INTRODUZIONE
Penso che uno dei temi che maggiormente infastidisca chi non ha una formazione cristiana, sia proprio quello della Croce, sia in senso strettamente religioso, sia in senso metaforico, laicamente inteso.
Oh, non è che i cristiani siano dei masochisti scelti, motivo per cui fanno a gara per prendersi le croci degli altri: in questo non sono egoisti… anzi, potendolo, scaricherebbero volentieri la propria sulle spalle dell’altro. E pensare che c’è stato un Uomo che quella Croce se l’è presa sulle spalle sia fisicamente (il “patibulum”) e l’ha portata per la nota “Via Crucis”, cioè la Via della Croce o Calvario sino al Golgota – detto anche luogo del Cranio, dove è stato crocifisso – che moralmente per la nostra redenzione, per la nostra salvezza, e su quella Croce si è lasciato immolare per noi!
Ma quando se ne parla, quella Croce diventa “scandalo” perché proporre un sacrificio su questa terra, per “meritarsi” – sempre per Grazia di Dio – la vita eterna, sembra una follia e folle chi lo predica/propone, anche se non nel senso di proporre un sacrificio per il sacrificio, fine a sé stesso, ma il sostenere, di affrontare con “spirito di sacrificio” quella situazione difficile, a noi avversa, senza quel lamentio continuo, quella reazione, spesso anche violenta, di rifiuto.
Sia chiaro, qui non si sta proponendo la crocifissione fisica a mo’ degli schiavi ribelli – vedi il famoso film “Spartacus” con Kirk Douglas – o di altri santi come San Pietro (su una croce latina capovolta, a testa in giù, su sua richiesta, perché non si riteneva degno di morire come Gesù Cristo) e/o Sant’Andrea (quest’ultimo sulla famosa “Croce di Sant’Andrea” ad X, a noi nota anche come segnale stradale).
Saper accogliere e sopportare le fatiche quotidiane fa parte anche di quella maturità laica che, credenti o meno, ci si trova a dover affrontare in quella lotta quotidiana che è la vita. Il punto è, però, un altro, soprattutto ad appannaggio delle giovani e nuove generazioni: costoro, in particolare, di sacrifici non ne vogliono nemmeno sentir parlare avendo, alle spalle, una famiglia che, sin da bambini, ha fatto di tutto per evitare loro qualsiasi forma di sofferenza – sbagliando – non abituandoli a quelle piccole o grandi rinunce, in funzione dell’età, ovviamente, che hanno sempre avuto il compito di formare e rafforzare il carattere del bimbo, dell’adolescente, del giovane, del futuro uomo per poter affrontare le successive prove, spesso ben più dure.
Pensiamo solo al mondo del lavoro dove a fronte di un impegno professionale in cui si richiede, in particolare all’inizio, uno sforzo di apprendimento, di sacrificarsi qualche ora in più rispetto all’orario canonico, o di lavorare il sabato (talvolta, a turno, anche qualche giorno festivo in funzione della tipologia di lavoro) c’è un sistematico e talvolta aprioristico rifiuto. Piuttosto rimangono disoccupati e sulle spalle, questo sì, delle proprie famiglie.
Sia chiaro, non sto parlando di sfruttamento e caporalati vari… ma di quella dinamica che si innesca nelle relazioni industriali, in quelle aziende – spesso padronali – in cui, talvolta, diventa indispensabile – anche per una rigidità del sistema produttivo e per regole poco flessibili nel mondo del lavoro – chiedere un surplus di disponibilità che, al vero, deve però essere anche riconosciuto e che da eccezionalità non si trasformi in normale routine tale per cui le canoniche 8 ore lavorative – da contratto – non diventino 10 per tutti i giorni della settimana e, le 2 ore extra giornaliere, regolarmente “a gratis”…
Come sempre, trattando di questi argomenti, il rischio di generalizzare e di fare di tutta l’erba un fascio, è molto alto. Non vorrei, quindi, cadere in questo errore, ma confido nell’intelligenza di chi legge e nella buona fede riconosciuta a chi sta scrivendo su questa pagina Blog del proprio sito, ormai da qualche anno come constatabile da chi mi segue con regolarità.
RIFLESSIONE
Detto questo, in una realtà in cui vige la regola “fai poco e, se puoi, quel poco fallo fare agli altri”, detto in altri termini, in un mondo di “furbi”, chi assolve ai propri doveri assumendosi il relativo onere (per l’onore, c’è sempre tempo…) spesso passa per “fesso”… Questo nella dinamica del pensiero comune.
Ma di fronte ad una vicissitudine morale, un dramma familiare, o, per esempio, anche più “semplicemente” il dover assistere in casa un proprio familiare anziano, malato e non più autosufficiente, ecco il venir meno della nostra serenità e la Croce (quando c’è…) da quella parete dove è appesa ad un chiodo, scende e si posa sulle nostre spalle: prima o poi, tutti ci troveremo a far fronte ad una realtà di questa natura.
Che fare? La logica del mondo l’abbiamo già evidenziata: cercare in tutti i modi di rifiutarla e di scaricarla, se possibile ed appena possibile, sulle spalle di qualcun altro. Ma il cristiano come deve comportarsi?
Lo indica Papa Francesco:
“…Lo richiama soprattutto il Signore Gesù, indicando la strada che Egli stesso ha percorso, quella della croce. «Sempre, anche oggi, la tentazione è quella di voler seguire un Gesù senza croce. Ma Egli ci ricorda che la sua è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé. Siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma a essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani di camminare contro-corrente e in salita»”.
Poche parole, ma difficili da accettare in una società edonista sempre più scristianizzata dove i valori sono esattamente contrapposti a quelli accolti dalla fede cristiana, suggeriti dalla Parola di Gesù: onestà contro furbizia; amore contro odio; umiltà contro superbia; accettazione contro incontentabilità; bontà contro cattiveria; carità contro egoismo… e potremmo continuare all’infinito.
Non vorrei scadere nella retorica, altro rischio a cui questo tema può esporre, ma desidero concludere questa mia breve riflessione raccontandovi una storiella ascoltata in una omelia, molto semplice, ma altrettanto facile da comprendere nella sua metafora. State a sentire.
STORIELLA
“Un giorno, un uomo sognò un luogo dove, in fila, l’uno dietro l’altro, molti uomini camminavano portando sulle proprie spalle una croce, classicamente intesa. Chi più breve, chi più lunga e quindi maggiormente pesante, e in silenzio percorrevano quel sentiero sassoso, pieno di rovi e di inciampi, che andava inerpicandosi su un sentiero montano, con la sua crescente pendenza, che imponeva una differente velocità di percorrenza e un diverso grado di fatica nel procedere. A lui era toccata una croce particolarmente lunga e pesante.
Al che iniziò a lamentarsi col Signore perché rispetto agli altri lui era stato sfavorito e quindi doveva fare più fatica per raggiungere la stessa meta (che al vero non si scorgeva). Il Signore, dopo insistente e continua lamentazione, gli concesse di tagliarne una parte, a suo piacimento. Non parve vero all’uomo poter segare una buona lunghezza di quella croce, per lui così esageratamente lunga e pesante. Accorciatala di un buon pezzo, riprese più contento e baldanzoso il suo cammino, superando anche altri divenuti meno fortunati di lui. Giunto in cima all’altopiano vide, chi lo precedeva, appoggiare la propria croce tra un punto al di qua e uno al di là del precipizio posto di fronte a loro e che divideva quella parte del territorio colmo di difficoltà dal bellissimo prato, verdeggiante e piano, che si apriva ai loro occhi, riuscendo a trovare, ognuno, il punto più confacente alla lunghezza della propria croce che consentiva loro di superare il baratro. Cercò di fare altrettanto, ma per quanti tentativi facesse, si accorse di aver tagliato troppo il legno della sua croce accorciandolo eccessivamente: in qualsiasi punto cercasse l’appoggio non riuscì a trovarlo”.
CONCLUSIONE
La storiella termina qui e credo non necessiti di spiegazioni. La morale la tragga ogni lettore che, prima di giungere alla fine del proprio cammino, alla meta finale, non commetta lo stesso errore.
Buon cammino, dunque, e accettiamo ciò che il Signore permette ci accada lungo questo peregrinare, consapevoli, però, che Lui non riserverà ad ognuno di noi una croce superiore alle nostre possibilità di reggerla e sopportarla per quanto faticosa ci appaia.
Un’ultima cosa: se lungo il cammino ci rendiamo conto di esser stanchi, che le forze ci vengono meno, che non ce la facciamo più a risollevarci dalle cadute, chiediamo aiuto a Lui: anche Lui, sulla già citata via del Calvario – la “Via Crucis” – fu aiutato dal Cireneo per un certo tratto. E se anche Lui, vero Uomo e vero Dio, ha avuto bisogno dell’aiuto di un altro uomo, di una Sua creatura, per procedere, perché non dovremmo chiedergli anche noi umilmente aiuto?
Auguriamoci, dunque, buona prosecuzione del nostro cammino e non vergognamoci di chiedere aiuto nel momento del bisogno affinché quella Croce possa risultarci meno pesante, almeno per un certo tratto, e cerchiamo di essere “Cireneo” gli uni degli altri.
Con affetto, vostro Antonio.
P.S.: volevo segnalarvi un altro articolo che ho redatto a proposito della Croce. mai ve ne foste “innamorati”: “La Festa della Esaltazione della Santa Croce” che, per la cronaca, la Chiesa celebra il 14 settembre di ogni anno. Buona lettura, per chi desiderase approfondire ulteriormente questo mistero!