso, un po’ mi spiazza…
I valori con i quali sono cresciuto – sono nato nel 1959 – e non solo io, alla base della nostra formazione che i nostri genitori hanno cercato di instillare in noi, erano, tra gli altri, il senso del bene comune, della solidarietà umana, del comune senso del pudore, della meritocrazia, dell’importanza della cultura…
Ecco, della cultura: ma quale cultura viene insegnata e trasmessa ai giovani di oggi? E non mi riferisco solo od esclusivamente ad una cultura nozionistica e prettamente didattica, cioè delle materie previste e studiate (?) sui banchi di scuola, ma di quel senso civico e valoriale a cui accennavo qualche riga più sopra.
Lungi da me voler redigere un articolo carico di retorica su “ai miei tempi…”, “quando andavo a scuola io…”, ecc., ma nemmeno è possibile non far riferimento a quegli anni per poter stabilire un confronto concreto con la realtà odierna.
Ciò che sconforta non è tanto e solo un livello culturale e, qui sì, scolastico che vede in molti laureati una preparazione da vecchia scuola media superiore (l’attuale scuola secondaria di secondo grado), ma che anche sotto il profilo comportamentale, lascia veramente perplessi.
Prima di andare oltre, è giusto fare una premessa: come sempre, non si deve fare di tutta l’erba un fascio e quindi è corretto salvare chi non rientri in questa disamina, ma pur non avendo dati ISTAT, la quotidianità ci fa toccar con mano che la percentuale di giovani preparati, sia scolasticamente parlando che civilmente operando, rispetto alla maggioranza (o, per lo meno quella che emerge intesa in senso negativo) è molto limitata, in una misura disarmante.
Mi verrebbe da dire “ai miei tempi…”, ma voglio tener fede al non cedere a questa tentazione però, concedetemelo, quando all’epoca i giovani uscivano dalle università, si sentiva la differenza tra costoro e chi non vi era potuto accedere. Oggi, a livello di cultura generale, questa differenza la si avverte molto meno, fatto salvo – almeno questo – se si entra nello specifico della materia in cui si sono laureati (e a volte anche qui non vale per tutti…).
Ho frequentato anch’io l’università – la Facoltà di Ingegneria c/o il Politecnico di Milano – seguendo i corsi per “lavoratori-studenti”, alla sera, dopo il lavoro, e per riuscire a superare un esame, qualsiasi esso fosse, dovevi studiare e seguire le lezioni in aula tenute dai vari docenti che spiegavano la loro materia, certo non come alle scuole superiori e con gli stessi tempi (in una settimana il docente di Matematica, ad esempio, aveva riassunto il programma studiato durante i miei quattro anni di Perito Meccanico di quella materia…) ma, ripeto, spiegavano.
Oggi, sentendo diversi discenti, mi raccontano che molti docenti si limitano a proiettare slide dell’argomento trattato leggendole, non spiegandole, e laddove venissero interrotti durante la lezione per un chiarimento, tendono a sorvolare appellandosi ad una mancanza di tempo (o di voglia?) necessario per dare risposta…
Mi auguro sia solo una questione di “tempo” e non di “conoscenza”… il bypassare quella richiesta di chiarimenti. Ma andiamo oltre.
Come vedete non “accuso” solo i giovani, ma un modo di essere e di agire che non mi trova d’accordo su diversi ambiti. Quello della scuola e del rapporto insegnanti-allievi è forse emblematico per l’importanza che riveste per il futuro di una società, sempre più secolarizzata, dove i valori a cui accennavo sembrano perdersi di generazione in generazione sempre di più.
In altri articoli e Newsletter ho citato come i rapporti tra i giovani e il loro modo di reagire con estrema violenza anche ad una semplice e giusta correzione del loro comportamento, scateni una reazione sproporzionata arrivando ad uccidere “per futili motivi” e, talvolta, con l’aggravante della “crudeltà”…
Nel diritto penale si parla di proporzionalità tra offesa e difesa, cioè se una persona viene insultata, è lecito difendersi a parole (anche se si potrebbe discutere sulla liceità di questi comportamenti…), ma non reagire con le mani o, peggio, con le armi: ad una offesa del tipo “Sei un cretino!” non si reagisce sparando ed uccidendo chi si è espresso in questi termini. I fatti di cronaca, purtroppo, ci hanno dimostrato che, a volte, basta anche solo uno sguardo “sbagliato” per perdere la vita!
Ma sono fatti episodici… No, non proprio, perché i fatti di cronaca nera che quotidianamente affollano i vari TG dei canali televisivi delle differenti emittenti e relative trasmissioni di approfondimento, credo non siano affatto sporadici e le varie emittenti penso non abbiano il problema di riempire il proprio palinsesto.
Tristemente…
Il farsi giustizia da sé, anche se a volte esasperati da cause giudiziarie dalla durata biblica che possono scatenare una rabbia che si traduce in vie di fatto, è sempre una cosa sbagliata, ma la giustizia non può far attendere un decennio per emettere una sentenza, magari, sullo sfratto di un inquilino “moroso” (cioè che non paga l’affitto, non “fidanzato” col proprietario di casa… sdrammatizziamo!) o tollerare una
occupazione di un immobile da parte di chi ne è senza o in attesa (a sua volta) di una regolare assegnazione, quando non si arrivi a spossessare con violenza un altro affittuario, occupante in modo legale un appartamento a lui assegnato, in un complesso di case popolari, ecc., ecc.
Questi che sto riportando sono solo un piccolo esempio di un malessere sempre più dilagante nella nostra società dove la diffidenza, la sfiducia, l’intolleranza e la violenza sia verbale che comportamentale in senso lato (anche la “semplice” maleducazione) sembrano aver sostituito le cosiddette “buone maniere”.
Si va a mangiare in un ristorante ed esci… afono, perché per riuscire a comunicare con chi è seduto con te al tavolo, devi alzare la voce e gridare per farti sentire in quanto, chi è presente in quel locale pubblico, non sa più moderare il tono di voce. Chiedi una informazione per strada? Aldilà di una primaria ed istintiva sospettosità/timore e reazione di difesa, laddove ti venisse fornita, è spesso concessa con una tale frettolosità e fastidio da farti riflettere sull’opportunità di astenersi dal farlo nuovamente la volta successiva.
Sei seduto nello scompartimento di una carrozza di un treno assieme ad un’altra persona? Provi ad accennare un sorriso, un inizio di conversazione? Spesso trovi un atteggiamento di chiusura che preclude qualsiasi tipo di comunicazione.
Sbaglio? Capita solo a me? Un tempo, quando ero ragazzo, se vedevi una persona anziana con una o due pesanti borse della spesa, ti offrivi per aiutarla a fare un tratto di strada assieme portandole quelle borse, venendo ringraziato dalla stessa. Oggi, se ti offrissi in tal senso, forse, quella persona urlerebbe che le stanno scippando la spesa…
Esagero? Vorrei che mi si rispondesse affermativamente, ma solo dopo aver riflettuto un attimo e fatto mente locale ad episodi del genere..
Parlavamo di cultura… Domando: chi dedica oggi tempo alla lettura? Si scrive sempre di più (ahi, ahi… lupus in fabula!) E SI LEGGE SEMPRE MENO.
Ormai se scrivi quattro righe invece di tre, anche in un post (il famoso “copy” sotto la foto pubblicata su un social) di Facebook o Instagram, rischi di non venir nemmeno letto, qualsiasi cosa tu possa scrivere.
Parli con i giovani, soprattutto, e il livello culturale che riesci a cogliere non va oltre quella didascalia letta di sfuggita “scrollando” lo schermo dello smartphone. Il vocabolario su cui molti ragazzi, studenti, possono contare non supera le 350 parole… il resto “mancia”? No “manca”!
Avendo l’hobby di redigere libri e articoli, Blog e Newsletter, mi ritrovo spesso a decidermi di scrivere affianco a certi termini il loro significato. Perché? Per fare sfoggio di cultura? No, proprio no, ma per evitare il rischio di veder interrompere la lettura di quanto scritto da parte del lettore che non ne comprende il significato e, quindi, il seguito e il senso del discorso: questo rischio, oggi, è sempre più alto.
E non mi riferisco a termini tecnici di natura esoterica, cioè riservati agli addetti ai lavori di quel settore specifico: per esempio la terminologia medica, giuridica, filosofica, teologica, ecc. ma termini che dovrebbero essere alla portata di tutti, soprattutto di quegli studenti che frequentano almeno le scuole secondarie di secondo grado – le “vecchie” scuole medie superiori – di qualsiasi indirizzo, dal tecnico allo scientifico, dal tecnologico al classico, ecc.
Capisco che se mi esprimessi, per es., con questi termini medici, rivolgendomi ad una persona, e cioè: “Lei soffre di broncopneumopatia cronico ostruttiva – BPCO – con iperplasia mucipara dell’epitelio” (in semplice, bronchite cronica…) la persona mi guarderebbe con gli occhi sgranati e mi domanderebbe quanti giorni gli rimarrebbero ancora prima di morire… Ma non è di questo che parliamo.
Oltretutto non si ha nemmeno più la voglia di andare a leggere il significato di quel termine meno noto su un vocabolario che oggi, con Google, è pressoché immediato (anche perché temo che consultare un dizionario di carta li ponga in forte difficoltà non conoscendone bene la modalità…). Alla mia epoca – eccoci qua…! – veniva suggerito l’uso di una “rubrica” – a volte si utilizzava quella del telefono o quelle presenti nelle agende dell’anno precedente, mai compilate – per riportare quel termine nuovo, a noi sconosciuto, con la sua definizione tratta da un vocabolario. Ciò serviva, ma servirebbe ancor più oggi, per accrescere il proprio bagaglio lessicale.
Pensate: una nuova parola al giorno appresa diventerebbero, in un anno, almeno trecento nuovi termini (salviamo le domeniche e le feste comandate…) che andrebbero ad arricchire il nostro lessico e, moltiplicato per almeno i cinque anni delle cosiddette “superiori”, creerebbero un nostro vocabolario di ben 1.500 parole! Poi alcune potrebbero anche dimenticarsi, per carità, ma su quel numero, magari, la metà rimarrebbero impresse nella memoria, Alzheimer a parte… Scherzo. E avremmo raddoppiato il vocabolario medio a cui accennavo prima, i 350 termini, uno più, uno meno…
Peccato che molti ragazzi vanno a scuola perché “dell’obbligo” e cercano di terminare la giornata scolastica facendo il meno possibile, sempre più distratti da quei mezzi tecnologici che se fossero ben impiegati potrebbero risultare molto utili alla loro formazione culturale.
In esordio mi e vi domandavo cosa pensare della attuale cultura. Dal quadro sin qui disegnato sembrerebbe uno “scarabocchio” abbastanza desolante se lo applichiamo alla successiva domanda e cioè quella sul modo di pensare ed agire di oggi.
Forse qualcuno potrebbe pensare che il sottoscritto appartenga al “giurassico”… e che la mia mentalità sia “arcaica”, come le parole che utilizzo, ma in tutta sincerità ciò che mi sorprende è che l’impoverimento culturale da un lato e l’imbarbarimento dei costumi dall’altro, veramente mi fanno rimpiangere quel “giurassico” di quando ero giovane…
Ecco, è più forte di me, il tornare nostalgicamente ai tempi trascorsi ma, ripeto, non di cinquecentomila anni fa, ma di cinquanta! Oh, non che allora fosse tutto perfetto, ma un “buongiorno” e una “buonasera” si sentivano ancora pronunciare tra le persone (oggi si usano i WhatsApp, ma sono un’altra cosa…) e il rispetto delle regole di buona educazione le ricordo bene.
Poi anche allora c’era quello che le trasgrediva in modo più o meno eclatante, ma erano più le eccezioni che la regola e venivano ripresi, redarguiti con un consenso sociale unanime e nessuno si permetteva di reagire. Provate a farlo oggi…
Oggi, se qualcuno ti urta una spalla o ti pesta un piede in metropolitana, è difficile sentire un “Mi scusi!”… termine diventato “obsoleto/arcaico”, o ricevere un “grazie” per aver tenuto aperta la porta di un negozio od aver dato la precedenza ad una persona che da quel negozio stava entrando/uscendo…
Qualcuno potrebbe obiettare che non sono questi i problemi esistenziali, quanto comportamenti ben più gravi. Sfonda una porta aperta, ma facciamo attenzione, perché è dalle piccole cattive abitudini che si arriva, se non corrette, a ciò che oggi stiamo vedendo, dove la delinquenza minorile sta diventando una piaga sociale, dove hai paura di riprendere/correggere un ragazzo per la potenziale violenta reazione che ne potrebbe scaturire.
Esagero? Decidetelo voi, anzi vi invito a esprimere la vostra opinione, in merito, al termine di questo articolo.
Probabilmente l’esperienza vissuta nelle forze dell’ordine, anche se per un breve periodo, e il differente rispetto per la divisa all’epoca indossata da parte della gente in confronto alla mancanza di rispetto per quella stessa divisa che vedo oggi manifestarsi in più circostanze, soprattutto nella strafottenza ed arroganza dei giovani, partendo da un’età sempre più bassa, mi lascia interdetto.
Ma in che società vogliamo vivere? In quella anarchica nella quale, utopisticamente, pretendiamo non ci siano regole in funzione di una vantata ed assoluta libertà di fare ciò che vogliamo anche a discapito degli altri? Una ormai “attempata” espressione recita così: “la mia libertà termina dove inizia quella dell’altro” e, dovrebbe essere ovvio, viceversa.
Ecco è, purtroppo, su quello scontato “viceversa” che crolla il sistema: perché? Perché il senso della misura, del limite della propria libertà è sempre molto aldilà e superiore rispetto agli altri e quindi affinché ciò non generi conflitti si dovrebbe avere un grande maturità, un elevato senso civico.
Riporto, a tal proposito, un articolo tratto dal sito narkive.it che ben illustra la bellissima filosofia di Rousseau, purtroppo molto idealistica/utopica, poco attualizzabile, ma non esprimiamo un giudizio aprioristico. Leggiamo:
“L’idea centrale della filosofia di Rousseau è che ogni uomo nasce buono e giusto, e se diventa ingiusto la causa è da ricercare nella società che ne corrompe l’originario stato di purezza. Questo stato originario di purezza è il cosiddetto “stato di natura”, ovvero quella condizione propria dell’uomo selvaggio che vive assecondando le sole leggi naturali. Questi concetti vanno a definire la teoria del “buon selvaggio”, ovvero la teoria che la condizione migliore di vita sia propria solamente dell’uomo pre-civile.
L’uomo naturale trova in modo innato il giusto equilibrio con il mondo in cui vive, non desidera nulla che non possa avere, guarda il mondo con un’ingenuità benevola che lo porta necessariamente ad agire secondo principi giusti. Tutta la struttura morale delle società civili è quindi, per Rousseau, imposizione arbitraria e artificiale di un codice di comportamento che va a sovrapporsi, cancellandolo, ad uno stato di correttezza morale innata. Il buon selvaggio agisce infatti secondo il proprio istinto, un istinto che si armonizza naturalmente e necessariamente con la realtà che vive (è in questa armonia che si trova rappresentata la giustezza delle sue azioni), mentre la società favorirebbe il pensiero razionale che porta al freddo calcolo e al cinismo tipico delle civiltà moderne”.
Fatemi sognare: come sarebbe bello fosse così… Peccato che quando apro gli occhi e mi sveglio da questa esperienza onirica, mi ritrovo che un 17enne ha ucciso un uomo con un pugno sferratogli alla gola per essere stato invitato a non gettare per terra, davanti al proprio autosalone, le scorze delle arachidi… o che un clochard nero viene massacrato di botte “per futili motivi” con l’aggravante della “crudeltà” da due giovani di cui uno minorenne… o che un uomo che stava ritirando un pacchetto di sigarette da un dispenser automatico, viene aggredito da due giovani, anche qui uno era minorenne, e massacrato di botte senza un motivo che scatenasse detta violenza e senza opporre la minima reazione (videofilmati a conferma).
Mi è sfuggito qualcosa? Forse mi sono addormentato per un periodo troppo lungo – 50 anni? – e mi sono svegliato di colpo in un’altra era? Vuoi vedere che ero alla guida della macchina del tempo e ho premuto l’acceleratore troppo a fondo? (ma non quello del SUV Lamborghini dove un youtuber di 20 anni ha ammazzato un bambino di 5 anni sulla Smart guidata dalla mamma, per una gara di durata di guida continua e ininterrotta da oltre cinquanta ore, nonché l’alta velocità e con la presenza nel sangue di cannabinoidi…).
Ma tu sei un po’ pessimista… mi sento recitare nelle orecchie da qualche ottimista per natura e, un po’, lo invidio, ma rifiuto l’aggettivo “pessimista”, definendomi un “ottimista realista”, cioè una persona che ambirebbe ad una società alla Rousseau, ma che non può mettere la testa sotto la sabbia e far finta che la realtà non sia anche questa descritta.
Poi, viva Dio, c’è anche tanto di positivo, ma come sempre ciò che ci colpisce e dà particolarmente fastidio sono i fatti di cronaca nera che ci infelicitano l’esistenza e ci generano paure e insicurezze, soprattutto nell’andare avanti negli anni e, ahimè, non avere più le stesse capacità di autodifesa di quando si era più giovani, non “giovinastri”…
Essendo cristiano cattolico, dovrei avere una visione della vita proiettata in un futuro di amore e carità verso il prossimo e, personalmente, così è. Non posso, però, non rilevare ciò che ho appena evidenziato, pena il vivere veramente “sconnesso H24” dal mondo. Buoni sì, buonisti anche no…
Desidero fermarmi qui con questo articolo e lasciare veramente a voi la possibilità di commentare ed esprimere la vostra opinione in merito alla domanda iniziale che caratterizza questo blog.
Sarebbe bello aprire anche una discussione in merito perché, credo, sia un tema che coinvolga tutti, volenti o nolenti, compresi i nostri figli e futuri nipoti. Il mondo non si ferma con la nostra dipartita e come genitori/nonni abbiamo il dovere morale e materiale di lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo e una società migliore di come l’abbiamo ereditata, non… peggiore!
Siete d’accordo?
In attesa di leggervi e rispondervi, con affetto, Antonio.
2 risposte
Come non si può essere d’accordo su queste tematiche. L’uomo con il passare del tempo anziché sfruttare , con la sua intelligenza, le invenzioni di questo secolo, migliorandosi anche nel rapporto sociale, si è imbruttito, ha incominciato un percorso a ritroso che lo porterà all imbarbarimento completo, all’uomo della pietra.
Quando non si insegnano più i veri valori, quali educazione, rispetto del prossimo, dove inizia la tua libertà finisce la mia, non fare agli altri ciò che non vorresti fatto a te, allora comincia la decadenza e prevale l’egoismo. Egoismo che è sinonimo di prevaricazione, segue la sete di potere, la violenza del primeggiare, la guerra…!
Tanti anni di storia, di soprusi, di uccisioni, non hanno portato ad assomigliare al messaggio messianico: Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi. Perdurando questa autostima di noi stessi non daremo mai spazio all’altro e continueremo a vivere in una giugla dove il più forte sopravvive al più debiole. Il ciclo della Storia: Abele e Caino che si perpetua all’infinito. Ma attenzione…la Storia come ha avuto un principio avrà una fine: Io sono l Alfa e l Omega. E quando chiuderà la serranda di questa Storia umana ognuno riceverà il premio o la pena eterna. E per ciascuno di noi questo giudizio sarà inappellabile.
Quindi, genere umano, ravvediti finché sei in tempo.
Caro Carlo, comprendo il senso di rammarico che nasce dalla constatazione di come va il mondo e di questa secolarizzazione. I segni sono evidenti e quando il livello di moralità, in senso lato, viene sostituito da pseudo-valori, anche gli imperi più forti (vedi quello Romano d’Occidente caduto nel 476 d.C.) si sfaldano e crollano. Credo sia chiara la tua opinione in merito a quanto ho redatto nell’articolo per cui non aggiungo altro se non la speranza che le cose arrivate a toccare il fondo possano risalire e migliorare. Senza questa speranza diventa difficile continuare a vivere su questa terra, ma guardiamo con fiducia anche a quella parte di persone che condividono quei valori autentici e si battono ancora per essi, magari in modo silenzioso e meno appariscente od eclatante, ma nel silenzio operano, altrimenti questo mondo sarebbe già finito da tempo… Con affetto, Antonio.