Antonio Palmiero

Ma il Natale è ancora un “Santo” Natale?

Ma il Natale è ancora un Santo Natale_AntonioPalmiero

“Caro Gesù Bambino, quest’anno vorrei…”

Questa è la classica formula di rito che i bimbi scrivono (almeno, scrivevano…) nella loro letterina da inviare a Gesù Bambino/Babbo Natale nella speranza (oggi, certezza) di ricevere i doni da loro richiesti (sempre che non li abbiano già prenotati su Amazon…).

Mi sembra che anche quell’alone di innocenza e di meraviglia che caratterizzava i nostri Natali si sia assottigliato molto o, quantomeno, si sia abbassata di molto la soglia di quell’età innocente in cui si credeva a Babbo Natale, ecc., ecc.

Una nota di pessimismo anche in questo giorno? No, il cristiano deve essere ottimista, sempre, anche contro ogni oggettiva realtà negativa che non ignora, ma nella quale cerca di trovare sempre il lato positivo per reagire anche nelle circostanze più difficili.

Questo deve essere lo spirito del S. Natale: quello di riuscire a trovare il bene anche laddove si annida il male, l’amore dove spunta l’odio, la solidarietà contro l’indifferenza…

Ma oggi possiamo ancora parlare di “Santo” Natale? O saremmo più realisti a parlare semplicemente di “Natale”, dimenticandoci di quella “S.” così anacronistica?

Non voglio scadere nella classica retorica che, oggi come oggi, ci sia solo consumismo, anche perché chi ha una attività commerciale, un negozio, è un lavoratore che attende con ansia questa festività e, più in generale, questo periodo di feste per cercare di far quadrare i propri bilanci, in un momento economico veramente difficile: pandemia da Covid, caro energia, guerra Russia – Ucraina (e non è una partita di calcio…), rincaro delle materie prime, ecc. hanno messo a dura prova quelle attività, spesso familiari, che caratterizzano il nostro tessuto socio-economico.

Se hanno resistito…

Perché molte PMI (Piccole Medie Imprese), soprattutto a causa del caro energia, non son riuscite a sopravvivere: bollette decuplicate a fronte anche di diminuiti introiti da acquisti della clientela (perché pure le famiglie sono in difficoltà a far quadrare i propri bilanci familiari con tutti i rincari e l’aumentata inflazione che ha contribuito ulteriormente al loro impoverimento) non consentono di mandare avanti le proprie imprese, siano esse delle piccole aziende o semplici negozi, ripeto, a gestione familiare.

I regali di Natale sono da colpevolizzare?

Tornando ai festeggiamenti natalizi, il peccato non è l’acquistare un regalo per i nostri figli o lo scambiarsi un dono con un amico, un conoscente e trovarsi attorno ad una tavolata imbandita di ogni leccornia, ma mercificare questa festività che dovrebbe essere, per i cattolici credenti, la più importante assieme alla “inseparabile” S. Pasqua di Risurrezione, senza la quale, il Natale sarebbe semplicemente la “STORIELLA” di un bimbo che nasce in una stalla/grotta, per vivere una vita per certi aspetti “fantastica” – miracoli, guarigioni ed affini – e fare una fine ingloriosa, appeso ad un legno e crocifisso… una “storiella” un po’ triste con un finale non proprio lieto.

D’accordo?

Cosa che renderebbe veramente banale un evento che ha riscattato l’intera umanità dallo “scacco” in cui il Principe delle tenebre – Satana – ci avrebbe tenuto in eterno, senza via di scampo: la nascita di Gesù, quel Bimbo apparentemente indifeso, invece, ci ha difeso e continua a farlo dalle insidie del demonio; quel falegname che ha costruito il Suo miglior “manufatto”: un futuro paradisiaco e il Suo progetto di salvezza per ognuno di noi al quale ci lascia liberi di aderire, se lo vogliamo.

Il male di questo e dei trascorsi o futuri “S. Natale” non consiste nella ricchezza da noi posseduta e spesa in questa circostanza, ma nel modo in cui la impieghiamo, qui sì, drammaticamente e colpevolmente, dimenticandoci di chi, anche in questo giorno di festa, di gioia, patirà freddo e fame, solitudine e abbandono compresi!

Questo è l’atteggiamento, prima nel e del cuore e poi nell’operare, che fa cadere quella “S.” davanti al Natale, che lo svuota del suo significato di Amore con l’“A” maiuscola che ci rende insensibili alla sofferenza del mondo. Stiamo bene noi? Allora stanno bene tutti e se no… pazienza!

Gesù non è venuto in questo mondo per chi sta bene e per essere festeggiato a fette di panettone e calici di spumante/champagne, ma esattamente e prioritariamente per chi è nella indigenza, nella povertà autentica, nel dolore e nella disperazione come coloro che si trovano sotto le bombe – e non solo nella recente citata e insulsa guerra alle nostre porte – e/o a lottare per la propria libertà – vedi le donne iraniane, quelle afgane, le popolazioni sotto il tallone del regime cinese, russo, in India in Africa e in ogni altro Paese e colore – dove non è rispettata la dignità dell’essere umano considerato al pari o meno di una cosa…!

“Santo” Natale?

Mi verrebbe più da esclamare: “Santo” Cielo! Ma non come una invocazione di giubilo, ma, con le mani tra i capelli, di disperazione…

Se manca la speranza, però, allora non siamo più cristiani perché Fede, Speranza e Carità sono le tre virtù teologali che ci caratterizzano e che in questa santa natività vedono il coronamento o, meglio, l’aspettativa di quel coronamento finale che sarà la nostra entrata in Paradiso se avremo vissuto in coerenza con quelle tre virtù divine.

Spesso mi sono chiesto come faccia il Signore a voler rinascere ogni anno su questa terra così martoriata e sull’orlo della sua distruzione sia in termini di popolazioni che la abitano, sia in termini geologici, cioè proprio di distruzione del pianeta – vedi la minaccia nucleare.

Forse, più che palestinese, quel Gesù deve essere “sardo” per la testardaggine e la perseverante determinazione che caratterizza i nostri amati isolani, in quanto ci vuole veramente una grande pazienza (e speriamo ne abbia ancora…) una costanza infinita, dopo 2000 anni, per venire in questa Sua creazione e vederla così maltrattata e, ancor più, ridotta in “schiavitù” da pochi, violenti e ricchi operatori di discordia e iniqua oppressione.

“Santo” Natale? Mah…

Ripeto, il cristiano deve essere ottimista, cioè aver fede che alla fine dei tempi il Signore trionferà e la Giustizia, quella vera, la Sua, si affermerà per l’eternità, ma sino a quel momento non possiamo ignorare la realtà che stiamo vivendo.

Ottimista non significa mettere la testa sotto la sabbia a mo’ di struzzi. Ottimista significa vedere la negatività nei fatti della quotidianità e cercare di porvi rimedio e/o trovare delle alternative scorgendo quel punto di luce che possa rischiarare il buio di quel giorno, di quella situazione.

Al cristiano non si chiede di risolvere i problemi del mondo, magari da solo (non l’ha fatto nemmeno quel Gesù di cui stiamo parlando), ma di impegnarsi per rendere meno oscura la prospettiva di vita in questo mondo così martoriato e complesso.

Essere cristiani non è essere buonisti, non è il non vedere il male che dilaga, che sembra avere sempre la meglio con tutta quella serie di ingiustizie che l’arroganza del potere, in ogni sua manifestazione, prevaricando e impedendo il realizzarsi delle lecite aspettative di chi a quel potere è assoggettato, spesso impotente a reagire, impone.

No, il cristiano è una persona calata nella realtà del proprio tempo, consapevole del disagio che lo caratterizza, ma anche certo che l’ultima parola non sarà del Principe di questo mondo che, sciolto dalle catene, sta seminando morte e distruzione, ma sarà di quel Bambino che a Natale rinasce, prima ancora che nella fredda ed inospitale grotta (la realtà del mondo), nei cuori di quegli uomini che a Lui lo apriranno (non certo quello degli “albergatori” che chiusero le porte delle proprie locande a Sua Madre che lo doveva mettere al mondo) e con Lui festeggeranno la Sua nascita in questa società che sembrerebbe essersi dimenticata di questo evento salvifico per l’umanità intera.

Ma la nascita di Gesù Bambino, per noi, ha ancora un senso o è solo una “storiella” per bambini?

E allora se riusciremo ancora una volta a ricordarci che il festeggiato è Gesù, non il Natale in sé come ricorrenza “routinaria”, come un numero rosso sul calendario, un giorno in cui non si va a scuola o a lavorare (ad eccezione di chi svolge lavori di servizio pubblico, giorno per loro altrettanto lavorativo) – festeggiato che spesso non lo è più in una società sempre più scristianizzata – forse riusciremo a far rinascere anche quella “S.” davanti al Natale, “S” come Stella cometa, quella che illuminò il percorso dei Re Magi e che li condusse a Lui a quel Bambino davanti al quale si inginocchiarono in adorazione.

Speriamo che quella luce possa illuminare anche le nostre scelte, la nostra vita facendo disperdere il buio delle tenebre che vorrebbero sopraffarci, portando nei nostri cuori il calore dell’Amore contro il gelo dell’odio, facendo rinascere in noi la gioia della consapevolezza di avere quella certezza di fede che, nonostante tutte le difficoltà, non soccomberemo se avremo fiducia in quel Bimbo, il Salvatore del mondo!

Buon Santo Natale, dunque, e che la pace del Salvatore sia con tutti noi portando nelle nostre famiglie quella serenità che sarà ancor più grande se riusciremo, in questo giorno, ad essere luce e sostegno anche per quel bisognoso che ci domanda sì un aiuto materiale, ma anche una parola e uno sguardo d’Amore!

Auguri e che il Bambin Gesù sia sempre con voi!

Con affetto, Antonio

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2 risposte

  1. Caro Scrittore,
    continuiamo a scrivere per dare significato a cosa? Ai valori perduti? Alla pochezza dell’animo umano che anziché ringraziare Dio per tutto quello che ci ha donato, vita, intelligenza, coscienza, ambiente, libertà d’azione e continuiamo ad ignorarlo quotidianamente pensando che regalie e alberi di Natale accesi sopperiscano al messaggio duro e sacrificale del perché il Bambinello è venuto sulla Terra. Semplicemente per salvare tutti noi dal peccato originale e da tutte le scelleratezze che da esso ne sono derivate. Tanto e vero che si chiama Salvatore! Quindi tutti scrivendo vogliamo dare sfoggio alla nostra personalità, al nostro credo per trovare in altri comunanza di pensiero. Invece penso che si dovrebbe fare silenzio, un silenzio interiore, meditativo. Siamo capaci di mettere etichette, esprimere giudizi e sentenze, ma più che di vedere la pagliuzza negli occhi degli altri cominciamo noi a guardare nel nostro introspettivo la trave che ci appesantisce. Natale è una ricorrenza, va vissuta in diverse modalità: i bambini devono essere gai e le lucine, i presepi, gli alberelli illuminati, il babbo natale di turno devono allietare quei cuori innocenti, i ragazzi adolescenti devono essere attratti da una differente motivazione che è quella di comprendere il mistero dell’Incarnazione e non sottrarsi a qualche sobrio divertimento che è anche quello di festeggiare, gli adulti, invece, forti del loro vissuto devono tirare i bilanci della loro vita e quindi né presepio, né albero, ne futili ed insani festeggiamenti devono condizionare il pensiero maturo, saggio di approfondire che cosa siamo realmente e come dobbiamo comportarci per sentirci Cristiani nel vero senso della parola. Cristo ci ha insegnato fin dalla Sua nascita che essendo Re, il Re dei re, è nato in una mangiatoia. Quindi questo significa Umiltà, Povertà, Debolezza. Poi crescendo ha abiurato il modo farisaico di essere religiosi abolendo e trasformando la Legge degli avi che con il passar del tempo si era complicata solo a svantaggio dei deboli e non di chi la emanava. Da ultimo ha insegnato di Adorare e fare la volontà di Dio, Amare il Prossimo, di Perdonare, di Accogliere tutti aldilà dell’aspetto, della razza, dei luoghi comuni. Ecco cosa bisogna fare per cercare di non far trascorrere anche questo Natale in modo insignificante: ciascuno di noi deve fare silenzio e far parlare Dio. E’ alla porta del nostro cuore. Bussa ripetutamente dobbiamo aprirgli e lasciarlo entrare: è Lui la nostra guida. E, illuminati dallo Spirito, dobbiamo smettere di stare a guardare e cominciare a fare. Rompere gli indugi del proprio individualismo e agire in prima persona, sentendomi parte del progetto messianico e responsabile della salvezza del mondo. Da solo non posso fare molto, ma il mare è composto da tante gocce, io devo essere una di quelle. Come? Con il mio modo di atteggiarmi verso il Prossimo, verso le problematiche della vita, dell’incomprensione. Modo che dev’essere e dimostrare nelle mie azioni felicità, gaiezza, certezza che Dio è vicino a me e non mi abbandona, rivelatore del Suo amore, promotore e divulgatore della lieta novella come lo sono i santi e i martiri della storia di tutta l’umanità. Buon Natale.
    Carlo

    1. Caro Lettore,
      apprezzo l’intensità della tua risposta, segno che l’articolo redatto ha generato in te una approfondita e, per certi versi, appassionata riflessione interiore sia spirituale che materiale, operativa, sul Santo Natale, che, deduco, per te sia ancora un “Santo” Natale. Viviamo in una realtà sempre più scristianizzata dove i valori morali e religiosi sono appannaggio di un sempre minor numero di persone, ma non dobbiamo perdere la Speranza – virtù teologale fondamentale per continuare a vivere: si dice infatti “la Speranza è l’ultima a morire”… – nel Signore, come dici correttamente, “Colui che salva”, il Salvatore. Lasciamo quindi a Lui il compito di toccare i nostri cuori dove bussa, in particolare, ad ogni S. Natale, dove desidera nascere o rinascere, lasciandoci liberi di rispondere accogliendolo o rifiutandolo nel rispetto di quella libertà che ci ha concesso sin dalla nostra nascita, pur consapevole del rischio di poterci perdere. Circa i simboli del Natale – albero/presepio – credo non abbiano età, ma ognuno, in funzione della propria maturità e convinzione di fede, darà loro il significato che maggiormente sentiranno nel proprio cuore. Buon Natale, dunque, anzi buon Santo Natale e che la pace del Bambin Gesù possa contagiare tutti noi, gli uomini che Egli ama. Auguri!

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